Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2021
Quel matto di Cauchy
Sono trascorse poche settimane dalla morte di Napoleone quando, nel giugno 1821, appare a stampa a Parigi un libro epocale, «che deve essere letto da ogni matematico che ami il rigore», dirà il giovane e geniale norvegese Niels Abel, nel 1826 in viaggio di studio nella capitale francese. «Quanto ai metodi, ho cercato di dar loro tutto il rigore che si esige in geometria, in modo da non ricorrere mai ad argomenti tratti dalla generalità dell’algebra», dichiara infatti Augustin-Louis Cauchy nelle pagine introduttive di quel libro. Insomma, è la geometria di Euclide il modello di rigore cui bisogna ispirarsi, non le vuote formule dell’algebra, che al più costituiscono «delle induzioni atte a far talvolta presentire la verità, ma che poco si accordano con l’esattezza tanto vantata delle scienze matematiche».Professore all’École polytechnique, nel Cours d’analyse, Cauchy presenta i risultati della profonda revisione dei fondamenti dell’analisi matematica basata sulla teoria dei limiti, che da tempo ha intrapreso ed esposto sue lezioni. Scritto per gli studenti, ma studiato da generazioni di matematici, quel libro è una pietra miliare nella storia dell’analisi. Cauchy deve tuttavia rinunciare ad adottarlo come manuale. Accogliendo le proteste degli studenti, la direzione dell’École lo ha invitato infatti a non affaticare gli allievi con i lunghi sviluppi del suo Cours d’analyse, un inutile «lusso di teoria» che va a scapito delle applicazioni che servono a futuri ingegneri. Così, negli anni seguenti, affida le sue lezioni sul calcolo infinitesimale a fogli a stampa distribuiti in classe (solo più tardi raccolti in volume), e la stampa delle lezioni sulle equazioni differenziali – che contengono il fondamentale teorema che porta il suo nome insieme a quello di Sofia Kovalevski – viene ben presto interrotta.La sua prodigiosa creatività alimenta invece i fascicoli degli «Exercises de mathématiques», una sorta di rivista personale pubblicata a proprie spese, che appare con cadenza mensile nella seconda metà degli anni Venti. «Io li compro e li leggo assiduamente», scrive Abel, che pure ammette: «all’inizio non capivo quasi nulla». I suoi giudizi sono taglienti: «Cauchy è matto», e poi «scrive in modo molto confuso», tuttavia è «il matematico che sa come bisogna fare della matematica». E ancora: «Cauchy è estremamente cattolico e bigotto, cosa ben strana per un matematico». Curioso che l’affermazione venga dal figlio di un pastore protestante.Realista convinto e cattolico oltranzista, per ironia della sorte Cauchy è nato nell’agosto 1789, a pochi giorni dalla presa della Bastiglia, che segna l’inizio della Rivoluzione e, insieme, la fine della carriera del padre Louis-François come segretario del luogotenente di polizia. Nei giorni del terrore si rifugia con tutta la famiglia nella casa di campagna della vicina Arcueil. Alla caduta di Robespierre rientra a Parigi, aderisce al nuovo regime bonapartista e ottiene infine la carica di segretario del Senato. Dopo gli studi all’École Polytechnique, il giovane ingegnere Cauchy viene inviato a Cherbourg per lavorare alla costruzione del Port Napoleon. Al tempo stesso, con un paio di memorie di geometria su poligoni e poliedri muove i primi passi di una folgorante carriera accademica. Nel 1815 Cauchy esulta alla caduta di Napoleone che ritiene un «usurpatore» e, dopo la Restaurazione, viene premiato da Luigi XVIII con la nomina alla ri-istituita Académie des sciences sul seggio del “regicida” Gaspard Monge, il fondatore dell’Ecole polytechnique espulso perché reo di aver presieduto la riunione dei ministri che il 19 gennaio 1793 ha decretato la ghigliottina per Luigi XVI.Qualche anno dopo lo stesso Cauchy sarà vittima delle alterne fortune che accompagnano la vita politica della Francia del tempo. Nel 1830 la Rivoluzione di luglio porta al potere Luigi Filippo d’Orleans e costringe all’esilio Carlo X di Borbone. Per restare fedele al giuramento fatto al re, anche Cauchy lascia Parigi per stabilirsi a Friburgo, in Svizzera, dove pensa di fondare un’Accademia ispirata a principi monarchici e religiosi. Alla ricerca di finanziamenti egli si rivolge allora a sovrani del nostro Paese – dal re del Piemonte Carlo Felice al duca di Modena – e non esita a rivolgere suppliche al papa, a Metternich e la corte di Vienna, e addirittura allo zar.Ai matematici italiani si presenta con una serie di articoli (in italiano!), un vero e proprio manifesto di quella che a suo dire è la «moderna analisi» matematica. A Milano, ospite dell’astronomo di Brera Gabrio Piola, frequenta Alessandro Manzoni, Gabrio Casati e gli ambienti cattolici. Svanito il progetto di Accademia elvetica per il mutato clima politico a Friburgo e la morte di Pio VIII e di Carlo Felice, nell’autunno 1831 Cauchy è ancora a Torino dove, su suggerimento dei gesuiti di corte, il giovane Carlo Alberto lo nomina sulla cattedra di fisica sublime, che era stata di Avogadro costretto all’esilio da Carlo Felice dopo i moti del 1821. A seguire le sue lezioni, poi raccolte nei Resumés analytiques (1833) stampati a spese di Carlo Alberto, c’era anche Federico Menabrea, futuro primo ministro dopo l’Unità. Nelle sue Memorie questi ricordava che Cauchy era «tutto confusione, passava di colpo da un’idea, da una formula all’altra, senza alcun collegamento». In una parola, «il suo insegnamento era una nube oscura, illuminata talvolta da lampi di genio». E, a dire di Menabrea, la sua moderna analisi «sta all’analisi così semplice dei tempi di Lagrange come la musica di Wagner sta alla musica melodiosa dei tempi di Rossini, Bellini, Donizzetti».Al tempo stesso, Cauchy presenta all’Accademia delle scienze di Torino fondamentali memorie su pionieristici argomenti di analisi complessa, tradotti in italiano da Piola. Il soggiorno torinese di Cauchy era comunque di breve durata. Nell’estate del 1833 gli venne richiesto di «recarsi immediatamente» a Praga, dove si trovava in esilio Carlo X, per provvedere all’educazione dell’erede al trono. Così, il grande matematico lasciava Torino per insegnare l’aritmetica a un tredicenne svogliato, e seguire la corte nelle peregrinazioni in Boemia, che si conclusero con la maggiore età del delfino di Francia. Quando ritorna a Parigi, ricompensato col titolo di barone ma privo di insegnamenti, Cauchy si trova isolato, con una nuova generazione di matematici all’oscuro dei suoi più recenti risultati. Allora inonda di note settimanali i Comptes rendus dell’Académie, riprende la pubblicazione dei fascicoli dei suoi «Exercises» e solo dopo una nuova Rivoluzione, nel febbraio 1848, negli ultimi anni di vita Cauchy potrà finalmente ritornare a insegnare alla Sorbona, esentato da Napoleone III dal richiesto giuramento di fedeltà.