Il Messaggero, 20 luglio 2021
Intervista a Jhumpa Lahiri
«In questo mondo fragile e figlio della pandemia, a Nerina invidio la libertà di muoversi senza paura». La scrittrice Jhumpa Lahiri è nata a Londra da genitori bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti, oggi vive e insegna a Princeton ma non ha mai interrotto il suo legame con l’Italia. Anzi, raggiunta al telefono per una lunga chiacchierata, risponde dal suo appartamento romano e ribadisce: «Mi sento trasteverina da dieci anni, questo quartiere mi fa sentire felice». Jhumpa Lahiri, recentemente proclamata Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, il prossimo 23 luglio sarà una dei protagonisti di Letterature. Festival internazionale di Roma. Autrice riservata e molto amata dal pubblico, ha ricevuto numerosi riconoscimenti ricordiamo il Premio Pulitzer, il PEN/Hemingway Award ed è membro dell’American Academy of Arts and Letters ha pubblicato sette libri (in Italia sono editi da Guanda) da L’interprete dei malanni e La moglie, compiendo una progressione linguistica votata ad uno stile ricercato ed essenziale, giungendo sino a Dove mi trovo, il primo romanzo scritto direttamente in italiano e infine, Il quaderno di Nerina (Guanda), in cui costruisce l’artificio del ritrovamento di un quaderno appartenuto ad una donna Nerina che firma un vasto corpo di poesie, indagando sulla vita e il legame con Roma. Nerina è l’alter ego dell’autrice, un inno all’essenza della scrittura: «Quando scrivo non mi sento uomo o donna, sono oltre, finalmente libera, in uno spazio fluido in cui poter superare ogni confine».
La scrittrice pluripremiata rinasce poetessa. Una rivelazione?
«Tutto nasce dalla parola, sempre. Nell’estate del 2018 uscì Dove mi trovo e poco dopo, a Roma con mio marito e i miei figli, ho iniziato a scrivere poesie. È stata come una scoperta di una nuova dimensione, una voce nuova e sconosciuta che mi è venuta a scovare ed io ho ascoltato la chiamata, lasciando che questi versi prendessero forma sulla carta».
Ha evocato la scoperta di un quaderno, il ritrovamento delle foto in un cassetto e l’esistenza di una donna che si racconta con le parole. Perché non una classica silloge?
«Perché mi sono sentita visitata da un’altra persona, nella mia testa. Da dove vengono le storie, dove nascono parole così intime? Sono io a scrivere ma sembra una mano diversa e così, sfruttando questo gioco d’ambiguità, è nata lei, Nerina».
Nerina è apolide poliglotta e immigrata. È anche fragile, come il nostro tempo?
«Certo. Lei mescola l’India, gli Stati Uniti e tanti luoghi italiani, trovando un punto d’incontro che sinora mi sembrava impossibile».
In questa storia anche il Covid ha un ruolo?
«Sì, il libro era pronto e sarebbe dovuto uscire lo scorso anno. Aspettavo Nerina mentre tutto veniva sbarrato dal lockdown sinché la pubblicazione è stata rimandata. Ora il mondo è cambiato, io ho perso mia madre e ritrovare questo libro è molto interessante».
Avrebbe letto queste pagine a sua madre?
«Sicuramente. Avrei voluto leggerle e tradurle in bengalese qualcuna delle poesie italiane ma non abbiamo fatto in tempo. Dovrò convivere con questo rimpianto».
L’anno scorso ha partecipato alla raccolta Andrà tutto bene (Garzanti). Oggi cosa ne pensa, avremo un lieto fine?
«Credo che per altri cinque anni dovremo tenere con noi le mascherine. Abbiamo l’arma del vaccino ma la lotta contro le varianti sarà ancora lunga».
Usa-Italia: la paura del contagio è comune?
«Non direi. In Italia l’estate è quasi una religione, significa muoversi e viaggiare, nuovi amori e tanto entusiasmo. Gli Stati Uniti la stanno vivendo diversamente, c’è timore di spostarsi e di fare progetti. Degli italiani amo la gioia di vivere ma ho apprezzato come negli Usa si siano dati da fare per vaccinare tutti in gran fretta».
E i no-vax?
«Mi fanno paura. Non li capisco e mi rendo conto che se questa quota di persone aumenterà ancora sarà un problema, saremo sempre in bilico».
Jhumpa, lei si sente romana?
«Sono trasteverina da dieci anni. Ho vissuto a Londra e New York ma Roma è casa. Mi rende felice tornarci, passeggiare nel mio quartiere e godermi un tempo fatto di cose normali. Il bar Glorioso, sotto casa, è talmente parte della mia routine che è finito in queste pagine, nella vita di Nerina».
Nel 2019 è stata nominata Commendatore. Cosa ricorda?
«Una grandissima emozione. Proprio adesso riguardo la pergamena firmata da Mattarella, è stato incredibile».
Per una narratrice cosa cambia scrivendo poesie?
«Tutto, perché muta il rapporto con le emozioni. Oggi mi interessano meno il plot e lo sviluppo dei personaggi, piuttosto mi affascina la ricerca delle parole e il richiamo dei ricordi».
Oggi tanti italiani usino sempre più inglesismi e neologismi. Come se lo spiega?
«Mi dà fastidio. Sono spesso brutti, suonano male e fanno un torto alla ricchezza della lingua di Dante. E per rifugiarmi, mi tuffo nella vostra letteratura, senza tempo».
Come sa ci sono polemiche cicliche nel mondo culturale. Il dibattito sulla parità di genere nel mondo editoriale, la interessa?
«Per niente. Certo, storicamente noi donne abbiamo avuto meno opportunità e ci sono autrici come Virginia Woolf che resteranno un faro ma la scrittura per me è uno spazio oltre il genere. Quando scrivo non mi sento uomo o donna, sono oltre, finalmente libera, in uno spazio fluido in cui poter superare ogni confine. Scrivere è questo per me, diventi altro e più passa il tempo, più lo trovo eccitante».
Le polemiche non la entusiasmano?
«Mai. Sono come mosche nel giardino della letteratura».