la Repubblica, 27 luglio 2021
Il lusso fa shopping
La pandemia, come tutte le rivoluzioni, ha accelerato il cambiamento anche nel mondo del lusso. Ha sconvolto le logiche della distribuzione e il gusto dei clienti. Tuttavia, dopo un 2020 difficile, nel 2021 è ripartita la corsa allo shopping, dei consumatori per quei marchi che meglio hanno interpretato il nuovo spirito del tempo, ma anche delle aziende, che hanno accelerato verso il consolidamento.
Lvmh ha appena licenziato un semestre con utili ricorrenti in crescita del 74% rispetto ai livelli pre Covid del 2019, e tripli rispetto allo scorso anno. Forte di questi risultati, dal 2020 ad oggi il colosso del lusso francese ha comprato direttamente Tiffany, il 60% di Off-White e il 10% di Tod’s, e indirettamente attraverso il fondo L Catterton i sandali di Birkenstock e il 60% di Etro. Cinque operazione su cui Bernard Arnault ha investito circa 20 miliardi di euro, una cifra enorme con cui Lvmh si potrebbe comprare alcune delle maggiori griffe tricolori quotate, come Prada e Ferragamo insieme. Non è un caso che il principale rivale di Lvmh, la francese Kering, che nello stesso periodo ha comprato solo gli occhiali di Lindberg, sia la prima indiziata per conquistare Burberry, dopo aver più volte corteggiato senza successo Valentino.
«La pandemia ha dimostrato a chi operava nell’alta gamma che non c’è nessun business a prova di pallottole – spiega Mario Ortelli, esperto e fondatore della società di consulenza Ortelli&Co – per cui tanti processi di consolidamento che già erano in atto hanno subito un accelerazione e chi, come Zegna, da tempo meditava di quotarsi in Borsa, ha preso la palla al balzo». Lo ha fatto anche Carlo Rivetti di Stone Island, scegliendo di unire le forze con la Moncler di Remo Ruffini. Ma la crisi è stata anche l’occasione per tagliare i costi e accelerare i passaggi generazionali. «Nel lusso prevale il capitalismo familiare e con la pandemia si è capito che i passaggi di consegne vanno fatti prima – spiega Armando Branchini, presidente di Intercorporate e amministratore indipendente di Ferragamo – in continuità tra le generazioni o tra i fratelli: come Ferruccio Ferragamo che ha fatto un passo indietro a beneficio del fratello Leonardo». Fatto sta che chi ha venduto durante la pandemia difficilmente ricomprerà e chi ha comprato viceversa sarà sempre più forte e avrà voglia di comprare ancora.
«Ogni azienda che ha un unico marchio del lusso è potenzialmente un target di acquisizione anche perché i multipli sono i maggiori di sempre – prosegue Ortelli – un principio che vale per nicchie come Stefano Ricci e per colossi come Chanel, Patek Philippe e Audemars Piguet». Diverso è il caso di Rolex, da tempo amministrata da una fondazione, il destino che Armani aveva scelto per il suo marchio, anche se pure Re Giorgio durante la Pandemia non ha escluso la possibilità di fare spazio a un socio. «I brand che hanno alle spalle un colosso del lusso avranno più risorse per stare al passo con i cambiamenti imposti dal Covid – prosegue Branchini nessun marchio è e resterà fermo, il digitale e l’analisi dei big data saranno un leva per vendere, ma anche per sapere cosa produrre e come ingaggiare i clienti. Vanno meglio i Paesi più lontani dall’Europa, dove hanno cuore, testa e produzioni le maggiori griffe, ma passata la paura torneranno i turisti: già ora negli Usa, dove l’e-commece spopola da anni, sono tornati di moda i negozi».