varie, 24 luglio 2021
In morte di Nicola Tranfaglia
Antonio Carioti, Corriere della Sera
Ricerca storiografica e impegno civile erano tutt’uno per Nicola Tranfaglia, scomparso a Roma all’età di 82 anni. Biografo di Carlo Rosselli, convinto antifascista, vedeva con estremo sfavore ogni riconsiderazione del regime mussoliniano che giungesse a giudizi diversi dalla condanna che avevano espresso gli oppositori delle camicie nere. Riteneva semmai che l’eredità del ventennio pesasse ancora sull’Italia repubblicana e avesse favorito, insieme ad altri fattori degenerativi, la crescita di un populismo capace di svuotare nei fatti gli istituti della democrazia.
Uomo di sinistra, si era tenuto distante per molto tempo dall’attività politica, poi aveva deciso di scendere nell’agone, ma non era riuscito a trovare una forza in cui riconoscersi fino in fondo. Dopo un’esperienza nei Democratici di sinistra, aveva aderito al partito dei Comunisti italiani, con il quale era stato eletto in Parlamento nel 2006. Quindi era passato nelle file dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, ma presto erano sorti con il leader molisano dissapori che avevano determinato una rottura dai toni aspri.
Nato a Napoli il 2 ottobre 1938, Tranfaglia si era laureato in Giurisprudenza, poi si era trasferito a Torino per lavorare presso la Fondazione Luigi Einaudi. E si era dedicato allo studio del passato, fino a occupare prima la cattedra di Storia contemporanea, poi quella di Storia dell’Europa e del giornalismo nell’ateneo della città piemontese, dove era stato anche preside della facoltà di Lettere. Alla docenza aveva accompagnato la presenza sui mass media, come firma del «Giorno», poi della «Repubblica» e dell’«Espresso», quindi dell’«Unità».
Tranfaglia era stato forse il più polemico tra coloro che nel 1975 avevano preso di mira l’Intervista sul fascismo di Renzo De Felice. L’impostazione del biografo di Mussolini gli pareva sfociasse in una riabilitazione del dittatore e del suo regime, tanto più pericolosa nel momento in cui si manifestava in Italia un’eversione di destra non priva di legami con settori dello Stato.
Alcuni anni prima Tranfaglia aveva pubblicato il saggio Carlo Rosselli dall’interventismo a Giustizia e Libertà (Laterza, 1968), una biografia politica che avrebbe completato molti anni dopo, fondendola nel volume Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna (B.C. Dalai editore, 2010). Era persuaso che il progetto di una sintesi tra gli ideali egualitari del socialismo e la promozione delle libertà individuali restasse valido anche a molti anni di distanza da quando era stato formulato dal leader di Gl assassinato in Francia nel 1937, anzi lo vedeva come unico rimedio possibile all’incapacità della sinistra di opporsi con efficacia alla deriva oligarchica e populista della destra.
Tranfaglia aveva diretto diverse opere collettive e aveva prestato una crescente attenzione a due problemi: la libertà d’informazione e il crimine organizzato. Riteneva che la mafia non potesse essere considerata un semplice fenomeno malavitoso, ma costituisse l’architrave di un sistema di potere dagli effetti nefasti, che aveva condizionato la storia della Repubblica. È la tesi esposta in alcuni suoi libri, tra i quali La mafia come metodo nell’Italia contemporanea (Laterza 1991) e La sentenza Andreotti (Garzanti, 2001).
Persuaso che influenze occulte, anche straniere, avessero distorto il corso della vita politica, Tranfaglia aveva contribuito ad alimentare una visione scoraggiante, con sfumature cospirazioniste, delle vicende italiane nella seconda metà del XX secolo. In particolare era tra coloro che valutavano del tutto insufficienti gli sforzi dello Stato per combattere il crimine organizzato, un giudizio reso esplicito dal titolo di un suo saggio uscito da Utet nel 2008, Perché la mafia ha vinto.
Data la sua attenzione ai temi della comunicazione di massa, Tranfaglia aveva vissuto come un‘emergenza democratica l’ascesa del centrodestra a guida berlusconiana, gravato da un pesante conflitto d’interessi proprio sul terreno dell’influenza mediatica. E ciò lo aveva spinto a tentare la via dell’impegno politico diretto, anche se i risultati non erano stati all’altezza delle speranze.
In seguito alle delusioni subite, pur senza abbandonare la trincea del dibattito politico-culturale, Tranfaglia aveva preferito poi riprendere la via della ricerca storiografica. Oltre a completare la biografia di Rosselli, aveva pubblicato nel 2010 il libro Vita di Alberto Pirelli (Einaudi). Ricostruire la parabola di quell’illustre esponente di una dinastia industriale altolocata gli aveva consentito di esplorare in presa diretta i comportamenti della classe dirigente, i suoi rapporti con il fascismo, la sua abilità nel gestire i trapassi politici. D’altronde, pur senza mitizzare Pirelli (tra l’altro fondatore a Milano dell’Istituto per gli studi di politica internazionale), Tranfaglia ne riconosceva il talento imprenditoriale e la vocazione diplomatica di alto livello.
Da segnalare infine la riproposizione aggiornata con l’editore Rusconi, nel 2019, dell’opera di maggior respiro scritta da Tranfaglia, Il fascismo e le guerre mondiali, pubblicata nel 1995 come volume della Storia d’Italia Utet diretta da Giuseppe Galasso. Un lavoro nel quale emergeva la rivendicazione dei valori che avevano animato la battaglia antifascista nel corso del difficile Novecento italiano.
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Umberto Gentiloni, la Repubblica
È morto ieri a Roma a 82 anni Nicola Tranfaglia. Uno storico che ha attraversato con continuità e passione temi e stagioni del confronto pubblico sul passato, sin dalle prime fasi di una lunga carriera accademica. Si laurea a Napoli, ma il cuore della cifra di studioso dell’età contemporanea si costruisce a Torino sotto la guida di Alessandro Galante Garrone. Agli albori si dedica a ricerche legate al mondo dell’azionismo ricostruendo biografie (i fratelli Rosselli) e percorsi di vita in un crescente sviluppo della propria produzione storiografica. Difficile scegliere tra cronologie e questioni che attraversano tappe e momenti di un itinerario particolarmente ricco e diversificato, per molti versi unico nella sua poliedricità. Centrali gli studi sull’ascesa del fascismo e sulla crisi dello Stato liberale in una dialettica storiografica che pone al centro il confronto con le tesi di Renzo De Felice sul consenso, le caratteristiche del regime, le eredità del ventennio.
In un lungo succedersi di monografie e studi settoriali Tranfaglia si occupa della storia del giornalismo, delle mafie e del loro funzionamento sistemico, della nascita della Repubblica, delle classi dirigenti nel Mezzogiorno, del lungo dopoguerra italiano, della cesura del 1989 e dell’ascesa di Berlusconi, della crisi della sinistra e dei vuoti nel rapporto complesso tra cultura e politica. Si potrebbe continuare con riferimenti a opere collettanee, curatele di storia e storiografia, vere e proprie imprese editoriali che hanno segnato la formazione di generazioni di studiosi (basti citare i numerosi volumi che lo vedono tra i principali animatori e protagonisti: Storia della stampa italiana, Il mondo contemporaneo, Storia d’Europa, La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea, Dizionario storico dell’Italia unita ).
È stato a lungo preside della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Torino, coordinatore di un prestigioso dottorato di ricerca, direttore di un master, ha promosso allievi e allieve seguendo generosamente percorsi e riflessioni di generazioni che si affacciavano curiose allo studio della storia. «È stato il primo – le parole di commiato dell’ateneo torinese – ad avviare un insegnamento di storia contemporanea a Torino nel momento in cui l’università cercava di aprirsi a un rinnovato rapporto con la società circostante e a una più proficua sensibilità alle tematiche emerse dalla crisi politica e culturale degli ultimi anni ’60. Egli ha alimentato il suo impegno nell’insegnamento, rivolto nel corso degli anni a migliaia e migliaia di studenti con una costante attività di ricerca». Un maestro di tante e tanti che in queste ore lo ricordano nella lista della Sissco (La Società italiana per lo studio della storia contemporanea, che aveva contribuito a fondare nel 1990) con affetto e partecipazione come «uomo colto, gentile, curioso» aperto a consigli e confronti senza risparmio e formalità di ruoli. Nel suo profilo lo studio della storia non è separabile dalle scelte d’impegno civile che ne segnano la biografia. Da una parte l’interesse per l’editoria si nutre degli studi sulla storia della stampa italiana, degli interrogativi sul ruolo dei media nei sistemi di comunicazione del nostro tempo, delle forme di organizzazione della politica nel contemporaneo. Dall’altra si consolida la collaborazione con quotidiani e periodici (comeRepubblica e l’Espresso ) come parte costitutiva di una scelta irreversibile per l’impegno, per una storiografia partecipe e consapevole, per un ruolo riconoscibile nel dibattito culturale della sinistra italiana. Ha tenuto insieme ambiti diversificati e distanti: le riviste storiche di riferimento, lo spazio del confronto pubblico (conferenze, convegni, seminari in lungo e in largo nella peniso-la), la presenza partecipe nella giuria del Premio dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, l’impegno costante nella Fondazione Paolo Murialdi.
Negli ultimi anni ha prevalso lo sguardo critico e tagliente sulle debolezze e le assenze della sinistra, sui vuoti politici e culturali aperti dalla lunga stagione del berlusconismo. L’esperienza di parlamentare (eletto nel 2006 con il Partito dei comunisti italiani) non corrisponde alle aspettative né riesce ad aprire una pista di riflessione e ricerca dopo la fine dei grandi partiti di massa. Il grido d’allarme «contro il pericoloso insorgere dei populismi» rimane l’ultimo generoso atto di fiducia verso la storia e i suoi sentieri.
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Marco Albertaro, La Stampa
Nicola Tranfaglia era arrivato a Torino dopo essersi laureato in giurisprudenza a Napoli e da subito si era diviso fra le sue due grandi passioni: la ricerca e il giornalismo. Per tutta la vita – ci ha lasciati ieri, a Roma, all’età di 82 anni – ha unito questi mondi, tenendoli insieme grazie al suo terzo grande amore: la politica, perché Tranfaglia apparteneva a quella generazione che era giunta allo studio della storia attraverso il viatico della facoltà di giurisprudenza, quando Scienze Politiche ancora non esisteva.
Se ne va un grande studioso, ma se ne va, soprattutto, uno straordinario organizzatore di cultura, un appassionato promotore di grandi opere editoriali, un instancabile animatore di gruppi di ricerca, di convegni, di libri collettanei.
Dopo l’esperienza alla rivista Nord e Sud, al Mondo, ma anche alla redazione esteri de La Stampa per poi spostarsi alla pagina culturale del Corriere della Sera, aveva iniziato a fare ricerca in quella fucina che era ed è la Fondazione Luigi Einaudi, per poi legarsi intellettualmente ad Alessandro Galante Garrone e, infine, divenire ordinario di Storia contemporanea e ricoprire ruoli importanti all’interno dell’Ateneo, in particolare alla Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui sarà preside per due mandati, riversando in quel luogo il suo attivismo di organizzatore culturale.
Tranfaglia ha scritto tantissimo: decine di libri sempre caratterizzati da quella sua prosa chiara e lineare che gli derivava proprio dal tirocinio nei giornali. Il suo contributo più importante e per molti aspetti ancora insuperato riguarda la storia del giornalismo e la storia della mafia, oltre all’indagine sul fascismo. Grandi opere come Il mondo contemporaneo, da lui diretta per l’editore La Nuova Italia fra il 1976 e il 1983, oppure La storia della stampa italiana (sempre sotto la sua direzione, con Valerio Castronovo) uscita con Laterza fra il 1976 e il 1995, sono soltanto due dei monumenti che hanno accompagnato generazioni di studiosi e di lettori, in cui appare in tutta la sua grandezza la capacità di mettere attorno allo stesso progetto ricercatori di generazioni diverse, armonizzate con le doti di un direttore d’orchestra.
Se da un lato abbiamo il suo grande contributo alla storia dei giornali, dall’altro c’è il suo lavoro di indagine su un tema tanto spinoso quanto cruciale, come la mafia, intesa più che come storia della criminalità, come analisi di un sistema di potere e di valori capace di permeare e di influire sullo sviluppo della società italiana. Per Tranfaglia la mafia era un «metodo» e come tale l’ha studiata, unendo alla passione del ricercatore quella del militante. Perchè Tranfaglia militante lo è stato sempre, ma di quella militanza novecentesca nella quale la battaglia delle idee era un tutt’uno con la battaglia politica nel suo senso più alto.
Da Resistenza, il periodico fondato da Giorgio Agosti e che Tranfaglia, insieme con altri, ha traghettato in un non scontato cambio generazionale, fino a Città, creatura condivisa con Diego Novelli, ha concepito il proprio essere un intellettuale come una funzione al servizio della società attraverso il racconto della contemporaneità senza fare sconti, ricercando le radici del presente, percorrendo strade inusuali, senza perdere mai di vista il rigore metodologico, si trattasse di scrivere un libro sul fascismo o un articolo su Silvio Berlusconi.
Archiviato l’impegno accademico, la sua militanza è divenuta più intensa, sia in ambito giornalistico sia nell’impegno diretto, che lo ha visto attivo in prima persona nelle file della sinistra, fino a essere eletto deputato nel 2006 con il Partito dei comunisti italiani. Anche in questo ambito il suo spirito di autonomia si è fatto sentire e i confini di quel piccolo partito gli andarono presto stretti, fino ad abbandonarlo nel 2009.