Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 25 Domenica calendario

Che fine hanno fatto i Righeira

Il sole è a picco e la temperatura è torrida. «Mi sono rifugiato qui, all’ombra della cappella di una madonnina, tiro il fiato». Per Stefano Righi è giornata di esplorazioni solitarie: «C’è una collina, c’è un bellissimo monastero, potrebbe essere il luogo ideale per montare un palco e fare musica». Già, la musica. Una compagna che non ti lascia mai. E che magari vale la pena di celebrare anche quarant’anni dopo «il brano che, lo ammetto, mi ha cambiato la vita».
Il nome d’arte di Stefano è Johnson Righeira, la canzone è "Vamos a la playa", cavallo di battaglia del duo che ha spopolato negli anni Ottanta ma che poi è entrato a buon diritto tra i sempreverdi della musica italiana. Perché la datazione ufficiale è 1983, «ma è in una sera del 1981 in cui, magicamente, è nata la prima versione, registrata su un demo in casa». Così è arrivato il tempo della celebrazione: un album con una serie di remix ma Stefano ha realizzato tante versioni alternative che ora sta per pubblicare anche un secondo volume.
Tutt’intorno il paesaggio è una meraviglia. «Io sono residente a Torino – racconta – ma quando è iniziato il lockdown mi sono trasferito nel Canavese, ho preso una casetta e poi mi sono fidelizzato qui. Luoghi bellissimi, varrebbe la pena di promuoverli di più e sto anche pensando come». Nel frattempo ha anche realizzato un sogno: «Mi sono comprato una vigna. Una piccola vigna, voglio produrre il vino. È dura ma dà tanta soddisfazione, lo desideravo da tanti anni».
Naturalmente la musica è tutt’altro che un capitolo chiuso: «Finito questo periodo in cui tutto si è fermato spero di poter tornare a fare le serate. Ma ora mi sono appassionato al ruolo di discografico, ho aperto una mia etichetta, promuovo anche dei giovani». La label ha un nome singolare, Kottolengo Recordings. «Un caso: dalle finestre della mia casa di Torino si vede l’antico cottolengo della città. Poi ci ho aggiunto una K com’era di moda negli anni Ottanta, come gli Skiantos, ricordate?». Nel dialetto ha un significato particolare: «Esser cottolengo, anche abbreviato in esser coto, vuol dire essere un po’ matto. E poi la K vuol dire che è uno scherzo, non voglio mancare di rispetto a nessuno».
Il duo non c’è più. Il rapporto con l’altro Righeira Michael, al secolo Stefano Rota, si è interrotto nemmeno tanto bonariamente. «Ma lasciate perdere questa storia. Non so nemmeno che cosa faccia, non ci sentiamo da anni. Davvero, non chiedetelo più».
L’aneddotica che circonda Stefano dice che ha le mani bucate: «È vero, ho un po’ sperperato dopo quel primo successo, avevo poco più di 20 anni. Ma non sto male. Continuo a fare le serate, un po’ di diritti arrivano ed andata bene, "Vamos a la playa" continuano a suonarla dappertutto ancora oggi dopo 40 anni, mi è andata bene». Un successone da sette settimane in testa alla hit parade e più 3 milioni di dischi venduti in Europa, seguito da "No tengo dinero" e "L’estate sta finendo". Altri campioni di vendite.
Altro pettegolezzo: la scarsa puntualità: «Vero, non sono troppo puntuale, ma è il mio destino: anche quando sono in anticipo, succede sempre qualcosa che mi fa arrivare in ritardo e non mi credono più». Ride: "È il mio karma». Un bilancio? «La vita me la sono guadagnata e l’ho fatto in maniera pulita», dice Johnson Righeira. Spiega: «In un mondo difficile ho dato un po’ di gioia e di spensieratezza a più di una generazione e senza togliere nulla a nessuno. Mi fermo spesso a pensarci e la cosa mi rende orgoglioso». Ultima curiosità: si è sposato? Ha figli? «No, c’è mia sorella. Sono single, si dice così? Certo che quando arrivi a una certa età, io sono della classe 1960, covi sempre più perplessità nell’immaginare un’altra persona che ti gira intorno». Poi di nuovo via, per l’incanto del Canavese, guardandosi intorno e canticchiando. La musica è una compagna che non abbandona mai.