la Repubblica, 24 luglio 2021
Il museo del formaggio, ultimo spreco siciliano
Se le isole Lofoten, oltre il circolo polare artico norvegese, possono ospitare un museo dello stoccafisso, non si capisce perché una terra di squisitezze alimentari qual è la Sicilia non possa avere una galleria del formaggio. Che ci potrebbe essere in tutte le Regioni italiane, dove la valorizzazione dei prodotti tipici è un imperativo categorico. Per dirne una, la Regione Lazio possedeva addirittura un ristorante nel centro di Roma per somministrare agli avventori (compresi certi assessori) le prelibatezze locali. E pazienza se i bilanci della trattoria si rivelarono un bagno di sangue: ma così, in un modo o nell’altro, fan tutti. Come dimostra, purtroppo, il caso del museo del formaggio, vicenda che finirà inevitabilmente per alimentare tanti stereotipi sulla Regione siciliana.
Aperto nel 2012 sotto la spinta dell’amministrazione regionale presieduta da Raffaele Lombardo, è stato chiuso l’anno seguente dopo essere costato 2,5 milioni alle casse pubbliche. Tanto da originare il sospetto che l’obiettivo reale non fosse la diffusione della cultura del latticino siculo, ma qualcosa di ben diverso. Sospetto che neppure l’attuale intenzione di riaprirlo, per la modica spesa di altri 500 mila euro, riesce a cancellare.
Tutto nel solco della maledizione che perseguita quest’isola meravigliosa, mai negli ultimi decenni amministrata da una classe dirigente all’altezza, sempre concentrata sull’interesse privato e politico anziché su quello generale. Un andazzo che l’autonomismo ha finito per alimentare, trasformando la Regione in una mammella da mungere senza soluzione di continuità. La vicenda del museo del formaggio raccontata oggi nelle pagine palermitane diRepubblica dalla nostra Miriam Di Peri non è che una goccia nel mare di storie di questo tenore, funzionali a mantenere un ceto politico e il suo consenso con posti di lavoro spesso inutili e poltrone utilissime al disegno di potere. Promotore della “Cacioteca regionale” è il Corfilac, acronimo che sta per “Consorzio per la ricerca nel settore della filiera lattiero casearia e dell’agroalimentare” di Ragusa, un ente creato nel 1996 con ben 45 dipendenti. Uno dei 163 fra enti e società che fanno capo alla Regione siciliana, la cui radiografia contenuta in un dossier messo a punto dal consigliere grillino Luigi Sunseri lascia semplicemente basiti. L’arcipelago delle partecipate regionali garantisce uno stipendio più che decente a 6.997 persone, per un costo di 235 milioni di euro all’anno. E comprende anche un bel numero di cadaveri. Cioè 55 fra società ed enti in liquidazione, alcuni addirittura dal secolo scorso. Proprio così.
C’è, per esempio, l’Espi. Era una specie di Iri regionale cui facevano capo società in vari settori, che attende la sepoltura dal 1999. Esattamente come l’Ente minerario siciliano, i cui dipendenti andavano in pensione con assegni più alti dello stipendio. Presieduto per anni dal discusso (per le sue presunte frequentazioni con mafiosi di spicco, come il boss Giuseppe Di Cristina) Graziano Verzotto, ex parlamentare Dc, è stato a lungo il crocevia degli interessi politico-affaristici prima di finire in liquidazione a gennaio ‘99. Ed essere affidato a un commissario rimasto sulla poltrona per 19 anni.
Ci sono i consorzi di bonifica, che secondo i calcoli di Sunseri hanno pesato sui conti per 52,5 milioni solo nel 2020, grazie anche alla progressione vertiginosa degli incarichi dirigenziali. Poi gli enti regionali, tipo l’Istituto regionale del vino e dell’olio, capace di subire un’emorragia di 20 milioni nel conto economico in soli quattro anni. Con 58 dipendenti di cui ben 17 dirigenti e 22 funzionari. Quindi le aziende pubbliche, qual è quella dei trasporti che, sottolinea il dossier Sunseri, «ha debiti con tutti»: secondo il consigliere grillino deve perfino 24 milioni al fisco. O l’Airgest, che ha in carico i servizi dell’aeroporto di Trapani in perenne perdita, se è vero che dal 2014 al 2019 ci ha rimesso quasi 19 milioni.
Difficile dire che ne sarà di questo magma infernale. Se siamo a questo punto è la prova che le promesse di riforme e razionalizzazioni sono andate finora disattese. Troppi interessi, poco coraggio (e molto tornaconto) da parte di politici di ogni schieramento. Al proposito c’è una storia che dice tutto. Al primo presidente della Regione, Giuseppe Alessi, venne lo sghiribizzo di creare un parco ornitologico nei giardini di palazzo d’Orléans aperto gratuitamente al pubblico. L’operazione fu affidata a una ditta che per mezzo secolo, a dispetto di tutte le traversie, ha continuato ad avere l’appalto, che cinquant’anni dopo aveva raggiunto la rispettabile cifra di 470 mila euro. Mentre a dare da mangiare ai poveri animali, per anni, ci hanno dovuto pensare i volontari. A spese loro.