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 2021  luglio 21 Mercoledì calendario

Una biografia di Ernesto Nathan scritta da Fabio Martini

Cento anni a Roma sono come un giorno. Ma esistono nella storia dell’Urbe mattinate non solo piene di sole e arieggiate, ma anche così misteriosamente fattive e predisposte alla fiducia, che a distanza di un secolo da una parte se n’è smarrito il ricordo, dall’altra sembrano irreali, fantastiche, o tali da relegarsi al mondo del mito.
Anche per questo servono i libri: ricordare, ma nello stesso tempo dimostrare che in certi momenti l’impossibile si offre a portata di mano. Chi riconosce più, in tempi bassi come questi, la forza irresistibile della volontà politica? Volontà di cambiare, riscattare, bonificare, costruire, lasciare un segno di sé nelle cose che non c’erano e restano. Quanto di più lontano, in realtà, dalle chiacchiere, dalle promesse, dalle male arti che si scambiano i candidati alle prossime elezioni, nessuno dei quali in grado di coagulare attorno a sé quell’energia collettiva senza la quale il potere è puro orpello, bugiarda cialtroneria o manifesta arroganza.
Lavoro di grande sapienza e sensibilità, perciò, questo Nathan e l’invenzione di Roma: il sindaco che cambiò la Città eterna (Marsilio, 283 pagine, 18 euro) di Fabio Martini: libro per molti versi controcorrente rispetto alla facile e misera pubblicistica in voga, maturo, misurato, documentato, alieno da facili suggestioni, ma soprattutto capace di suscitare nel racconto la scintilla per cui si comprende come dentro il passato ci sia la risposta alle magagne del presente; solo che bisogna cercarsela con pazienza, senza superficialità, scorciatoie e pregiudizi.
Nel 1907 i cittadini votanti affidarono il governo della capitale a una compagine che teneva insieme il blocco dei repubblicani, socialisti e radicali con i liberali meno reazionari. Il risultato fu appunto uno di quei rari momenti che vale la pena di riesaminare con la speranza di una lezione universale. Perché quell’esperimento durò poco, appena sei anni, ma realizzò tantissimo. Lo guidava un uomo a pensarci bene del tutto anomalo e probabilmente irripetibile: Ernesto Nathan, giunto al Campidoglio ormai più anziano che giovane, ebreo cosmopolita e patriota mazziniano per vocazione e tradizione famigliare, un borghese più che attento ai problemi delle classi popolari, già Gran Maestro della massoneria e come tale acceso anticlericale nella città del Papa semi-prigioniero.
Ebbene, si rivelò un sindaco tanto integro sul piano degli interessi pubblici e della moralità civica quando politicamente abile e flessibile, a tratti perfino manovriero, ma sempre con un progetto in testa e ancora di più nel cuore. Lo si vede come meglio non si potrebbe in un ritratto che egli stesso commissionò a Giacomo Balla e che ne rese il tratto umano cogliendolo con la prontezza di un fotografo in un atteggiamento egualmente concentrato sulle carte e sull’ascolto, le due grandi virtù non solo sue, ma del potere che sa farsi luminoso e concreto. Eppure il maggior merito dello studio e del racconto vivo di Martini sta nel far capire con la massima chiarezza che ieri come oggi la politica non è un campo dei miracoli entro cui pensa e agisce un solo uomo, ma un campo magnetico che attrae le più varie e mutevoli esperienze ponendole al servizio di un obiettivo che a sua volta di solito coincide con il bene pubblico. Per cui Nathan seppe raccogliere attorno a sé tecnici, scienziati, urbanisti, pedagoghi, da Montemartini a Marcucci, da Chiesa fino a Maria Montessori, combinandoli e coinvolgendoli in un fervore realizzativo che ruppe equilibri e incontrò resistenze, ma che anche dopo aver ceduto ai poteri forti della rendita e alle modificazioni del quadro politico generale resta un esempio su cui è utile riflettere.
Istruzione, gas, acqua, lotta al carovita, problemi abitativi, mezzi pubblici, municipalizzate, cultura: in altre parole lo spirito del Risorgimento a Roma fiorì e fece frutti, senza più bisogno di cannonate e caduti, ben quarant’anni dopo la breccia di Porta Pia.
A volte bisogna sapere aspettare. Se cent’anni nella Città eterna sono solo un giorno, mai come oggi è necessario sapere che la storia di solito non chiede il permesso e gli uomini decisivi se li forgia e li raggruppa a sua indiscutibile e a volte provvidenziale necessità.