"Francesco giullare di Dio" fu in concorso alla Mostra di Venezia ma fu oscurato da "Stromboli".
«In realtà Stromboli non ebbe gran successo, ma c’era più attenzione per lo scandalo di mamma e papà che si erano innamorati e sposati».
Quando lo vide la prima volta?
«Non ho ricordi precisi sui film dei miei genitori. Nella mente si confondono interviste e conversazioni in salotto, immagini sullo schermo o in moviola, mio padre montava in casa. Ma so che questo film gli piaceva, perchè Francesco è il santo dei bimbi e degli animali e per la collaborazione con Fellini, la loro allora era un’amicizia fertile. I miei genitori in quel tempo erano sposati, ricordo la casa, il nostro cane».
Aldo Fabrizi era il tiranno Nicolaio, quando suo padre gli parlò della sensazione di bontà e gioia che aleggiava nella storia mormorò "questo è matto...".
«Era un film gioioso, sì, e la scena con Aldo Fabrizi che fa il barbaro è accessibile anche per una bambina. Ma c’erano anche momenti drammatici. Papà dopo ha fatto Europa 51 , entrambi erano una ricerca di riconciliazione e perdono dopo la terribile divisione della guerra tra fascisti e antifascisti.
Europa 51 è la storia di una donna che diventa santa e come San Francesco viene da una famiglia borghese. Ma questo film l’ho capito da adulta».
Il cinema di suo padre cambiò l’immagine che gli americani avevano degli italiani.
«Me lo spiegò Martin Scorsese ai tempi del nostro matrimonio. Il neorealismo non aveva solo imposto uno stile, ma aveva commosso gli americani per la sofferenza della popolazione durante la guerra civile.
Allora la comunità italoamericana era vista come un possibile nemico, quella giapponese fu internata durante la guerra».
Sua nonna era molto religiosa.
«Sì, Quando mio padre da piccolo ebbe la spagnola, la pandemia di allora, fece il voto di vestirsi di nero se papà si fosse salvato. Vi ha tenuto fede tutta la vita, solo dopo tanti anni la ricordo con qualche piccolo punto di colore nell’eterno nero».
Che rapporto aveva suo padre con la religione?
«Era agnostico, nonna andava in chiesa ogni domenica e anche la sorella piccola di mio padre era credente. Quando papà morì ci fu il dibattito in famiglia se fare la messa o no. Poi lo facemmo perchè la zia ci teneva. Papà guardava alla religione cattolica come una grande filosofia, una cultura e una tradizione a cui sentiva di appartenere e alla quale si riferiva per dare le risposte alle questioni più profonde. Non gli interessavano tanto l’inferno o il paradiso, quanto la morale, l’etica».
Il rapporto con i miracoli?
«Mio padre era accusato di non
descriverli in modo grandioso. I suoi erano miracoli ambigui. In Viaggio in Italia una coppia in crisi si ritrova in una processione sulla costiera amalfitana, un uomo grida al miracolo, "vedo", loro guardano la folla come fosse di barbari, vengono separati e quando si riuniscono si abbracciano e ritrovano il legame.
Forse quello è il miracolo. In Francesco i barbari buttano il prete come una palla, lo fanno cadere e lui non muore mai. È un miracolo, ma mio padre non lo sottolinea: la santità è l’empatia con cui il prete si relaziona ai nemici, che li disorienta e gli fa abbandonare il territorio».
Il suo rapporto con la fede? Quali sono stati i suoi "miracoli"?
«Come mio padre non credo nei miracoli e non ho sogni. Ho fatto la vita che ho scelto. L’unico sogno forse è quello di poter prosciugare l’Oceano Atlantico e far diventare Usa e Europa a un’ora di distanza».
Come ha trascorso la clausura?
«Qui in casa, organizzando cineforum con gli amici, discutendo su zoom. Ho visto anche molti film di registe, negli ultimi dieci anni ce ne sono molte. Sono contenta della Palma vinta da una regista, ed è vero che oggi ci sono più possibilità. Io sono diventata autrice a sessant’anni, nessuno mi dava più retta».
Da autrice a cosa lavora?
«Ho appena tenuto al Museo d’Orsay due conferenze-spettacolo su come la teoria di Darwin ha influenzato l’arte: secondo l’evoluzione abbiamo molto in comune con gli animali. Ora preparo un monologo con il Teatro di Nizza, ancora su Darwin. Stavolta sui gesti: ci sono quelli della cultura a cui apparteniamo, ma anche espressioni universali - gioia, stupore - che per Darwin sono legati all’evoluzione.
Chi meglio di un’attrice può mettere in scena questa teoria?».