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 2021  luglio 27 Martedì calendario

Intervista a Pupi Avati

P upi Avati, bolognese, classe 1938, amatissimo regista, ma anche produttore, sceneggiatore, scrittore.
Possiamo aggiungere «innamorato perenne»?
«Certo. Lo sono dalla prima volta che mi è successo, e ogni volta mi sono innamorato con l’idea che fosse per sempre».
Anche in quelle storie d’estate da giovanissimi?
«Sì, mai pensato che sarebbe finita lì. Nemmeno quell’estate che mi innamorai perdutamente di una ballerina... Una cosa atroce».
Perché atroce?
«Perché si approfittò della mia ingenuità di ragazzetto».
Di che anno parliamo?
«Se non ricordo male era il 1957. Suonavo il clarinetto in un gruppo jazz, eravamo in sette e quell’estate ci esibivamo a Riccione in un locale dove suonavano pezzi grossi dell’epoca, tipo i Platters, Carosone, Bruno Martino. Erano tempi senza dj, la musica era dal vivo e nei locali i gruppi facevano la differenza».
La ragazza di questa storia era nel pubblico?
«No. Era una ballerina francese che arrivò con un corpo di ballo. Nome d’arte: Monna Lisa, straordinariamente bella, di una bellezza che non aveva eguali. Credo che quell’estate sia stata la ragazza più bella di Riccione, aveva l’attenzione di tutti e io ovviamente me ne innamorai».
La corteggiò?
«Macché! Deve sapere che all’epoca i nostri contratti prevedevano il divieto assoluto di ogni tipo di rapporto con le ballerine. Né noi, né i camerieri potevamo avvicinarle, neanche parlarci. Loro erano lì come entraîneuse, dovevano ballare, far divertire e far bere i clienti. Noi dal palco riuscivamo a sbirciare nei loro camerini, loro si spogliavano e si lasciavano guardare, le vedevamo in campo lungo ma poi non potevamo andare oltre. Finché una notte successe una cosa imprevedibile».
E cioè?
«Monna Lisa viene verso di noi e ci dice che ha un problema gravissimo, che è capitato qualcosa di tremendo a suo padre a Venezia».
Mi lasci indovinare: lei si offrì di accompagnarla.
«Non potevo perdere quell’occasione. Avevo preso la patente da poco e avevo una Cinquecento. Mi candido a portarla fino a Venezia ma realizzo che sono senza soldi. Allora vado da Umberto Bindi che suonava nel mio stesso locale – le garantisco che all’epoca lui andava alla grande – e gli chiedo un prestito».
Era di una bellezza che non aveva eguali. Godeva dell’at-tenzione di tutti e io, ovvia-mente, me ne inna-morai
E lui?
«Capì al volo e mi diede 14 biglietti da mille lire. Era abbastanza per arrivare a Venezia e portarla in un ristorante. Insomma: per fare bella figura. Immagini l’invidia dei compagni della band...».
Dica la verità: ci ha provato strada facendo?
«Mi pareva dolce. Ho cercato di farla innamorare e forse qualche effusione c’è pure stata ma lei pensava a suo padre. Siamo arrivati che era mattina. L’ho accompagnata in piazza San Marco e mi ha detto: ci vediamo stasera».
Avrà contato i minuti...
«L’ho aspettata tutto il giorno, anche se avevo l’impegno di tornare a Riccione a suonare. A un certo punto la vedo arrivare e... che momento».
Bello o brutto?
«Atroce, come le dicevo... Era con un signore che tutto poteva essere fuorché suo padre. Ho capito in un istante che mi aveva ingannato e che l’avevo portata dal suo amante. Mi ero indebitato e l’avevo accompagnata fino a Venezia a far l’amore con un altro... Si può immaginare il mio risentimento».
E quindi? L’ha piantata lì o l’ha riportata indietro?
«L’ho riportata a Riccione ma è stato un viaggio silente, rancoroso. Lei continuava a spacciarlo per suo padre, anche contro l’evidenza anagrafica... Si è approfittata di me».
Tornati al locale non vi siete più parlati?
«Beh...io ho sempre vissuto gli amori come definitivi ma era evidente che lei non poteva essere la donna della mia vita. Però mesi dopo mi sono preso la rivincita».
In che senso?
«Nel senso che alla fine sono riuscito a conquistarla. È venuta ad esibirsi a Bologna, ci siamo rivisti e abbiamo avuto una storia. Una specie di piccolo risarcimento».
Dopodiché?
«Dopodiché niente, è finita lì. Nessuna curiosità successiva, ho visto il suo nome su alcune locandine, dopo, ma non sono andato a trovarla».
È stata la sola straniera della sua vita?
«No. Quando suonavamo in giro per l’Europa di storie ne avevamo. Con il jazz poi... ci dava quell’aria da intellettuali introversi che piaceva tanto alle ragazze. Io non ero certo uno che suscitava interesse ma con la musica è stato tutto più facile. Sono stati anni davvero fantastici».