Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 25 Domenica calendario

Libano, il signore della bancarotta

Il Libano non è soltanto una storia di politica e di milizie, di geopolitica e di scontro fra religioni. Il Libano è soprattutto una storia di mafie. E di soldi. Di miliardi e miliardi di dollari. E allora bisogna seguire i soldi per arrivare a capire – forse – qualcosa. E come in tutte le storie di mafia c’è un uomo, il “ragioniere”, che ha gestito i conti delle mafie. Un uomo che per anni ha distribuito miliardi a tutti, sunniti, cristiani, sciiti, drusi, armeni, alawiti. E molti milioni li ha dirottati nelle casse della sua famiglia.
Quest’uomo si chiama Riad Salameh, 71 anni, è il governatore della Banca centrale del Libano. Un cristiano, perché nella spartizione settaria delle cariche di governo nel Libano quel posto spetta ai cristiani. Lo ha nominato nel 1993 il sunnita Rafiq Hariri, il padre del premier incaricato Saad che si è appena dimesso. Salameh era il capo di Merrill Lynch in Libano, il banchiere che gestiva gli investimenti di Hariri padre, ucciso nel 2005 in un attentato attribuito ad Hezbollah. Da quasi 30 anni guida la cassaforte del Paese, da sempre quindi ha gestito i soldi che ha distribuito in mille modi a tutti i partiti del Libano. Salvo che ad Hezbollah, che però si finanzia con le armi e i dollari che arrivano direttamente da Teheran.
Per anni Salameh è stato celebrato come un elemento di stabilità decisiva in Libano, “a source of stability” scrivevano i giornali americani. Era il salvatore. L’uomo che mentre i partiti settari erano sempre a un passo dallo scontro armato, provava a far girare i conti dello Stato. Ancora nell’autunno 2019, mentre a Beirut le banche bloccavano i conti dei cittadini (che quindi iniziavano ad assaltare le banche), lui offriva una festa ai banchieri mondiali, alla riunione annuale del Fondo monetario a Washington, con quintali di caviale e gamberi.
Dal 2019, l’anno del default del Libano, tutto è cambiato. Salameh è sotto inchiesta, in Francia e in Svizzera, e sta venendo fuori di tutto. Nell’agosto dell’anno scorso, pochi giorni dopo l’esplosione del porto di Beirut, la Ong “Organized Crime an Corruption Reporting Project” pubblicava i dati delle proprietà immobiliari accumulate all’estero dalla famiglia. Sono almeno 100 milioni in palazzi e appartamenti, in Germania e Gran Bretagna, con un appartamento da 4 milioni di dollari a Hyde Park. Quell’appartamento era stato acquistato da una compagnia fantasma registrata a Panama nel 2010, ed era diventato la residenza di un figlio del governatore, Nady. Nel gennaio del 2017 la proprietà è stata girata direttamente a Nady, e la società di Panama è stata chiusa dopo 2 mesi senza altre attività.
Adesso però i giudici anti-corruzione francesi e soprattutto svizzeri stanno scoprendo altro. Innanzitutto, appartamenti anche a Parigi, uno accanto alla torre Eiffel. Ma soprattutto un altro immenso tesoro che Salameh ha accatastato facendo lavorare il fratello Raja Salameh con la Banca centrale. I giudici svizzeri hanno ricostruito tutti i passaggi che la Banca del Libano ha gestito con la “Forry Associates” di Raja, in conti che vanno dalla Svizzera a Panama. La “Forry” è una società di brokeraggio finanziario che Salameh- governatore adoperava per far gestire e vendere a Salameh-fratello i bond della Banca centrale del Libano, che prima di essere giudicata inaffidabile sui mercati mondiali ha raccolto miliardi e miliardi di fondi nelle piazze finanziarie di tutto il mondo. Una piccola percentuale sui bond, un grande tesoro per i Salameh. Un altro percorso di cui si sono accorti i procuratori svizzeri è che dei 300 milioni di dollari che hanno individuato come pagati alla Forry Associates, almeno 200 sono ritornati in Libano. Per esempio, in conti della Bankmed, che è di proprietà della famiglia Hariri. Ovvero del padre che nominò Salameh nel 1993 e del figlio che è stato premier dopo di lui, e che ancora guida i sunniti in Libano.
La verità su Salameh girava da anni in Libano. Il New York Times ricorda che l’ambasciatore Usa in Libano Jeffrey Feltman, oggi inviato per il Corno d’Africa, nel 2007 in un cablo di Wikileaks descriveva Salameh come «inseguito da voci di corruzione, con una attitudine al segreto e una autonomia extralegale nelle operazioni della Banca centrale».
Chi lo attacca pubblicamente adesso è il deputato sciita Jamil al Sayyed, ex capo della Sicurezza Generale (uno dei servizi del Paese). Jamil è stato in carcere per 4 anni perché coinvolto dai giudici nell’assassinio di Hariri padre. Si è fatto il carcere in silenzio, «non adopererò mai il mio archivio», e adesso è deputato vicino ad Amal ed Hezbollah. Di Salameh dice che «lui non è più il capo della Banca centrale, è il contabile della mafia che governa il Paese: protegge loro, e loro proteggono lui per proteggere loro stessi».
Un altro che ha il coraggio di parlare di Salameh (non essendo legato a gruppi potenti come è Al Sayyed) è il giornalista Hassan Hillaik: «Salameh è il vero potere del Libano. Tutti devono qualcosa a lui. Non possono rimuoverlo. Lui è perfino nei media, nelle televisioni, dentro la Otv del presidente Aoun, nella NbnTv dello sciita Nabih Berri. Il patriarca cristiano lo difende, perché Salameh ha tutelato gli interessi della chiesa ortodossa».
Riad Salameh, il signore della bancarotta, è ancora molto potente. Anche lui, come l’ex capo dei servizi di intelligence vicino a Hezbollah, ha un archivio sterminato. Ha pagato, comprato, investito, redistribuito a tutti. È questa la vera storia del Libano: dietro ai kalashnikov ci sono i dollari.