Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2021
Quando Einstein progettò un frigorifero
C’ è un ramo della fisica che, a dispetto della sua rilevanza e della sua bellezza, è solitamente piuttosto sacrificato nell’insegnamento scolastico, dove si trova – secondo la tradizionale organizzazione degli argomenti – a essere compresso tra i ben più ingombranti capitoli della meccanica e dell’elettromagnetismo. Mi riferisco alla termodinamica, nata nel primo Ottocento dallo studio delle macchine termiche e assurta a teoria fondamentale della fisica alla fine dello stesso secolo, quando – grazie soprattutto al genio di Ludwig Boltzmann (ma anche di James Clerk Maxwell e Josiah Gibbs) – si legò alla statistica e alla teoria atomica della materia.Nella percezione comune (sostenuta dal nome un po’ infelice), la termodinamica è la scienza del calore e della temperatura, e, in questo senso, ci viene spontaneo associarla ai meccanismi di riscaldamento e di refrigerazione, alle previsioni meteorologiche e alla cottura dei cibi. Più in generale, però, essa è la scienza dell’energia (in ogni sua forma) e di tutti quei processi che coinvolgono sistemi caratterizzati da un gran numero di costituenti elementari e di stati microscopici. Il suo dominio di applicazione, quindi, si estende praticamente a qualunque oggetto e fenomeno del mondo reale, e si può davvero dire che tutto ciò con cui abbiamo normalmente a che fare è governato dalle leggi della termodinamica.La storia di questa disciplina è affascinante e ha avuto come protagonisti studiosi della più diversa estrazione: fisici, ingegneri, militari, industriali, medici, matematici. La racconta brillantemente Paul Sen, divulgatore britannico, in un libro che riesce a combinare – con notevole capacità narrativa – il rigore del contenuto scientifico con gli aspetti umani di questa straordinaria impresa intellettuale (che sta per compiere duecento anni, essendo stata inaugurata nel 1824 dalle Réflexions sur la puissance motrice du feu di Sadi Carnot).Il titolo del libro ricorda la grande passione – teorica e pratica – di Einstein per la termodinamica. Pochi sanno che alla fine degli anni Venti, il creatore della relatività – il quale, a dispetto della sua fama di scienziato con la testa fra le nuvole, possedeva abilità tecniche ragguardevoli –, inventò e brevettò, assieme al suo giovane collaboratore Leo Szilárd, alcuni frigoriferi innovativi, che avrebbero probabilmente avuto un certo successo se non fosse stato per una serie di circostanze sfortunate (tra le quali, l’introduzione in America di un nuovo refrigerante, comodo e apparentemente sicuro, il freon).Ma il legame di Einstein con la termodinamica era forte soprattutto sul piano epistemologico. Nelle sue Note autobiografiche del 1949, raccontando la propria formazione scientifica, scriveva: «Una teoria è tanto più convincente quanto più semplici sono le sue premesse, quanto più varie sono le cose che essa collega, quanto più esteso è il suo campo di applicazione. Per questo la termodinamica classica mi fece un’impressione così profonda. È la sola teoria fisica di contenuto universale che, sono certo, non sarà mai sovvertita, entro i limiti in cui i suoi concetti fondamentali sono applicabili».. Oggi sappiamo che tali limiti sono ben più ampi di quanto si potesse pensare, e che la termodinamica riguarda anche il mondo immateriale. Negli stessi mesi in cui Einstein componeva le sue memorie, un ingegnere dei Bell Laboratories, Claude Shannon, formulava la teoria matematica della comunicazione, in cui i concetti termodinamici venivano applicati al calcolo del contenuto di informazione di un messaggio, e qualche decennio dopo, due altri studiosi, Rolf Landauer e Charles Bennett, avrebbero evidenziato l’analogia tra un flusso di informazioni e un flusso di calore, dimostrando che quando si cancella un bit, viene dissipata una piccolissima – ma ben definita – quantità di calore.Tornando a Einstein, il motivo della sua predilezione per la termodinamica stava nel fatto che essa è una «teoria di princìpi» – una teoria, cioè, basata su poche asserzioni universali da cui si possono dedurre analiticamente delle leggi valide in ogni caso particolare (la teoria della relatività apparteneva, non a caso, alla stessa categoria). Come impariamo a scuola, il primo principio della termodinamica stabilisce che l’energia si conserva (cioè rimane complessivamente costante) in ogni processo fisico, mentre il secondo principio afferma che, pur conservandosi, l’energia tende a essere sempre meno utilizzabile, perché c’è una grandezza, l’entropia (legata al grado di disordine microscopico dei sistemi), che inevitabilmente cresce. E non va dimenticato che anche l’altra rivoluzione fisica del Novecento, la teoria quantistica, affonda le proprie radici nella termodinamica: l’idea dei quanti, infatti, nacque da un lavoro termodinamico di Max Planck sulla radiazione contenuta in una cavità riscaldata.Ma, al di là dei suoi meriti storici ed epistemologici, la termodinamica – come mostra Sen – è una teoria di grande attualità, tuttora al centro di molte ricerche. Non sfuggono al suo dominio di validità neanche i fenomeni del microcosmo e del macrocosmo. Per fare due esempi, il plasma di quark e gluoni che si forma nelle collisioni tra ioni di altissima energia al Large Hadron Collider del CERN richiede una trattazione termodinamica, e così pure – all’altro capo della scala cosmica – il comportamento dei buchi neri: la scoperta, da parte di Jacob Bekenstein e di Stephen Hawking, che i buchi neri posseggono un’entropia e irraggiano calore (la «radiazione di Hawking») è una delle più significative degli ultimi decenni e apre le porte alla tanto agognata sintesi tra la relatività generale e la teoria quantistica.Nel suo celebre pamphlet su Le due culture, C.P. Snow raccontava di aver conosciuto molte persone colte (nel senso tradizionale del termine) che, da un lato, si lamentavano che gli scienziati fossero privi di cultura letteraria, dall’altro, a una domanda sul secondo principio della termodinamica, rimanevano in silenzio. Eppure, aggiungeva Snow, era come chiedere se avessero mai sentito parlare dell’Amleto o di Macbeth. Il libro di Sen offre un’ottima opportunità in tal senso: se qualcuno ha intenzione di perfezionare la propria conoscenza dell’equivalente scientifico di Shakespeare, Il frigorifero di Einstein fa al caso suo.
(Il frigorifero di Einstein. Come la differenza tra caldoe freddo spiega l’universo, Paul Sen, Bollati Boringhieri, pagg. 406, € 25)