la Repubblica, 28 luglio 2021
Un miliardario sunnita per il governo libanese
«Non ho la bacchetta magica, da solo non posso fare nulla». Najib Mikati, il sunnita incaricato di provare a formare un nuovo governo in Libano, non ha poteri magici. Ma se non altro la sua cassaforte è piena di 2,7 miliardi di dollari guadagnati in una vita trascorsa in prima linea fra i grandi squali della scena politica ed economica del Libano. È già stato primo ministro nel 2005 e poi dal 2011 al 2013, quando fu costretto a dimettersi al culmine della prima fase della guerra in Siria.
Mikati è forse l’uomo più ricco del Libano, fondatore assieme al fratello della Investcom, società di telecomunicazioni che ha poi venduto nel 2006 al gruppo sudafricano MTN per 5,5 miliardi di dollari. Il suo nome è emerso velocemente dopo che il suo predecessore, l’altro sunnita Saad Hariri, ha dovuto gettare la spugna dopo 8 mesi di sorda opposizione del presidente della Repubblica libanese, il cristiano Michel Aoun. Se riuscirà a fare il governo, i cristiani saranno all’opposizione: fino ad oggi Aoun dava direttive al partito del genero Gebran Bassil di mantenere unità d’azione con i deputati sciiti di Hezbollah. Adesso qualcosa cambierà.
In Libano il posto di primo ministro spetta a un sunnita: Mikati sarà appoggiato oltre che dagli sciiti di Hezbollah anche da quelli di Amal del presidente del parlamento Nabih Berri. Con loro gli altri partiti sunniti: l’ex premier incaricato Hariri gli ha assicurato l’appoggio dei suoi deputati. A livello internazionale (e in Libano il parere degli altri paesi conta moltissimo), la Francia e gli Stati Uniti appoggiano Mikati: sanno che fa parte fino in fondo di quella casta di politici affaristi che ha portato il Libano in condizioni di default finanziario. Ma per iniziare a rimettere a posto le cose c’è bisogno di un governo che abbia l’appoggio di quei partiti inamovibili. Per cui Mikati anche per Usa ed Europa potrebbe essere un buon compromesso.
Le capacità di manovra di Mikati sono incredibili, lo chiamano “lo squalo più grande”. Ma sono capacità tutte esercitate all’interno di quel sistema politico e finanziario che è proprio il meccanismo che ha portato il Libano al fallimento. A Beirut il popolo lo accomuna semplicemente a quelli che hanno distrutto il Libano: «Come posso dare fiducia a un ladro che ha già rubato il futuro dei nostri figli?», diceva un cittadino di Beirut a un’agenzia di stampa. E in effetti Mikati ha già dimostrato una attitudine magistrale nell’applicare ai suoi comportamenti politici e finanziari le regole di quelli che hanno malgovernato il Libano per 40 anni. Già sotto inchiesta per arricchimento illecito, l’inchiesta è stata insabbiata. Ha annunciato che farà un governo con tecnocrati, che avrà il compito di rappresentare lo Stato libanese di fronte ai suoi cittadini innanzitutto il 4 agosto, anniversario della bomba del porto. E poi di portare il paese ad elezioni nel 2022. Per provare quindi a fare solo una cosa: far sopravvivere il Libano.