Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 23 Venerdì calendario

Quell’estate del 1965 di Michele Placido

La prostituta, il pullmino rubato, i carabinieri, le cinghiate del padre... Il concerto della sua vita sembra un racconto di Balzac. Era il 1965, Michele Placido aveva 19 anni e allo stadio Pino Zaccheria di Foggia passava il Cantagiro, la rassegna canora itinerante che evocava il Giro d’Italia. Foggia dista 30 chilometri da Ascoli Satriano, il paesino dell’attore e regista. «Le serate estive con gli amici si consumavano tra feste in casa a ballare lenti che erano veri e propri corpo a corpo con le ragazze e finivano al muretto o nelle costruzioni abbandonate in periferia, dove era più facile baciarsi». 
Michele aveva una fidanzatina bionda. Era soprannominata Trascendenza «perché ti guardava con gli occhi azzurri verso l’alto». Lui veniva da due bocciature a scuola, il padre, don Beniamino, geometra che chiamavano ingegnere in segno di rispetto, disperato lo mise in classe di suo fratello Gerardo, che ha 2 anni di meno e aveva buoni voti. «Fisica, matematica, chimica le ricordo come un incubo. Il professore mi diceva: manco copiare da tuo fratello sai». 
Quell’estate del ’65 tornarono al paese i coetanei che avevano trovato lavoro al Nord: «Coi primi soldi andavano in giro in Vespa, io li chiamavo “ciao neh” per prenderli in giro. Quelli avevano la Vespa, l’accento milanese, il mangiadischi a tracolla caricato a pile, fatto sta che Trascendenza mi piantò per un ragazzo emigrato. Io bevvi del vermouth e lo affrontai, non sapendo che faceva corsi di karate: in tre mosse mi buttò per terra. Picchiato e senza più fidanzata». Il giorno dopo gli amici per rincuorarlo gli dissero: «C’è il Cantagiro allo stadio di Foggia. Si va?». «Non avevamo né il mezzo né i soldi per i biglietti, d’estate la mattina raccoglievo foglie di tabacco e mi pagavano una miseria. Peppino prese di nascosto il furgoncino del padre e partimmo in sei, tutti stipati, senza sedili. Eravamo un po’ teppistelli, uno di noi riuscì a distrarre l’addetto alla sicurezza ed entrammo». La scoperta di un mondo dorato. Chi cantava? «Vinse Rita Pavone con il brano Lui, era vestita di rosso lampone, ballava benissimo. Nicola Di Bari giocava in casa, usava il dialetto un po’ cafone. Poi c’era Gianni Morandi che portò In ginocchio da te, era nostro coetaneo, sembrava uno di noi. Celentano cantava La festa, lui era ospite d’onore, ha origini foggiane ed eravamo orgogliosi, io poi a casa lo imitavo, ballavo bene il twist, chiamavano Il Molleggiato pure me, quando ci siamo conosciuti gliel’ho detto». 
Tornando, tutti elettrizzati dopo il loro primo concerto, videro al lato della strada un fuoco, un uomo stava picchiando una donna. «Scendemmo dal furgoncino e lo picchiammo. Era il suo protettore. La ragazza, impaurita, ci chiese un passaggio a Cerignola. Dopo qualche chilometro ci fermarono i carabinieri. Lei sanguinava. E cosa va a pensare la pattuglia? Che le avevamo messo noi le mani addosso. La prostituta non disse una parola per non accusare il protettore. Non avevamo documenti, nessuno di noi aveva la patente. Passammo in caserma la notte. Chiamarono i genitori che si tolsero la cinta e iniziarono a picchiarci. Papà era disperato: se mi avessero denunciato sarebbe saltata la mia domanda per fare il poliziotto... Io ero un bravo centrocampista e solo dopo che l’allenatore del Foggia, Oronzo Pugliese, non mi prese, accettai la divisa». 
Così prestò servizio a Roma. «Sì, arrivai alla fine di quell’estate. Si percepivano i primissimi sussulti del ’68, i poliziotti non erano amati, io mi cambiavo i vestiti in una pensioncina vicino alla stazione, lì conobbi una donna di 40 anni di Frosinone. Nacque una relazione. Faceva la cassiera al cinema Nuova Olimpia. Mi faceva entrare gratis. Il mio sogno era diventare attore e vidi un film che mi cambiò il cervello: I pugni in tasca di Marco Bellocchio. Quel giorno diventai adulto, nacque un altro Michele Placido». Insomma se Trascendenza non l’avesse mollato lei non sarebbe andato al Cantagiro e forse non avrebbe fatto l’attore. «Eh, il destino...».