Il Messaggero, 27 luglio 2021
I segreti dello scrittore Juan Gómez-Jurado
«Tutto ciò che desidero è che i miei lettori non riescano a smettere, che perdano treni e aerei pur di non alzare gli occhi dalla pagina». Parola di Juan Gómez-Jurado, lo scrittore spagnolo di maggior successo al mondo. 43enne, con Regina rossa ha venduto 800 mila copie (in classifica per 115 settimane, venduto in 40 paesi) ma il totale balza a oltre un milione e mezzo con Lupa nera e Re bianco che completano la sua trilogia. Regina rossa è da poco uscito in Italia (edito da Fazi, tradotto da Elisa Tramontin) e richiama esplicitamente il mondo di Lewis Carroll («l’universo più contorto, quello di Attraverso lo specchio, non Alice nel paese delle meraviglie») con una trama thriller che balla fra adrenalina e humour nero, qualcosa di insolito per lettori assuefatti all’asettico crime nordico. Jurado ambienta la storia a Madrid ai giorni nostri, ruotando fra un omicidio e un rapimento, con un plot pieno di inseguimenti, personaggi enigmatici e battute al vetriolo. Ma il vero fenomeno è la protagonista, Antonia Scott, «la donna più intelligente del mondo», senza distintivo e pistola eppure capace di risolvere casi cruenti, affiancata da Jon Gutiérrez, «un ispettore basco, gay, obeso e meravigliosamente scorretto». Trecentomila followers su Twitter e la conduzione di un programma televisivo in Spagna, fanno di Gómez-Jurado una vera celebrità ma lui non ha nessuna intenzione di fermarsi: con sua moglie, la psicologa Bárbara Montes, ha creato una serie di libri young adult (Amanda Black, ancora inedita in Italia) e sta lavorando con Amazon per realizzare una serie inedita.
Una donna tosta e intelligente come protagonista e come spalla, un ispettore gay e obeso. Cambiano i tempi?
«Era ora, no? Antonia Scott è un paso adelante, un omaggio a tutte le donne forti della mia vita. Le donne non sono necessariamente migliori di noi ma perché non potrebbero fare tutto, ricoprendo ogni mansione, proprio come gli uomini? Ho scelto di prendere la donna più intelligente del pianeta, le ho disegnato addosso un passato traumatico e l’ho posta al cospetto di uno psicopatico, al centro di una trilogia con riferimenti al mondo di Lewis Carroll»
Perché proprio Carroll? Non è troppo inflazionato, come Saint-Exupéry e il suo Piccolo Principe?
«Tutt’altro. I miei lettori leggono Regina rossa di gran corsa, presi dal ritmo e dall’adrenalina ma poi molti lo rileggono, scendendo in profondità, trovandovi schemi e corrispondenze come in una scacchiera. Ripenso spesso alla lezione di scrittura che Umberto Eco fece con Il nome della rosa, ogni volta che lo leggi, ci trovi sempre qualcosa di nuovo».
Fra Shakespeare e Sherazade, lei a chi si ispira?
«Non ho dubbi, scelgo Sherazade!»
Sicuro?
«Tutto quello che voglio è che i miei lettori abbiano le occhiaie, che non riescano a mettere giù il libro, che non possano smettere di leggere. Ogni volta che un lettore perde un aereo o un autobus perché non ha potuto interrompere la lettura è come se avessi vinto una medaglia e una volta, un mio lettore è stato investito...»
Davvero?
«Ha attraversato la strada leggendo ma per fortuna gli è andata bene. Ha rotto l’e-reader, mi ha scritto raccontandomi cos’era successo e gli ho mandato un nuovo device».
Lieto fine.
«Per fortuna, sì».
La sua paura più grande?
«Svegliarmi una mattina e non aver più nulla da dire, nien’altro da raccontare».
Jon, la spalla di Antonia, è un poliziotto gay, obeso e politicamente scorretto. Un gesto di libertà?
«Quando scrivo non c’è spazio per l’autocensura, altrimenti cambierei subito mestiere. Volevo due personaggi forti, carismatici e capaci di rompere i clichè. Ci sono voluti quindici anni dalla prima scintilla sino al libro ma ne è valsa la pena».
Fra Antonia e Jon, lei a chi somiglia?
«Decisamente a Jon. Mi considero un tipo sempliciotto e verace».
Un milione e mezzo di copie vendute e la conduzione del programma di divulgazione storica, El condensador de Fluzo, in Spagna. Adesso si monterà la testa e inizierà a postare foto di casa sua?
«Non ci penso proprio! Anzi, nel libro provo a mettere il lettore in guardia a tal proposito. Perché abbiamo bisogno di postare tante foto, perché condividiamo le nostre abitudini, offrendoci ai capricci del primo psicopatico di turno? Dobbiamo ricominciare ad aver cura della nostra privacy».
Sangue e violenza, indagine ed enigmi ma anche tanto humour nero. Una scelta precisa?
«Senza ironia non vale semplicemente la pena di scrivere, mollerei tutto. L’idea di lavorare ad un libro senza divertirmi non mi sfiora nemmeno. E sa una cosa, dovremmo convincerci di poter elaborare il dolore in qualcos’altro, che sia commedia o thriller».
Ma perché il thriller piace tanto?
«Una ricetta per il successo non esiste ma credo che dipenda dal fatto che abbiamo l’impressione di vivere costantemente sull’orlo dell’abisso, fra il timore del virus e il collasso ambientale. Il thriller corre velocissimo, si piange e si ride, permettendo di adeguarci alla realtà, oltre la pagina».
In una nota conclusiva, implora il lettore affinché non scriva online il finale...
«Viviamo nell’epoca dello spoiler, il rischio c’è. Prima di mettermi a scrivere, debbo pianificare tutto, ogni scena, l’intera cronologia, ogni frase. Sarebbe un peccato perdersi tutto solo per un like in più».