ItaliaOggi, 27 luglio 2021
Piccoli partiti pure in Germania
Ci saranno alcune novità alle elezioni nazionali del 26 settembre. Per la prima volta in trent’anni, dalla riunificazione delle Germanie, non si presenterà il cancelliere in carica. Angela Merkel mantiene la promessa di andare in pensione. Se si fosse presentata, avrebbe certamente vinto.
È probabile poi che venga battuto il record dei deputati eletti al Bundestag, potrebbero essere un centinaio in più, circa 800, a causa della legge elettorale che prevede due voti, uno al partito e un secondo al candidato preferito, anche di un altro movimento. Se il voto schizofrenico aumenta, si finisce per eleggere più rappresentanti. Da vent’anni si vuole modificare questa norma, ma ogni volta non si fa in tempo, anche perché se ne avvantaggia il partito di maggioranza relativa.
Nel 2002, Gerhard Schröder riuscì a farsi rieleggere grazie a una decina di questi mandati supplementari, attribuiti in extremis nello spoglio finale al partito socialdemocratico. E a settembre saranno sempre più i tedeschi che preferiranno votare per corrispondenza a causa del Covid. È una comodità concessa a chiunque la richieda, non occorre dimostrare di essere impediti o di essere in viaggio. Avrà un effetto sul risultato?
Infine, mai come quest’anno, si presentano così tanti piccoli partiti, anche se non hanno alcuna possibilità di far eleggere almeno un loro deputato. Erano 21 nel 2009, 30 quattro anni dopo, 40 nel 2017, e oggi diventano 43. Avevano tentato di iscriversi in 84, ne sono stati ammessi 44, e uno si è ritirato, il Pogo Partei, di tendenza anarchica. Come mai? I sociologi citano sempre il Covid, l’isolamento durante il lockdown avrebbe accentuato le tendenze individualistiche dei cittadini. Ma non è così evidente, anche nel 2017 non erano tanti di meno. È probabile che i tedeschi si siano stancati dei grandi partiti.
Per essere ammessi al voto, bisogna raccogliere 500 firme, che vengono rigorosamente controllate. Prima erano duemila, ma si è voluto rendere più facile la raccolta, resa problematica dalla pandemia. Roland Wegner, 45 anni, funzionario al municipio di Francoforte, ha dovuto rinunciare alle ferie per trovare i sostenitori del suo Partei delle tre V, che stanno per Veränderung, cambiamento, Vegetarier e Vegan. Si batte per abolire gli allevamenti di animali e i macelli, vuole andare oltre i verdi: «In realtà sono un partito che fa parte del sistema, non vogliono realmente cambiare la società. Anche la loro leader Annalena Baerbock mangia bistecche». Si è già presentato nel 2017 ottenendo lo 0,1. «Se non ci fosse lo sbarramento al 5%», afferma, «avremmo eletto un deputato». Quest’anno dovrebbe andare meglio, sono in aumento i tedeschi vegetariani e vegani. Wegner, in un’intervista allo Spiegel, protesta perché secondo lui i piccoli sono boicottati: «Veniamo ignorati nei sondaggi, e non siamo mai invitati ai talk show alla tv».
Perché i piccoli tentano un’avventura senza possibilità di successo? Lo stato finanzia i partiti in base ai voti ottenuti, un sistema complesso, ma in sintesi si ottengono 83 centesimi a voto, se il partito ottiene lo 0,5% in un’elezione regionale, e l’1 a livello nazionale. Un traguardo che raggiungono in pochi. Il primo tra i piccoli è il Partei, che quattro anni fa ottenne 50 mila voti. Le sovvenzioni, anche nel migliore dei casi, non permetterebbero di vivere ai leader per quattro anni, ma bastano a pagare l’attività del partito.
Solo tre volte nella storia, un piccolo è riuscito a fare il grande balzo. All’inizio degli anni ottanta, il cancelliere Helmut Schmidt sottovalutò il movimento ecologista: «È una moda passeggera», dichiarò, e i socialdemocratici persero per sempre una fetta del loro elettorato. Subito dopo la riunificazione, entrò al Bundestag il Pds, l’erede del partito comunista della scomparsa Ddr. Non ce l’ha mai fatta l’Npd, il partito neonazista, che nel 1969 sfiorò il successo con il 4,9%. E nel 2017 entrò in parlamento l’Alternative für Deutschland, il partito dell’estrema destra che ha la sua roccaforte nelle regioni dell’Est.