la Repubblica, 26 luglio 2021
“La svolta green ci costa 15 miliardi”
ROMA – Un rischio da 15 miliardi di euro, ma anche una scelta obbligata. Irrimandabile. Dopo le riflessioni e le prese di posizione “concettuali”, l’industria italiana fa i conti e presenta le proprie richieste di fronte all’accelerazione della svolta ambientalista chiesta dall’Unione europea con il progetto “Green fit to 55” e calata, non senza difficoltà geopolitiche, nel G20 di Napoli.
Con un documento commissionato a Boston Consulting e consegnato al governo (è sui tavoli dei ministri dell’Economia, dello Sviluppo Economico e dell’Agricoltura), scendono in campo le imprese “energivore”, cioè ad alto consumo, associate a Confindustria: siderurgia, chimica, fonderie, carta, vetro, cemento, ceramica. Un totale di 88 miliardi di valore aggiunto lordo, pari al 5% del Val nazionale, 700 mila posti di lavoro, il 60% del fatturato dall’export, parte centrale della filiera economica nazionale visto che riforniscono tutti i settori manifatturieri a valle. “Hard to abate”, si auto-definiscono, e rappresentano il 18% delle emissioni di CO 2 italiane. A coordinarle è l’ex presidente della Federacciai, Antonio Gozzi, che non a caso in un’intervista ha parlato della necessità di «un fondo europeo per la transizione industriale, che aiuti le imprese energivore».
L’occasione, per l’imprenditoria italiana, di contribuire a sciogliere una volta per tutte il conflitto tra due sacrosanti interessi: la produzione (dunque, il lavoro) e l’ambiente. Fin qui irrisolto nel nostro Paese anche per le inadeguatezze della politica, vedi casi paradigmatici come quello dell’Ilva di Taranto. Ora il vincolo europeo non ammette più esitazioni da parte di ogni parte in gioco. Un dovere nei confronti di tutti gli italiani.
Nel documento le aziende sposano gli «ambiziosi obiettivi europei di decarbonizzazione» (taglio del 55% delle emissioni entro il 2030 e carbon neutrality nel 2050), ma sottolineano che «l’Italia non è in grado di raggiungerli a politiche correnti». La decarbonizzazione, sottolinea lo studio, è «realizzabile con approccio di sistema e selezione delle leve in base a fattibilità, economicità e disponibilità» perché «nello scenario corrente di costo della CO 2, il 70% delle leve previste entro il 2030 è out of money (economicamente non sostenibile, ndr )». In soldoni, spiegano gli associati Confindustria, l’acquisto di quote di CO 2 nel sistema di scambio europeo (Ets) avrebbe un costo cumulato per le imprese energivore tra gli 8 e i 15 miliardi di euro dal 2022 al 2030, cioè un taglio dell’8-20% del margine operativo lordo nel 2030. Insomma, un forte «rischio di perdita della competitività rispetto ai player internazionali». Da questi conteggi, quindi, prende le mosse la proposta che, innanzitutto, si basa sull’«avvio immediato del percorso di transizione per sviluppare tecnologie e infrastrutture strategiche». Il ventaglio di interventi va dall’utilizzo di combustibili green (idrogeno, biometano), alla revisione dei processi produttivi per l’utilizzo di energia elettrica in sostituzione dei combustibili fossili; dall’efficienza energetica attraverso la riduzione della necessità di energia (termica ed elettrica) a parità di produzione, alla sostituzione dei combustibili attuali con vettori energetici a bassa intensità carbonica; fino all’economia circolare, con il riutilizzo degli scarti di produzione e dei materiali riciclati.
E per quanto riguarda le strategie finanziarie e operative, sono tre le coordinate delle imprese di Confindustria: proroga dell’import virtuale ( Green interconnector ) con il vincolo ad importare solo energia verde (condividendone il beneficio con Terna) e allargamento dell’import virtuale a tutti i Paesi europei. Per l’auto-produzione: semplificazione dell’iter autorizzativo, garanzia dei tempi per l’installazione degli impianti e misure per la finanziabilità dei progetti. Infine, supporto alla crescita dei contratti di acquisto di energia green (per biogas e elettricità) anche con fondi d’investimento per investitori pubblici e privati, che condividano il rischio.