Corriere della Sera, 26 luglio 2021
Intervista a Svetlana Zakharova
Bellezza affilata, tecnica abbagliante, classe eterica, Svetlana Zakharova è tornata finalmente in Italia dopo il forfait autunnale di Ravenna Festival causato dalla pandemia, incassando applausi scroscianti, sabato sera allo Sferisterio di Macerata, sul vasto palcoscenico che aveva ospitato le dune sabbiose dell’ Aida inaugurale e, prima ancora, al Festival di Nervi, il 20 luglio. Con una prova perfetta, in mirabile equilibrio tra repertorio classico e coreografia contemporanea, l’étoile del Bolshoi e della Scala conferma di essere, con i suoi 42 anni bionici, la diva del balletto del nostro tempo. In Pas de deux for Toes and Fingers – il composito spettacolo che l’affianca in scena al marito violinista Vadim Repin in una gara di virtuosismi di punte d’acciaio (lei) e dita rapinose sullo Stradivari «Rode» del 1733 (lui) —, Zakharova alza l’asticella della supremazia del balletto femminile in intimo dialogo con la musica, circondandosi di partner all’altezza: i colleghi del Bolshoi Mikhail Lobukhin, Denis Savin, Vyacheslav Lopatin e il 26enne Jacopo Tissi, primo italiano a brillare, in una carriera in netta ascesa, nella maggiore compagnia russa. Lo stesso Repin ha diretto l’Orchestra dello Sferisterio.
Svetlana, dopo l’Italia, vi esibirete a Tokyo. Come vive l’estate del riscatto teatrale?
«È tutto complicato, autorizzazioni burocratiche, tamponi continui, ma la prendo con filosofia. Oggi vedo tutto con occhi nuovi, colgo l’attimo, vivo il presente. Se mi propongono tournée le pondero bene. La pandemia mi ha cambiata: da noi al Bolshoi si sono ammalati molti ballerini, il che ha comportato sostituzioni all’ultimo minuto. Uno stato di emergenza costante».
Come ha vissuto il lockdown? A Mosca, la sospensione dell’attività nei teatri è stata più breve che in Italia…
«Ho vissuto il lockdown con la paura di perdere la forma fisica, di ingrassare. Ma per la prima volta da quando sono sposata con Vadim, abbiamo potuto trascorrere un mese insieme senza essere separati dai continui viaggi. Mi sono goduta la mia famiglia nella casa fuori Mosca, in mezzo alla natura. È stato il rovescio della medaglia, un regalo inaspettato».
L’intesa con suo marito è scattata tra le note: galeotta fu la Carmen…
«Sì, lui suonava al Conservatorio di Mosca Carmen Fantasie di Franz Waxman, io avevo appena danzato la Carmen Suite di Alberto Alonso, sulla partitura di Bizet rielaborata da Scedrin. La sua esecuzione mi ha così emozionata che ho voluto dirglielo. Ci siamo conosciuti e amati».
Come Lei, Repin è stato un enfant prodige, cresciuto dall’età di 11 anni sotto la pressione di continue competizioni. Quanto incide questo percorso parallelo da numeri uno nella vostra coppia?
«Ci comprendiamo l’un l’altra come non potrebbe fare nessun’altra persona al mondo. Da questa profonda empatia nasce la nostra intesa in scena in questo spettacolo che fonde balletto e musica. È un format che abbiamo inventato noi, è unico al mondo, ci rappresenta».
Ho vissuto il lockdown con la paura di perdere la forma fisica però ho apprez-zato il valore della famiglia
Vostra figlia Anja è anche lei una bambina prodigio?
«Ora ha 10 anni e studia ginnastica artistica in campus intensivi. Noi la sosteniamo senza spingere, è ancora piccola».
Al Bolshoi si andava in pensione intorno ai 38 anni. Lei ne ha 42.
«Prima il regolamento disponeva il ritiro dalla scena dopo 20 anni di professione. Oggi una stella come me procede con contratti determinati. Se vuole continuare a ballare può farlo d’accordo con il teatro».
Quali sono oggi i grandi coreografi ancora in attività?
«Sono rimasti solo Neumeier, Grigorovich, Eifman, che però conosco meno. Poi ci sono diversi talenti, ma non vedo nessuno alla loro altezza».
Che cos’è per lei l’Italia oggi?
«Amo l’Italia e la Russia dello stesso amore. Quando danzo alla Scala mi batte il cuore. Perciò ho preso sotto la mia ala il vostro Jacopo Tissi. Avevo ballato con lui La Bella Addormentata alla Scala, poi, lo vedevo nel corpo di ballo, meritava di più. Al Bolshoi da quattro anni può crescere molto, in un repertorio vastissimo classico e contemporaneo. Noi viviamo in teatro».