Specchio, 25 luglio 2021
Intervista al manager Marco Alverà
Marco Alverà è amministratore delegato di Snam, uno dei principali operatori mondiali di infrastrutture energetiche e tra le maggiori società italiane quotate, con una capitalizzazione di mercato vicina ai 17 miliardi di euro. È anche visiting professor all’Università di Oxford e ha recentemente scritto The Hydrogen Revolution: a blueprint for the future of clean energy, che sarà pubblicato da Hodder Studio il 26 agosto nel Regno Unito e da Basic Books il 16 novembre negli Stati Uniti.
Perché ha scritto questo libro?
«Nel 2004, quando lavoravo in Enel, sono andato in Giappone e ho studiato l’idrogeno. Ho scritto un rapporto dicendo: "Amo questa tecnologia, ma non funzionerà mai. È troppo costosa". Ero scettico, ma sono stato convertito quattro anni fa dal mio team qui in Snam. Ho scritto con loro una storia che ha mostrato quanto potente può essere l’idrogeno nella battaglia contro il cambiamento climatico e quanto sia necessario per affrancare il mondo dagli idrocarburi».
Quando ha compreso l’importanza della lotta al cambiamento climatico?
«Il mio interesse è nato dieci anni fa durante un viaggio in Norvegia. All’epoca lavoravo in Eni, nel reparto gas. La mia preoccupazione principale era che, se non fossimo stati bravi nel nostro lavoro, avremmo corso il rischio di blackout o inverni freddi. Ma poi i miei occhi si sono aperti a tutta una nuova serie di preoccupazioni. Fu la giornalista della BBC Gabrielle Walker, che ha scritto diversi libri di successo sul clima, a farmi notare che se anche la possibilità di una catastrofe climatica fosse solo dell’1%, le conseguenze sarebbero così grandi da richiedere azione. È stato allora che ho capito quanto fosse urgente l’intero dibattito sul clima e ho iniziato a cercare soluzioni».
Perché l’idrogeno, in particolare l’idrogeno verde, fornisce una soluzione?
«Il mondo va verso una massiccia elettrificazione. Oggi l’elettricità rappresenta il 20 per cento dell’energia e potrebbe arrivare fino al 50/60%. Ma le molecole di carbone, petrolio e gas, che oggi costituiscono l’80% dell’approvvigionamento, devono essere sostituite da molecole verdi come biometano e idrogeno. Lo dicono le agenzie internazionali. L’idrogeno è una molecola che si comporta come il petrolio, il gas e, in una certa misura, il carbone. Può essere trasportato, stoccato e bruciato. E quando lo bruci emette solo acqua. Ma in passato era troppo costoso perché il costo del solare era molto alto».
Che relazione c’è tra l’idrogeno verde e l’energia solare?
«L’idrogeno è l’elemento più abbondante nell’universo, ma non esiste in forma pura. Il 60% degli atomi nel nostro corpo sono fatti di idrogeno. Con l’ossigeno diventa H2O, acqua. Per produrre idrogeno verde abbiamo bisogno di utilizzare la corrente elettrica generata dal sole, per scomporre l’acqua in ossigeno e idrogeno utilizzando degli impianti chiamati elettrolizzatori. Il costo dell’elettricità rinnovabile necessaria per farlo dieci anni fa era di 400 dollari per megawatt-ora. Ora siamo scesi a 10 dollari in Arabia Saudita».
Come?
«Intorno al 2005 Italia, Spagna, Regno Unito e Germania hanno deciso di puntare molto sull’energia solare. I sussidi per incentivarla sono stati pagati in bolletta, quindi tutti in questi quattro Paesi hanno pagato molto di più per la loro energia. Questi sussidi hanno innescato la costruzione di grandi fabbriche in Cina che hanno iniziato a competere tra loro per produrre pannelli solari, e il costo è sceso molto velocemente. Ne ha beneficiato il mondo intero, ma a caro prezzo per i nostri cittadini».
L’idrogeno verde può salvare il mondo intero dal riscaldamento globale e dai disastri ecologici?
«La COP26 del 2021, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si terrà a Milano e a Glasgow. Snam ha co-fondato la "Green Hydrogen Catapult", che riunisce Iberdrola, una delle più grandi aziende di energie rinnovabili al mondo con sede in Spagna; Ørsted, una delle più grandi compagnie eoliche al mondo - possiamo anche produrre idrogeno con l’energia eolica - con sede in Danimarca; ACWA Power, il più grande sviluppatore solare al mondo, con sede in Arabia Saudita. Abbiamo Yara che produce fertilizzanti; abbiamo Envision che produce apparecchiature in Cina, CWP Renewables e noi. Alla COP26 diremo al mondo che possiamo rendere il costo dell’idrogeno verde competitivo rispetto al petrolio in alcune applicazioni nel giro di cinque anni».
Sta succedendo davvero?
«Sì, ho scritto il libro per raccontare questa storia. Sette delle più grandi società energetiche del mondo sono pienamente impegnate per questo obiettivo».
Le case automobilistiche stanno investendo massicciamente nelle auto elettriche. Da dove si comincerà con l’idrogeno?
«Nell’industria pesante - acciaio, cemento, vetro - dove l’elettrificazione è molto difficile o molto costosa. Altri settori - come navi, camion, treni - che funzionano con il diesel funzioneranno con l’idrogeno. I produttori di autocarri come Daimler, Volvo e Scania sono convinti che l’idrogeno giocherà un ruolo importante. Per quanto riguarda le auto, l’idrogeno ha ancora molta strada da fare, ma quando si mette l’idrogeno in una cella a combustibile si produce elettricità, quindi l’auto è esattamente la stessa. L’unica domanda è: funzionerà con una batteria o funzionerà con una cella a combustibile? Sarà l’evoluzione tecnologica a deciderlo. La transizione energetica richiede neutralità tecnologica».
Lei definisce l’idrogeno l’"Internet dell’energia". Perché?
«Perché collegherà tutti i settori del mercato energetico ed è una fenomenale opportunità di business. Alcune banche di investimento dicono che è un’opportunità da 15 trilioni di dollari: una sorta di Internet dell’energia».
Parliamo di risorse umane. È importante scegliere i collaboratori giusti, soprattutto in questa fase di transizione energetica?
«Penso che la chiave per avere buone idee e buoni team sia la diversità. Nel tempo vorrei che i dipendenti di Snam fossero al 50% donne. Siamo una società con una forte vocazione tecnica e ingegneristica e abbiamo difficoltà a trovare ingegneri donne. In Italia, secondo le statistiche, solo il 5% delle ragazze quindicenni vuole studiare Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Ma l’80% dei lavori futuri richiederanno queste competenze. In Italia solo il 40% delle ragazze pensa di poter fare bene quanto i ragazzi in matematica, quindi c’è chiaramente un problema culturale. A questo tema lavoro con passione sia in Snam, sia in qualità di presidente della Fondazione Kenta, intitolata alla memoria di mia nonna. —
(traduzione di Carla Reschia)