Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 24 Sabato calendario

Intervista ad Harvey Keitel

Una pausa. Lo sguardo, un attimo prima allegro e curioso, bloccato su un punto lontano, poi Harvey Keitel ricomincia a parlare. Vederlo commosso fa impressione, perché, nell’arco della carriera gloriosa, è spesso apparso in ruoli che ne esaltano la concretezza massiccia e la virilità marcata. Un uomo saldo, con i piedi ben piantati per terra, capace di attraversare le tempeste della vita facendosi scudo con sé stesso, rivela, a sorpresa, l’abitudine, coltivata fin da ragazzino, di rivolgere lo sguardo in cielo per cercare gli angeli: «Ho ricominciato a farlo - racconta commosso -, quando è scoppiata la pandemia. Non riuscivo a vedere più niente di bello, solo cose spaventose, a New York continuavano a morire un sacco di persone al giorno. Questo fino al momento in cui ho capito che dovevo guardarmi intorno e allora ho visto infermieri e medici che aiutavano gli altri, sapendo di andare incontro alla morte, perché i vaccini ancora non c’erano». In quei giorni Harvey Keitel, presidente onorario della quarta edizione di «Filming Italy Sardegna Festival», è rimasto colpito dalle immagini italiane: «Ho osservato persone che cantavano dai balconi, come se si facessero vicendevoli serenate, che sventolavano bandiere, che si aiutavano fra loro, portando cibo a chi era solo e non poteva procurarsene. Ho pensato che solo gli italiani possano fare cose come queste, che dovevamo imparare da voi e infatti, a New York, abbiamo iniziato a copiarvi. È stata una scoperta che mi ha molto ispirato».
Dopo la pandemia tanti problemi sociali sono esplosi in tutta la loro gravità. Secondo lei da che cosa bisogna ricominciare?
«Come padre, come figlio, come marito, come amico e come artista, non credo sia possibile incidere sulla mentalità delle persone semplicemente parlando. L’unica strada, secondo me, è quella indicata dall’arte, l’unica forza in grado di cambiare il modo di pensare della gente, di rendere tutti veramente uguali. Ne sono convinto, anche perché l’ho sperimentato su me stesso».
In che senso?
«Sono cresciuto a Brooklyn, avevo una mentalità molto più chiusa, poi ho attraversato il ponte, ho iniziato a studiare recitazione e così ho conosciuto gente meravigliosa, da cui ho appreso tantissimo. Sono stato tante cose diverse, anche marine, ma quello che mi ha cambiato più di tutto è stato l’incontro con un mio amico, morto troppo presto. Mi diede un libro da leggere, così ho cominciato a combattere la mia ignoranza, la mia stupidità, la mia rigidità e ho capito quello che stava succedendo nel mio Paese, le proteste degli studenti e tante altre cose».
L’intesa con Martin Scorsese è stato il punto di svolta della sua carriera. Che ricordi ne ha?
«Ci siamo incontrati da ragazzi, lui era studente, io vendevo scarpe e lavoravo, abbiamo girato Mean Streets nei fine settimana, senza soldi, certo il denaro è importante, ma ciò che conta è il talento. Quello di Martin era grande, fin dagli inizi, ricordo una sequenza di Chi sta bussando alla mia porta in cui succedeva che, mentre il mio personaggio avanzava in una chiesa, la macchina da presa indugiasse su icone e crocefissi. Da quella scena ho compreso quanto fosse importante il rapporto di Martin con la religione».
Ha lavorato con tanti registi italiani, Martinelli, Pontecorvo, Wertmuller, Scola, Sorrentino, come si è trovato?
«Sono tutti molto bravi, che cosa posso dire di loro? Ecco, ricordo una conversazione telefonica in cui Scola, parlando del Cattivo tenente e del fatto che fosse stato censurato e che la chiesa volesse bandirlo, mi disse "Harvey, non ho ancora visto il film, ma sono certo che sia bello"».
Ha da poco girato «Just noise» con Davide Ferrario, di che cosa parla?
«Sono rimasto affascinato dalla splendida sceneggiatura di Jean Pierre Magro e Davide ha fatto un ottimo lavoro. Il film racconta la lotta dei cittadini di Malta, nel 1919, per ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna. È la storia di una rivoluzione, io interpreto il governatore inglese dell’isola».
Il Covid ha messo in crisi il cinema in sala, rilanciando la tv e potenziando lo streaming. Come andrà a finire?
«Credo che il cinema e la tv possano convivere, assolvendo a diverse funzioni. Quando sono arrivato a Hollywood mi ero ripromesso di non fare tv, poi mi hanno proposto due show, ho accettato, giurando che non avrei ripetuto l’esperienza. Poi, un giorno, davanti alla performance di un’attrice molto brava che era stata invitata come "guest star" in un film televisivo, ho capito che il problema non era la tv, ma io. Mi sono detto "Harvey devi fare di meglio". Penso comunque che la tv vada riformata, non distrutta».