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 2021  luglio 24 Sabato calendario

Intervista a Renato Casaro, disegnatore del cinema

Capita a pochi di essere celebrati in vita con una mostra così gigantesca. Dallo scorso 12 giugno al 22 maggio 2022 Treviso allestisce Renato Casaro. L’ultimo cartellonista del cinema. Treviso, Roma, Hollywood, in ben tre sedi: Chiesa di Santa Margherita, Complesso di San Gaetano e Musei Civici di Santa Caterina. L’uomo che ha dato vita ai manifesti di Papillon, Amadeus, Rambo, C’era una volta in America e Balla coi lupi ha oggi 85 anni e un’umiltà d’altri tempi. «Sentire tanti complimenti mi fa piacere», dice al telefono da Treviso, «ma a volte mi chiedo se stiano parlando davvero di me».

Non molti cartellonisti hanno avuto l’accortezza di conservare i propri lavori.
«In genere li tenevano le tipografie o finivano dai rigattieri. A me è sempre dispiaciuto buttarli, e ho fatto bene. Devo ringraziare mia moglie che è stata attenta a mantenere gli originali, che oggi sono una collezione notevole».
Vende mai qualcosa?
«Sono molto restio. Però c’è qualche collezionista troppo amico per non accontentarlo, soprattutto fan di Bud Spencer e Terence Hill».
Per loro ha disegnato tanto.
«È stata una serie fortunatissima. L’altro giorno ho festeggiato il cinquantenario di Lo chiamavano Trinità con Terence Hill, col quale sono rimasto molto amico. Ho saputo catturare lo spirito della coppia, il loro umorismo: è stata una fortuna, forse c’era anche qualche capacità».
È nata prima la passione per il cinema o per il disegno?
«La seconda. Da giovane riempivo i quaderni di disegni e caricature. A diciotto anni, quando mi resi conto che i manifesti mi facevano scegliere di vedere un film anziché un altro, mi sono detto: perché non li faccio io?».
Ha studiato o è autodidatta?
«Autodidatta, ma ho comunque studiato i grandi che mi hanno preceduto, i vari Capitani, Martinati, Geleng, Ciriello. Da loro ho imparato cose che non s’insegnano in accademia. Mi sono formato anche su maestri del Cinquecento come Caravaggio. Quando ho fatto il ritratto di Mickey Rourke per ilFrancesco della Cavani mi sono ispirato a Rembrandt».
Il regista più sensibile alla cartellonistica?
«Fra gli italiani Sergio Leone. Non è vero che fosse burbero, perlomeno a me voleva bene.
Quando è morto stava preparando un progetto su una Colt. Peccato. Ho avuto un bel rapporto anche con Sordi: Polvere di stelle, Amore mio aiutami... Fu molto contento di come lo ritrassi in Un borghese piccolo piccolo ».
Problemi con la censura?
«Mai, ho sempre mantenuto un buon equilibrio. In Mogliamante di Vicario ho puntato su mani che s’incrociano. Ne Il corpo della ragassa c’era un sedere con una rosa sopra ma era stilizzato, così amabile da non
potersi censurare».
Il manifesto che ama di più?
«Sono molto affezionato a Nikita: c’è dentro un mistero, qualcosa che ti incuriosisce, anche come composizione. E poi Il tè nel deserto, un’immagine che raccoglie il film di Bertolucci attraverso una scena che in realtà non esiste».
Il manifesto più difficile?
«Hanno tutti avuto problemi, ma soprattutto di cast, di contratto. C’è l’attore che deve essere visto davanti, oppure in primo piano...
Per un Asterix e Obelix disegnai Depardieu, che faceva Obelix, a destra ma poi si scoperse che per contratto doveva stare a sinistra: in tipografia presero il bozzetto e lo rovesciarono: però anche la mia firma finì al contrario! Fu per questioni del genere che levai dal Tè nel deserto i volti: disegnai la protagonista di spalle saltando a piè pari ogni problema».
Bertolucci, Leone, Monicelli, Tornatore... E Fellini?
«È una mancanza che mi fa male. È anche una questione di età, si vede che non ero maturo per certi nomi. Però un paio di anni fa sua nipote Francesca mi ha chiesto il manifesto di un suo cortometraggio, La Fellinette, e l’ho potuto disegnare».
Negli anni Novanta fu lei a portare nella cartellonistica l’aerografo.
«Sì, e fu un cambiamento epocale. Come in
Opera di Dario Argento, o per Il nome della rosa di Annaud. Sentivo che si doveva uscire dalla classica impostazione del manifesto, e andare verso l’iperrealismo».
La fotografia ha finito per soppiantare il disegno, ma raramente in modo creativo.
«Ha perfettamente ragione, si fanno sempre i soliti gruppetti e ci si mette il titolo sopra. Per
Vacanze di Natale, invece, disegnai una palla di neve senza neanche mettere le facce degli attori. E per Amici miei mescolai le foto degli attori ai disegni di una scatola a molla. Ma è anche vero che, mentre una volta le strade erano musei di poster a cielo aperto, oggi si fa pubblicità attraverso whatsapp».
Però Tarantino l’ha chiamata per i manifesti dei film immaginari che si vedono dentro "C’era una volta a... Hollywood".
«All’inizio pensai a uno scherzo. Tarantino voleva ricreare il tipico stile anni 70, e da gran professionista mi mandò foto di DiCaprio in costume. "Sei sempre il mio preferito", mi ha detto, "con i tuoi manifesti hai reso bellissimo il mio film": mi sono venuti i brividi».
Oggi disegna per diletto?
«Sul mio sito mi dedico a grandi film che non ho potuto disegnare, libero da contratti o da problemi: Casablanca, Ben Hur, Via col vento...
Me li sono ridipinti ad olio, su tele anche grandi. Non ho mai momenti fermi. In questo momento preparo il calendario della Guardia di Finanza. E la copertina per un disco degli Uncle Acid, una band inglese».
Il suo film preferito, da spettatore?
«Thelma e Louise. Lo adoro, continuo a rivederlo, esulto di fronte alla potenza della donna. Avrei voluto farci il manifesto ma è uno di quelli che m’è scappato».