La Stampa, 25 luglio 2021
Intervista a Leo Gassmann
Lo abbiamo scoperto sul palcoscenico di X Factor e poi a Sanremo «Nuove Proposte». Un gigante gentile e un po’ schivo, dal sorriso dolce e dal nome ingombrante: Leo Gassmann. Figlio di Alessandro e nipote di Vittorio. A sorpresa, il primo in tre generazioni non attore ma cantante. Almeno fino a ieri. Perché, a quello che è il mestiere di famiglia, si è affacciato anche lui: in punta di piedi, come pare essere abituato a fare, doppiatore nel cartoon Croods 2. Una nuova era, nei cinema e ora in passerella al Festival di Giffoni.
Musicista fin da ragazzino, questa è la sua prima volta da attore. Come è stato?
«Doppiare è stato un po’ come quando incido: la sala di registrazione, il microfono e le cuffie; c’è il silenzio, l’isolamento. E nel cartoon come nelle mie canzoni c’è la presenza di un messaggio. Qui è la solidarietà e la forza del gruppo».
Il suo personaggio, Guy, le assomiglia un po’, forse per via della pettinatura. È per questo che l’hanno cercata?
«(ride) Non so la ragione. Eravamo in tanti al provino. Hanno scelto me dopo l’ok dagli Usa. In Guy ho rivisto me quando, sui 19 anni, sono andato a vivere da solo. E nei genitori Crood i miei: papà e soprattutto mamma (Sabrina Knaflitz, ndr) che mi vedevano andare via di casa orgogliosi ma un po’ preoccupati».
In Italia non è comune uscire di casa così presto.
«È stato naturale, invece. Lavoravo e guadagnavo. Vivevo in una famiglia dove non mi mancava nulla, ma ero alla ricerca dei miei spazi. Un po’ di coraggio occorre, però: sai che rinuncerai a tante comodità e alla compagnia dei tuoi. Ma stare da soli stimola la creatività e sprona a raggiungere gli obiettivi».
In «Croods» ha lavorato con suo padre Alessandro.
«Ho fatto il provino senza dirglielo. Solo quando ho ottenuto la parte, gliel’ho fatto sapere. È allora che mi ha detto di esserci anche lui. È stata una sorpresa per entrambi».
A cose fatte, che le ha detto?
«Di essere sorpreso della mia abilità nel nascondere la cadenza romana, su cui in passato lui e mamma mi hanno sempre bacchettato. Un apprezzamento che mi ha reso felice».
Ricordo che, anche ai tempi di «X-Factor», era accaduto qualcosa di simile.
«Faccio sempre le cose sottobanco. E le comunico ai miei solo a risultati raggiunti. Non voglio che stiano in pensiero».
Che rapporto avete?
«Di rispetto reciproco. Stimo il suo coraggio nel dire ciò che pensa senza filtri. Mi ha molto aiutato a non sentire il peso del nome. Lui e mamma hanno fatto tesoro della loro esperienza di attori giovani e famosi per aiutarmi a non fare certi errori. La mia famiglia è per me una grande luce».
«Crood» è l’inizio di una nuova carriera?
«Mi piace l’arte in generale, ma non vorrei mettere troppa carne al fuoco: a dicembre devo laurearmi (in comunicazione e psicologia, ndr). Intanto lavoro al mio album: voglio fare una cosa bella, con tante sonorità diverse. Non mi importa essere primo in classifica, ma essere soddisfatto del risultato, sperimentare: a 22 anni mi pare presto per fossilizzarmi ed essere etichettato. E tra agosto e settembre sarò in tour con la mia band. Però, magari più in là... Mai dire mai».
Un musicista in una famiglia d’attori. Come accade?
«La musica mi fa star meglio e mi tiene compagnia. Da sempre. Ho iniziato con la chitarra a 7 anni, strimpellando L’isola che non c’è di Bennato. A 9 mi sono iscritto all’Accademia di Santa Cecilia, chitarra classica, che ho lasciato a metà percorso : mi sentivo imbrigliato. Dai 14 ai 19 anni ho suonare ovunque capitasse, per strada, nei pub. Ho fatto concorsi, provini e alla fine sono arrivato a X-Factor e da lì a Sanremo».
Sarà la sua generazione a salvare il mondo?
«Non la mia. Siamo un po’ come dei centrocampisti che fanno l’assist giusto, ma poi sarà qualcun altro ad andare in rete. Siamo sulla buona strada ma siamo disillusi e ci mancano i modelli: Gandhi, Martin Luther King, Bowie, Marley, gente che ha saputo muovere i popoli su un’idea di libertà e solidarietà. Forse è per questo che noi abbiamo gli influencer».
Inevitabile: vaccino sì o no?
«Assolutamente sì. Rispetto chi ha paura e non si sente pronto. Ma io credo nella scienza e nel suo ruolo nello sviluppo dell’umanità».
Di suo nonno Vittorio, cosa ricorda?
«Avevo due anni quando mancò. L’ho conosciuto attraverso quello che di lui mi hanno raccontato fan e amici. Tanti tasselli. Così mi pare di conoscerlo molto di più. E quell’idea del teatro in piazza, per tutti, in cui tanto mi rispecchio».
Pensa di assomigliargli?
«Dalla mamma ho preso la dolcezza. Da babbo, che l’aveva presa da nonno, la tignosità: mai arrendersi. Da tutti il fatto che non ci piace tirarcela. Mi sento uno qualunque, uno del popolo. Per questo penso che nelle mie canzoni si riconoscano tutti».