la Repubblica, 26 luglio 2021
Intervista a Michael Phelps
TOKYO – Mister Gold è in forma. Il suo look si è imbellito, pantaloni bianchi, camicia a fiori, sneaker italiane. Ha cambiato anche taglio, non più da marine, i capelli sono castani con una piega all’indietro e sotto la mascherina rossa spunta una barba. Un po’ in disparte c’è Nicole, la moglie. Michael Phelps a 36 anni è ambassador di Omega, cronometrista ufficiale dei Cinque Cerchi, e per la prima volta commentatore tv dell’Nbc. Sono i primi Giochi senza di lui. In cinque edizioni, 28 medaglie, 23 d’oro. Carriera strepitosa, nessuno come lui, un’apertura alare pazzesca, professionista da subito, uno costruito per stare dentro (l’acqua), non fuori, sembra avere i remi al posto delle braccia. Ma con un segreto che si è tenuto dentro fino al 2014, fino a quando non ha capito che con “quella cosa lì” ci devi fare i conti, perché non ti lascia.
Confessi: si ributterebbe in piscina?
«Confesso che la sera qui non dormo, sento ancora l’atmosfera, l’eccitazione, l’adrenalina della gara.
Sono cose che non se ne vanno facilmente, non ho più competizioni, però sono ancora capace di sentire certi momenti. Anzi diciamo che ora le mie medaglie le vorrei vincere come padre e marito. Preparo le colazioni, e a volte mi metto in cucina a preparare le cene. È vero è un’Olimpiade strana, senza pubblico, ma è sempre un avvenimento di cui il mondo parla, è unica».
Sorpreso dal tunisino Hafnaoui, sconosciuto, oro nei 400 stile libero?
«E chi non lo sarebbe? È la favola del brutto anatroccolo che diventa principe. Un ragazzo diciottenne, che entra in finale con l’ultimo tempo, il più lento di tutti, nuota in ottava, nessuno se ne interessa, e in gara si trasforma, va in testa, crede a se stesso, si mette dietro Australia e America. Ha fatto una gara perfetta, non ha sbagliato niente e alla fine era lui il più sorpreso, quasi non ci credesse. Il Nordafrica che scivola via, bene che il nuoto si apra ad altre forze».
E c’è anche la forza di scoprirsi fragili.
«La vera forza è ammettere la propria vulnerabilità. Lo dico chiaro, anche se in passato ho mentito: non si guarisce dalla depressione. Sei spinto a dire che va bene, ma è sbagliato, ti senti sbagliato, diverso dagli altri, buio dentro, la depressione è così. Io ancora oggi a volte ho bisogno di chiudermi in stanza, di stare da solo, la mia famiglia lo sa. Ho tre bimbi, Broomer, Beckett, Maverick, il primo a volte mi viene a cercare. E avere i miei attorno aiuta molto, rende tutto più sopportabile, da loro non devo nascondermi. Ora lo so: è ok non essere ok. Non bisogna essere perfetti. Mi sto impegnando a far capire questo, non è una vergogna essere depressi, avere panico, anche se ti spaventa molto».
Lei ha aiutato: il nuotatore australiano Hackett, il golfista
americano Woods, la tennista giapponese Osaka.
«Ho ospitato Grant Hackett a casa mia in Arizona nel periodo in cui si stava disintossicando dai sonniferi, eravamo amici, ci conoscevamo da ragazzi. Tiger Woods mi ha chiamato per consigli dopo l’incidente d’auto, era in un momento complicato. E ho appoggiato pubblicamente Naomi Osaka quando ha detto che non ce la faceva più, che la pressione la stava divorando, e doveva ritirarsi. Trovo che sia stata fantastica e abbia avuto molto coraggio nel rivelare che stava male, anche perché quando sei giovane e hai successo, tutti ti chiedono: ma come, sei ricca, hai la vita davanti, puoi fare quello che vuoi, e ti lamenti? Sei un privilegiato, non devi stare male. Questo pensa la gente».
Lei si sta occupando di campioni depressi?
«Partecipo a dei gruppi, cerco di sensibilizzare su questo tema, ma anche io cammino sul filo. Lo sport aiuta a nascondere, ma non a risolvere. Guardate che bel fisico che hanno i campioni e come lo curano, anche io ogni giorno vado in palestra, allora chiedo se contano i muscoli del corpo, perché non si curano quelli della testa? La salute mentale degli sportivi è altrettanto importante. Va protetta, non sottovalutata».
Cercando un altro Phelps: può essere Caeleb Dressel?
«Io ero Phelps1 e non Spitz2. Non è mai troppo giusto costringere gli atleti ad essere una replica dell’altro.
Dressel ai Mondiali 7 ori li ha già vinti, quindi può ripetersi o fare meglio. Il problema non è avere talento e disciplina e lui ce l’ha, ma consistenza. Quando devi entrare e uscire da una corsia in piscina la qualità di cui ha più bisogno è la costanza».
Federica Pellegrini è alla sua quinta Olimpiade.
«Vuole che non lo sappia? Nel 2004 era ad Atene con me, medagliati entrambi. Abbiamo attraversato tante competizioni insieme, la ricordo molto bene a Roma. Il mio pronostico è che Federica arriverà in finale. E sarà la prima a farne cinque nella stessa specialità. Basta vedere la sua felicità quando è in acqua, non ha perso la gioia di nuotare e di sorprendere. Il nuotatore vive di feeling, ha bisogno di sentire sulla pelle certe sensazioni. E lei le esprime bene, anche se nuota contro due mie amiche che stimo moltissimo, Schmitt e Ledecky. Tre campionesse olimpiche contro».
Se da nuotatore si fosse dovuto preparare per Tokyo?
«C’era da perdere la testa. Con il lockdown è stato terribile, anzi spaventoso, figurarsi per me che ho momenti difficili. Confesso che non mi sarei vergognato a bussare alla porta dei miei vicini per chiedere se avevano una piscina dover farmi nuotare. Non mi sarei rassegnato a stare fermo. Perché una cosa non cambia mai ai Giochi, essere autorizzati ad avere sogni».