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 2021  luglio 21 Mercoledì calendario

La Tim vuole educare i suoi dipendenti contro il bullismo


Tolleranza zero. Bullismo, molestie sessuali e di genere rappresentano i tre temi che Tim vuole contrastare con la nuova policy Quando si parla di bullismo si trascura il fatto che non si tratta di un tema che riguarda solo gli adolescenti. Lo si trova anche nei luoghi di lavoro dove colpisce soprattutto le donne e chi si trova nella parte più bassa della gerarchia. Sul contrasto a questo problema Tim ha deciso di fare scuola attraverso una policy su molestie di genere, sessuali e bullismo che impegna i suoi 40mila dipendenti a diffondere una cultura di inclusione e di tolleranza zero su atteggiamenti riconducibili a questi fenomeni.
La storia della policy ce la racconta Gaia Spinella che nell’ambito delle risorse umane della società di telecomunicazioni è responsabile engagement, inclusion & people development. «La società lavora sull’inclusione da tanto tempo, al punto che possiamo dire di avere una lunga tradizione in materia – racconta la manager -. La nuova policy è nata nell’ambito del progetto donna che ha previsto diverse iniziative su vari fronti per la riduzione del gender gap e per l’inclusione».
Per comprendere il fenomeno il primo passo è stata un’indagine di clima rivolta a tutte le donne di Tim, che rappresentano quasi un terzo della popolazione aziendale, e a tutti i manager e a chi ha ruoli di responsabilità, sia uomini, sia donne in questo secondo caso. «È emerso che nel gruppo, anche rispetto a tante altre realtà aziendali italiane e non, non c’è affatto una situazione drammatica, anzi. Ma abbiamo deciso di focalizzarci comunque sull’uso del linguaggio – continua Spinella -. Per quanto pochi possano essere i casi di uso improprio, non devono verificarsi per nessuna ragione. Il nostro impegno su questi temi, tra l’altro, ci ha portato a fare un percorso in partnership con “Parole ostili”, per trasferire un uso corretto del linguaggio che, in situazioni particolari, può diventare molestia. Abbiamo inoltre constatato che la base della nostra popolazione femminile a volte tende a non dichiarare problematiche di gender gap, mentre diventano più evidenti a mano a mano che si cresce di livello. Per questo lavoriamo anche sulla cultura e la consapevolezza di tutte le persone di Tim, uomini e donne a tutti i livelli».
La raccolta dei dati ha avuto la funzione di aiutare la società a capire il fenomeno, le sue dimensioni e le aree di miglioramento. Dal momento che sullo sfondo di questo lavoro c’è innanzitutto il tema dell’inclusione, Tim ha scelto di lavorarci coinvolgendo i lavoratori stessi attraverso la creazione di gruppi di lavoro. «Questo porta a dire che la nostra può essere considerata una policy bottom up dove abbiamo considerato una rosa di temi di cui parlare – sottolinea Spinella -. Tra questi c’è anche il bullismo perché abbiamo voluto inserire tutto ciò che è molestia e tutti quei comportamenti verbali, fisici e psicologici che causano danni alle prestazioni lavorative: dallo stalking, alle molestie sessuali, alle molestie di genere».
Chi ritiene di essere stato vittima di questi comportamenti può chiedere aiuto sia rivolgendosi all’azienda, sia all’esterno. Nel primo caso la segnalazione può essere fatta attraverso il portale di whistle blowing, oppure al proprio responsabile o alla direzione risorse umane, nel secondo caso invece si può utilizzare lo sportello di supporto psicologico che è nato con una finalità più generale oppure, per esempio, rivolgersi alla Fondazione Libellula, un’organizzazione che promuove la cultura contro la violenza sulle donne e la discriminazione di genere.
La policy è uno dei tasselli di un progetto globale di inclusione e di riduzione del gap di genere con cui Tim vuole dare un contributo che va al di là del perimetro aziendale. «I nostri 40mila lavoratori – spiega Spinella – sono uno spaccato del paese e sentiamo nei loro confronti una forte responsabilità sociale. Il lavoro da casa, che è aumentato a causa del distanziamento imposto dall’emergenza sanitaria dell’ultimo anno e mezzo, e la didattica a distanza dei figli, li ha portati a stare maggiormente a contatto con le famiglie: questa policy vuole sostenere un salto culturale verso l’inclusione per tutti, a cominciare dalle generazioni più giovani».