la Repubblica, 28 luglio 2021
Enrico contro Matteo la sfida che riaccende l’eterna faida tra toscani
Un dubbio apparentemente marginale volteggia sinistro sulla candidatura di Enrico Letta e sulle resistenze, diciamo così, di Renzi: non sarà l’ultima puntata di un’eterna super-faida tra toscani? Ecco, a riaccenderla ci mancava giusto il collegio Toscana 12, che comprende un po’ di Siena e un po’ di Arezzo, tanto per semplificare con un rinforzatissimo campanilismo il già avvelenato groviglio di antica e ritornante avversione tra un fiorentino, per quanto del contado rignanese, come Renzi e di un pisano, sebbene per metà d’adozione, qual è Letta.
Non una primizia se solo si ricorda come già nel 2013, quindi agli albori dell’astio, da Livorno il Vernacoliere aveva già beffardamente illustrato lo scontro tra “Pipiritto” e “Pallemoscie”. Molto poi accadde fra i due, come noto; e se i toni di quel foglio satirico potevano suonare irriguardosi per due futuri presidenti del Consiglio, beh, ce n’é quanto basta perché il sequel che si va ad allestire da quelle parti ponga in causa un ulteriore interrogativo di ordine etno-politico: c’è qualcuno, nella storia d’Italia, rivelatosi nei secoli più cattivo dei toscani, specie fra loro?
La doppia risposta, pessimo augurio per Renzi e Letta, arriva dall’empireo del giornalismo nel secolo scorso, due grandi scrittori che naturalmente e vicendevolmente si detestavano. Secondo Curzio Malaparte, pratese, autore di “Maledetti toscani”, il toscano “allo stato di grazia” è becero; egli “non sorride per grata, amabile disposizione dell’animo, né per orgogliosa compassione: ma per malizia, e dirò, anzi, per spregio. L’elemento fondamentale del suo carattere è, infatti, l’essere spregioso: il che nasce dal suo profondo disprezzo per le cose e i fatti degli uomini, s’intende degli altri uomini”. Cinici, faziosi e protervi descrisse d’altra parte i suoi conterranei un altro principe della scrittura, Indro Montanelli, che era di Fucecchio, equidistante tra Firenze e Pisa: una “razzaccia”, la sua, “perché si può affrontarla senza bisogno d’addossare le spalle al muro né di compiere grandi sforzi per sapere cosa pensa di voi e quanto vi odia, visto che d’amore non è neanche il caso di parlare”.
Parla piuttosto il passato remoto, ma con asprezza sconosciuta in altre parti d’Italia, al massimo grado testimoniata dal fiorentino Dante che si augurava una specie di tsunami su Pisa, “vituperio delle genti”. Nel concreto una storia di carneficine, genocidi, battaglie sanguinose, pulizie etniche, diremmo oggi. Cui si aggiungevano, incruenti, eppure perfidi rituali di umiliazione tipo imporre agli sconfitti baci sul sedere di questo o quel simbolico animale di marmo, gestacci osceni incisi nella pietra a svettare sui campanili di cittadine contese, trafugamenti di pali e striscioni, conio di monete “per dispetto”, lanci di carogne, impiccagioni di fantocci, finti funerali... Basti pensare che c’è un fantastico e ponderoso studio del professore Giancarlo Schizzerotto in cui si proclama lo scherno – così frequentato in questo tempo sui social – quale “elemento fondante dell’identità italiana” proprio a parti re dalle contese fra le città toscane in età medievale e comunale.
Ora, tutto questo non ha un rapporto diretto con le polemiche tra Renzi e Letta sull’ampliamento dell’aeroporto di Firenze a scapito di Pisa, né immediatamente si connette al proditorio”Enrico stai sereno” o all’espressione con cui il medesimo assegnava il campanellino a Matteuccio dopo la defenestrazione da Palazzo Chigi. Ma certo il negoziato, per così dire, sul collegio Toscana 12, con le sue implicazioni d’ipocrisia e ribalderia, tradimenti e vendette, sembra ricondurre Letta e Renzi ben oltre la politica, proprio là dove il genius loci, nel triangolo delle Bermuda costituito da Firenze Pisa e il collegio senese e aretino ripropone un sovrappiù di tigna, uno spiritaccio indemoniato e ancestrale, un conto che da solo minaccia di chiudersi nel peggiore dei modi.