Corriere della Sera, 22 luglio 2021
Le lettere tra Guicciardini e Machiavelli
Lettere di carta, ormai, non si ricevono quasi più. E neanche si scrivono. La posta elettronica ha reso superflua una forma antica di comunicazione. Con la loro istantaneità le mail prevalgono sulla mano/dattiloscrittura tradizionale. È inutile versarci sopra lacrime: non bagneranno i fogli d’invio, come un tempo facevano i corrispondenti più facili alla commozione. Ma serbare e trasmettere memoria di proprietà e modi di funzionamento del dialogar carteggiando (pars altera dialogi chiamava la lettera Poliziano) costituisce un buon esercizio di storia della cultura.
Ne dà lo spunto una ricorrenza tonda tonda. Mezzo millennio fa, quasi a metà del 1521, due tra i protagonisti della vicenda intellettuale italiana, Machiavelli e Guicciardini, si scambiarono in un giro breve di giorni alcuni messaggi esemplari delle capacità espressive della scrittura epistolare: per l’occasione, il contenuto, le modalità stesse di trasmissione. Ricostruire la circostanza di quello scambio, piccolo gioiello della prosa privato-familiare italiana, permette di cogliere la personalità dei due autori anche in un ambito meno conosciuto del saggismo politico e della storiografia globale, per i quali Niccolò e Francesco sono tanto famosi.
Tre sono le missive guicciardiniane, da Modena, tra il 17 e il 18 maggio 1521, indirizzate a Machiavelli; e tre le responsive di Niccolò, da Carpi: due degli stessi giorni e l’ultima del 19. A Modena Francesco risiede da cinque anni, in quanto Governatore di quella città e di Reggio, territori di papa Leone X. Niccolò è invece un semplice quondam segretario della Repubblica di Firenze: rimosso e perseguitato dopo il ritorno dei Medici dall’esilio a fine estate 1512, autore incompreso del Principe (né i Discorsi su Livio sono stati completati), ha ottenuto solo da qualche mese una riabilitazione parziale, con l’incarico di comporre le Istorie fiorentine. È venuto dalla sua città a Carpi per ottenere dal Capitolo generale dei Frati minori lì riunito lo scorporo dei conventi del dominio fiorentino dagli altri della Toscana. In sé non disprezzabile, la missione è quasi mortificante per chi un tempo aveva incontrato ministri del re di Francia e dell’Imperatore, Cesare Borgia e Giulio II. Guicciardini lo capisce e nella sua terza lettera paragonerà l’amico allo spartano Lisandro: già vincitore su Atene, era caduto in disgrazia e adibito alla fornitura delle carni per conviti pubblici e per sacrifici. Ma nel carteggio prevale sulla mestizia il senso del grottesco. A Niccolò, noto anticlericale, giunge infatti da Firenze una prescrizione aggiuntiva: ingaggi tra i francescani che incontrerà il più adatto a predicare in Duomo durante la quaresima dell’anno seguente. Nella sua missiva iniziale Francesco sottolinea divertito il paradosso di uno scouting fratesco di chi ha scritto la Mandragola.
Il desiderio di una rivalsa sul ridicolo dell’esistenza fa venire a Machiavelli l’idea di una beffa; a Carpi del resto sta inoperoso: dal Capitolo tardano a uscire i nomi dei frati con cui dovrà negoziare il distacco dei conventi. Più dei Minoriti è Sigismondo Santi, Cancelliere di Antonio Pio signore della città, la vittima designata: Machiavelli, ospitato a casa sua, scrocca «pasti gagliardi, letti gloriosi». Niccolò si fingerà impegnato, ben al di là della missione fratesca, in una rete estesissima di relazioni diplomatiche.
Il piano è esposto nella prima responsiva da Carpi, con un inizio eloquente: «Magnifice vir, major observandissime. Io ero sul cesso quando arrivò il vostro messo, et appunto pensavo alle stravaganze di questo mondo (...)». Modena dista solo dodici miglia dalla cittadina dove Machiavelli si trova. Guicciardini disponga l’invio di lettere a ritmi serrati, tramite corrieri che ostentino l’urgenza del recapito; in effetti, il Governatore assicura nella sua prima del 18 maggio, un balestriere inviato «in modo ne viene che la camicia non gli tocca le anche». La consegna della corrispondenza avviene in pubblico: il destinatario si vede, ad averne curiosità. Avviene, o meglio avveniva: la email ha oggi portato il recapito di lettere al chiuso di case e uffici. Vedendo spesseggiare i dispacci la gente di Carpi può credere che quelli di Machiavelli siano affari di Stato riservatissimi. Guicciardini agevola la simulazione dell’amico accludendo alla prima delle sue due del 18 maggio un plico di «avisi venuti da Zurich». Le carte valgono da mero arredo scenico, da ausilio recitativo: «vi porrete valere o mostrandoli o tenendoli in mano, secondo che giudicherete più expediente», suggerisce. La commedia di reputazione tocca il suo vertice quando Niccolò riferisce a Francesco delle rivelazioni sul quadro politico che ha fatto ai domestici del Santi: «in modo che tutti stavano a bocca aperta et con la berretta in mano; et mentre che io scrivo ne ho un cerchio d’intorno, et veggendomi scrivere a lungo si maravigliano, e guàrdommi per spiritato: et io, per farli maravigliare più, sto alle volte fermo su la penna, et gonfio, et allhotta egli sbavigliano: che se sapessino quel che io vi scrivo, se ne maraviglierebbono più». Scrivere una lettera qui vale recitare in presa diretta: il teatro epistolare si fa commedia all’improvviso. Il gioco è bello quando dura poco. Eletto il Ministro Generale dei frati, discussa con lui la questione dei conventi e fatta pressione su un predicatore, appropriato per Firenze ma riluttante, Niccolò prenderà rapidamente la via di casa: meglio non accentuare i sospetti di una burla sorti nel Cancelliere...
Chi voglia leggere per intero le carte messaggere tra Niccolò e Francesco del 1521 dovrebbe farlo nell’edizione (del 1989, ma ora fuori catalogo) della Bur curata da Giorgio Inglese, uno dei grandi machiavellisti del nostro tempo: qui all’intero carteggio del Segretario fiorentino con Guicciardini si accorpa quello con Francesco Vettori. Nel corso di una vita anche molti altri sono i corrispondenti di Machiavelli, sebbene meno assidui e prestigiosi. Fino a oggi le Familiari conosciute di Niccolò sono poco più di 80, circa un terzo di quelle a lui dirette. Tutte saranno incluse nei due tomi in corso di stampa, per 2.200 pagine complessive, delle Lettere, con cui la Salerno Editrice sta per concludere il cammino dell’Edizione nazionale delle opere machiavelliane avviato venti anni fa; il gruppo di lavoro incaricato della pubblicazione di questo Machiavelli privato è guidato con mano sicura da Francesco Bausi. Anche al di là dell’accertamento della lezione dei testi, di inquadramenti storico-biografici e di note esplicative, si può sperare in qualche inedito.
Quanto a Guicciardini, la monumentale raccolta delle sue circa 5.000 Lettere (le personali accorpate a quelle amministrativo-diplomatiche), pubblicata a Roma prima dall’Istituto Storico per l’Età Moderna e poi da Storia e Letteratura, è per ora al vol. 11 (1526): a Pierre Jodogne, curatore dei voll. 1-10, si affianca adesso Paola Moreno.
Sono tutti lavori che celebrano la materialità della lettera, la concretezza di un gesto con cui ci si rivolge all’alterità, scrivendo a mano come per stringere la mano (quando non per colpire di mano). Un modo di comunicare ormai superato; in questo un Machiavelli e un Guicciardini non sono più attuali: fortuna che sono universali.