Corriere della Sera, 25 luglio 2021
Philippe Starck e l’amore per la Laguna
Impossibile a priori immaginare che la piccola isola di Burano, con le sue casette semplici e coloratissime, possa essere il posto del cuore per Philippe Starck, star del design capace, con le sue creazioni, di anticipare gli scenari più futuribili del nostro vivere. Invece lui, in questo luogo quasi immutabile nel tempo, ci viene da oltre 40 anni. «Ho capito immediatamente che era il “mio” posto. Amo l’Italia, le persone, i villaggi e andare in barca», esordisce lui, rievocando quando arrivò la prima volta, su suggerimento di un amico. «Mi sono subito innamorato dei buranesi. Parlano in continuazione, ovunque, a tutte le ore. E anche se non capisco quasi niente della loro lingua, mi fanno sentire come in un film perenne».
Philippe, assieme alla moglie Jasmine e alla loro figlioletta Justice, va e viene da Burano tutto l’anno. Oggi è qui, domani potrebbe essere a Cap Ferret, sull’Atlantico, o a Cascais in Portogallo, nelle sue abitazioni sul mare, che ama. Anche se Burano rimane la preferita. «Eccetto a febbraio – fa troppo freddo —, ci veniamo anche d’inverno». Quattro case acquistate via via sempre più ampie, fino all’attuale, color rosso cupo, affacciata sul canale, su tre livelli più un’altana: «Direi che è la più grande dell’isola ed è un loft. L’opposto della prima che era divisa a stanze, ristrutturata con stucco e seminato veneziano e arredata con mobili di mogano». Questa invece è semplicissima, ci sono mattoni e travi a vista, prototipi di arredi suoi, fogli di carta e matite dappertutto (i suoi strumenti di lavoro), una cucina high tech, scaffali fatti da assi di legno, la scultura a testa di unicorno sopra il divano, maschere tribali qua e là. Dicotomie tipiche di Starck che però, nella saga di acquisto case buranesi, su un punto è rimasto sempre fedele: la vicinanza con i suoi ristoranti preferiti.
«Quando arrivai la prima volta non c’erano hotel, per cui presi una stanza in affitto. La usavo solo per dormire, il resto del tempo lo passavo fuori, alla “Trattoria da Romano” o al “Gatto Nero”: pranzo e cena, il resto del tempo lavoravo. Tutto il giorno allo stesso tavolo, come se fosse il mio ufficio». Oggi la consuetudine per questi luoghi è rimasta identica assieme all’affetto per i proprietari, che si rinnova ogni qualvolta Philippe arriva con Jasmine e Justice: «Per noi sono come una famiglia. Appena ci vedono scatta la domanda di rito: “Allora come va?”, chiede Gigi, il proprietario della trattoria. E io gli rispondo “Troppo lavoro, siamo stanchi morti”, e lui, di rimando, in dialetto: “Hai voluto la bicicletta? E allora pedala!”».
Di fronte c’è il verduraio, il mercato a pochi passi garantisce pesce fresco, e il canale su cui la casa si affaccia ospita la piccola imbarcazione degli Starck. «La nostra topetta», precisa lui, indicando il barchino in legno tipico veneziano. «L’ha costruita Agostino, sull’isola. Ci siamo sposati proprio qui, io e Jasmine», dice, guardando con affetto la moglie. «A bordo c’eravamo noi e l’officiante, un nostro amico. Non era trascorso un minuto dalla fine del rito che ha iniziato a diluviare e si sono alzate onde mai viste. Ma che io adoro, per cui io e Jasmine abbiamo subito messo in moto la barca e siamo andati proprio in mezzo alla laguna. È stato bellissimo!».
Oggi la topetta rimane un punto fermo delle sue giornate. «Per me il concetto di ferie non esiste. Ci spostiamo in luoghi di vacanza, certo, ma le mie giornate sono come sempre. In ogni nostra casa c’è una grande scrivania, un metro cubo di carta, le mie matite. Ovunque io sia, lavoro senza sosta, finché non sento che sta per esplodermi la testa. A quel punto, quando siamo qui, prendiamo la barca e andiamo... A volte arriviamo così al largo quasi da spaventarci. Oppure navighiamo fino a Malamocco o Pellestrina e rimaniamo lì a cena». Amici? Inviti? «No, stiamo sempre da soli. Prima di tutto perché siamo felici così. E poi perché, lavorando sempre, non sarebbe piacevole per gli altri. In realtà, quando abbiamo deciso per un tavolo nel soggiorno lungo 7 metri, l’idea di avere ospiti c’era. Ma è successo solo per la nostra festa di nozze: ora il tavolo serve a noi per lavorare, mentre Justice crea e disegna lì tutto il giorno».
Insomma, niente di diverso dallo smart working, né tantomeno dal distanziamento a cui siamo stati costretti. Ma, precisa Starck, solo quello fisico: «Invece questa esperienza terribile ci ha mostrato quanto non si possa stare indifferenti se il mondo si ammala o muore. Dobbiamo rimanere uniti, se vogliamo sopravvivere». Philippe e Jasmine salgono sulla topetta: la giornata di lavoro è finita, si può salpare e andare a perdersi nella laguna.