La Stampa, 19 luglio 2021
La mia amica Amy Winehouse
Il 23 luglio di dieci anni fa, Tyler James tornò nella bella casa di Camden Square in cui viveva con Amy Winehouse dopo due notti trascorse fuori. Se n’era andato perché lei aveva ricominciato a bere, e lui non la sopportava più, anche se - ammette ora - i periodi di sobrietà si stavano allungando, le ricadute erano sempre meno frequenti. Avevano litigato, lei stava ascoltando musica a tutto volume (Ghost Town degli Specials, ricorda), lui le aveva chiuso il computer portatile in faccia ed era stato sincero come non mai, le aveva ricordato che anche i medici ora le dicevano che rischiava di morire. Quel 23 luglio, quando tornò, Amy Winehouse era stata da poco trovata morta nella sua camera da letto, con lo stesso computer aperto e con diverse bottiglie di vodka vuote intorno. «Per almeno cinque anni ho pensato solo a sopravvivere e ad affrontare il dolore - racconta ora Tyler James - ma sapevo che prima o poi la sua storia, e di riflesso la mia, le avrei raccontate. Continuavo a vederla in sogno, mi diceva: scrivi! Era ciò che faceva lei. Quando stava male, scriveva. Ci ho messo quattro anni a mettere insieme questo libro, ho iniziato un giorno a casa ed è stato un incubo, ma il giorno dopo già mi sentivo meglio. È stato un processo lungo e difficile, ma incredibilmente terapeutico. E poi glielo dovevo: su di lei si sono dette troppe falsità».
Spettacolare e fugace come un fuoco d’artificio, Amy Winehouse è apparsa al mondo nel 2003 con un album, Frank, molto apprezzato dalla critica e di buon successo, e si è spenta con Back to Black, l’album che conteneva Rehab, Love is a Losing Game, Back to Black, che ha venduto venti milioni di copie fino a che non si è smesso di contare, che le è valso cinque Grammy e una fama globale che lei paragonava al cancro («Da non augurare a nessuno»). Con il suo stile compositivo e vocale che doveva molto al jazz, retrò eppure incredibilmente nuovo (e poi molto imitato), Amy Winehouse rimane una presenza eccentrica, un enigma affascinante. A spiegarlo ci hanno provato i documentari (memorabile Amy, uscito nel 2015, di Asif Kapadia), i libri, in particolare Amy, mia figlia di Mitch Winehouse, il padre, che prima o poi potrebbe diventare un film. La madre di Amy, Janis, ha collaborato al documentario della BBC Amy Winehouse: 10 Years On che dovrebbe andare presto in onda.
Tyler James aggiunge ora La mia Amy, uscito prontamente anche in Italia grazie all’editore Hoepli (p. 337, euro 17,90), racconto di un’amicizia che risale agli anni della scuola di recitazione, dove lui e Amy legarono perché erano cantanti e soprattutto non sapevano ballare. Lei aveva 12 anni, lui 13: «Amy era introversa, una nerd pazza per la musica. Amava Gershwin, il jazz classico, credo che questa passione gliel’avesse passata il padre. Poi, crescendo, ha allargato i confini, ha scoperto i gruppi vocali femminili degli Anni 60, le Shangri-Las, però è rimasta sempre se stessa, vera, onesta, è per questo che è stata così amata e ancora lo è. Cantava ciò che le accadeva, non inventava nulla. Quando soffriva per amore sedeva sul pavimento della cucina e scriveva su quei taccuini immergendo la penna nel cuore. Tutti i brani di Back to Black sono nati come poesie, poi sono diventati canzoni».
Il che spiega anche perché dopo quell’album non sia più riuscita a scrivere: «La pressione su di lei era enorme: aveva vinto cinque Grammys! Lei diceva: che cosa dovrei scrivere, ora che non posso neppure uscire di casa? Penso che lei in fondo non volesse più fare musica: non che non le piacesse più, è che odiava essere famosa. E fare un altro disco avrebbe significato tornare in luoghi e ambienti che non voleva più frequentare».
Anche Tyler James aveva un contratto discografico: pubblicò un album, non fu un gran successo: cominciò a bere, uscì a fatica dalla dipendenza. Stava cercando di salvare se stesso, come poteva tirar fuori l’amica dal gorgo in cui s’era cacciata? Ora Tyler alleva agnelli in Irlanda: «Ho visto i miei amici finire dentro l’eroina. A un certo punto farsi è diventato un gesto normale come accendersi una sigaretta, quante volte nei bagni di uno dei locali di Camden ho visto qualcuno con la siringa nel braccio. Non ho nostalgia , allora l’industria discografica andava forte, era una lotteria in cui chi vinceva, vinceva tutto, fama e denaro. Oggi girano meno soldi, si può andare in giro a cantare, fare dischi senza le pressioni che hanno ucciso Amy».
A 27 anni, quando è morta, Amy Winehouse stava cercando un modo per vivere, sopravvivere. È questo il nucleo di ciò che Tyler James racconta: «La retorica sul rock’n’roll, morire giovani, belli e dannati non aveva alcun significato per lei. Amy era uscita dall’eroina e dal crack, i periodi senza alcol diventavano sempre più lunghi. Anzi, tornare a bere all’improvviso può essere letale per un corpo come il suo, debilitato da anni e anni di bulimia. Amy è stata uccisa dalla dipendenza e dal successo».