la Repubblica, 24 luglio 2021
I Narcos investono sulla chirurgia estetica
Daniele Mastrogiacomo, la Repubblica
La terra del Chapo Guzmán è diventata il centro della chirurgia estetica. Non per boss e sicari che vogliono cambiare fisionomia e sfuggire così a nemici e giustizia. Per le donne. Giovani e giovanissime. Sinaloa, Stato simbolo del più potente Cartello in Messico, da sempre montagnoso, povero e abitato soprattutto da contadini, oggi è famoso per la “narcoestetica”: una moda che fa tendenza e si è trasformata in una mania contagiosa. Lo racconta un’inchiesta della Bbc. Ma lo dicono anche i dati e le testimonianze dei medici che si sono ritrovati le scrivanie piene di richieste.
A Culiacán, città di origine dell’ex re della droga nel mondo, la dottoressa Rafaela Martinez Terrazas ha spiegato alla Bbc che esiste un modello fisico ricercato in maniera costante. Corrisponde al prototipo delle donne che amano i narcos, quelle che in Messico chiamano, in modo un po’ dispregiativo,buchonas. Hanno un loro stile, siti sul web: vita stretta e definita, fianchi e glutei grandi, seni prosperosi.
I pazienti di Martinez Terrazas pagano tutti in contanti: «L’età media della mie pazienti – racconta – è tra i 30 e i 40 anni. Ma molto spesso arrivano donne più giovani, anche minorenni. Competono tra loro». Alcune vengono accompagnate dal proprio ragazzo che partecipa all’incontro, fa le sue osservazioni, precisa i termini dell’accordo. In questo caso è lui a tirare fuori i soldi. «Ma la maggioranza delle richieste – spiega la chirurga – arriva via telefono. Chiamano e mi dicono: “Ti mando una ragazza da operare”. Una volta mi ha telefonato un giovane e mi ha annunciato: “Una delle mie ragazze sta venendo a trovarti. Ora, cara dottoressa, tu sai bene cosa mi piace. Non badare a quello che chiede. È per questo che ti pago”». «Sono stata subito chiara. Gli ho risposto di chiarire con la ragazza i dettagli dell’intervento perché quando la paziente entra in sala operatoria è lei a prendere le decisioni». Questo stesso cliente, aggiunge Martinez, le ha spedito fino a 30 tra donne e ragazze. Ogni liposcultura costa circa 6.500 dollari. «Non è una cifra indifferente - ricorda il medico – se si considera che bisogna effettuarne molte». I soldi provengono dal traffico di droga. «All’inizio – dice la chirurga – mi rifiutavo di prenderli. Spiegavo ai clienti che ero contraria. Ma le cose sono cambiate. L’economia di Sinaloa, i bar, i negozi, le poche industrie presenti, gli ospedali, le scuole, dipendono dal narcotraffico».
La parte più difficile per la chirurga è convincere la paziente a prendere decisioni senza farsi condizionare da amante o marito. «Per un narcotrafficante – conferma alla Bbc una persona legata ai clan che di mestiere fa il personal training nelle palestre ma aspira ad avere un ruolo maggiore nel mondo della droga – è importante avere a fianco una donna bella, appariscente, che tutti possono ammirare». I narcos sono tradizionalisti. «Le mogli, madri dei figli, restano a casa. Poi ci sono le amanti, le donne che usi come trofei».
Non tutte le ragazze si possono permettere di pagare cifre così alte per qualche ritocchino. «Allora scatta la caccia allo sponsor – spiega l’aspirante boss – arriva qualcuno e ti spiega che una sua amica vorrebbe farsi una chirurgia plastica. E aggiunge: sta cercando uno sponsor. Se al narcos piace, nessun problema. Pagherà, anzi la spingerà a fare quello che lei non aveva ancora avuto il tempo di chiedere».
Un impegno a senso unico? Assolutamente no. Le ragazze di Sinaloa non sono sprovvedute. Vivono in un ambiente che ha plasmato l’intero Stato. C’è una contrapartita. «La ragazza accetta di essere l’amante del suo padrino per sei mesi in cambio dell’intervento chirurgico. Poi ognuno è libero di andare per la propria strada», conclude la fonte citata dalla Bbc.
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Federico Varese, la Repubblica
Le mafie vogliono domare i corpi, incidere sulla carne viva degli affiliati e delle vittime. Il caso forse più emblematico è quello della mafia russa. I ladri-in-legge (vory-v-zakone) scrivono sul proprio corpo la loro intera storia criminale, quante condanne hanno subìto, il rango che hanno raggiunto, le promozioni che hanno ottenuto. Nessun lembo di pelle è off limits : vengono tatuati il dorso, il petto, le palpebre e anche il pene. Un vor georgiano qualche anno fa mi mandò la foto della sua schiena adornata da una copia perfetta del Cristo coronato di spine (1637) di Guido Reni. Fregiarsi di un’immagine che non corrisponde al proprio status è un reato gravissimo nel mondo della criminalità russa: si rischia la vita, mentre l’immagine viene cancellata con carta vetrata. I tatuaggi servono a definire chi è dentro e chi è fuori dall’organizzazione e a esercitare una forma di controllo sui membri. Nella mafia giapponese, la yakuza, è addirittura il boss che paga per i costosissimi tatuaggi dei nuovi affiliati, con immagini in genere tratte dall’opera dell’artista ottocentesco Utagawa Kuniyoshi. I membri che commettono errori sono ancora puniti col rito dello yubitsume, l’accorciare un dito fino a tagliarlo del tutto. Un marchio di appartenenza all’organizzazione di cui è molto difficile disfarsi.
Anche nel caso delle donne messicane ( le buchonas ) che accettano di sottoporsi alla chirurgia estetica per assecondare le fantasie sessuali dei fidanzatinarcos, il corpo deve essere domato, raccontare al mondo chi è il padrone. Rimodellare i glutei, aumentare il volume delle labbra, allungare gli occhi verso le tempie comunica possesso, sottomissione a una cultura e a un modello di vita.
Vi è però un paradosso: più i modelli culturali promossi dalle mafie si diffondono, meno servono a distinguere chi appartiene al mondo criminale da chi non vi appartiene. Chiunque può farsi un certo taglio di capelli o parlare come un gangster. Il leader russo Vladimir Putin all’inizio della sua presidenza utilizzò parole tratte dal gergo dei ladri- in-legge per descrivere i nemici ceceni; nelle periferie di Napoli alcuni ragazzini si vestono come gli attori di Gomorra; il drill (“rap di guerra”), che racconta le lotte tra gang londinesi, viene eseguito in tutto il mondo. La stessa moda buchona si è diffusa oltre la sottocultura dei narcos, negli Stati Uniti e in Canada.
Dobbiamo preoccuparci di questo annacquamento? Sembra che all’origine del look delle donne messicane ci sia Kim Kardashian. Sarebbe ridicolo censuare il reality “Al passo con i Kardashian”, per quanto possa non piacere. Molto più utile invece è opporre alla cultura mafiosa modelli alternativi, meglio con l’arma dell’ironia, del paradosso e del disgusto, come fece Peppino Impastato attraverso Radio Out e come hanno fatto i registi Daniele Ciprì e Franco Maresco con i loro film. Nel frattempo, lo Stato deve continuare a combattere la criminalità organizzata -quella vera- e le ragioni sociali che spingono i giovani post-sovietici a diventare ladri- in-legge e le giovani messicane a gettarsi nelle braccia dei narcos.