Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 18 Domenica calendario

Memorie del libraio Martin Latham


Scalare gli scaffali, che divertimento!Memorie di un libraio. Martin Latham racconta storie avventurose e gustosi aneddoti dove i protagonisti sono i clienti e i volumi, da quelli rarissimi da collezione ai dozzinali «chapbooks»Massimo BucciantiniProfumo di libri.  Martin Latham ha scritto «I racconti del libraio» pensando ai frequentatori più assidui della sua libreria, la Waterstones Booksellers ADOBESTOCK «Martin Latham ci racconta la storia della nostra ossessione per i libri, in tutte le sue infinite sfumature». Così recita il risvolto di copertina. E a fine lettura, posso dire che queste parole corrispondono esattamente al suo contenuto. Un libro enciclopedico e divertente allo stesso tempo, ricco di storie a volte molto erudite e altre volte aneddotiche, dove i protagonisti sono i libri e i loro variegati lettori, di qualunque latitudine ed epoca, e di qualunque classe sociale. 
Non è un libro per accademici. Ce ne sono fin troppi che raccontano tutta in verticale la nascita della stampa a caratteri mobili e quanto questa invenzione ha sconvolto mentalità e abitudini (e uno dei migliori resta ancora La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento di Elizabeth Eiseinstein, il Mulino).
I racconti del libraio lo consiglio a coloro che quando escono di casa non dimenticano mai di portare con sé un libro (perché non si sa mai), a chi non può fare a meno di entrare in libreria anche solo per dare un’occhiata alle novità, a tutti quei genitori frequentatori assidui di biblioteche che, appena possono, sono felici di accompagnarvi i propri figli. Insomma, è dedicato a quella vasta tribù di lettori «tossici» e bulimici che ancora esiste e continua a nutrire una forte sensibilità per la pagina scritta e l’oggetto libro in quanto tale. 
Dopo aver conseguito un dottorato in Storia dell’India e aver insegnato alla Hertfordshire University, Latham decide di cambiar vita e per trentacinque anni lavora in una libreria di Canterbury. Nel 1988 viene assunto alla Waterstones Booksellers, a pochi passi da Kensington Palace. La libreria, disposta su un’ariosa e luminosa palazzina di tre piani, è aperta fino alle dieci di sera e allora come oggi è stata un rifugio e una salvezza per molti, compresa la principessa Diana («lasciava le sue guardie del corpo ad aspettarla fuori, e nessuno la disturbava mai quando si aggirava da sola tra gli scaffali»). E mi piace pensare che queste storie Latham le abbia scritte pensando proprio ai frequentatori più assidui della sua libreria. A quei clienti che «accarezzano una copertina, sbirciano sotto la sopraccoperta, chiudono furtivamente gli occhi per annusare l’odore che fuoriesce dalla valle delle pagine, stringono al petto il volume dopo averlo acquistato e gli assestano persino un piccolo bacio».
I racconti sono intrecciati con grande maestria (dai libri consolatori dell’adolescenza a quelli oggetto delle passioni più sfrenate del collezionismo privato, dai volumi e codici preziosi delle grandi biblioteche della prima età moderna come la Biblioteca Ambrosiana e la Bodleian Library ai libretti a buon mercato dei venditori ambulanti e delle prime biblioteche circolanti) e hanno un’idea forte che li tiene insieme, e cioè che nel mondo dei libri non è mai esistita una netta linea di separazione tra «alto» e «basso», tra popolare ed elitario. È questo il filo rosso da seguire mentre ci perdiamo con piacere in questo labirinto di storie costruito con passione ed erudizione. Così non sorprende che uno dei capitoli sia riservato alla «strana potenza emotiva dei libri dozzinali», i chapbooks, libretti e opuscoli diffusi in tutta Europa tra la metà del Cinquecento e la fine dell’Ottocento. «Un penny in bianco e nero, due penny a colori», era lo slogan di una pubblicità in Inghilterra dei chapbooks. Privi di copertina e stampati con carta più scadente, raccontavano storie di superstizioni, fantasmi e delitti, di cavalieri e principesse, venduti per strada e acquistati da ricchi e poveri. Come sottolinea Latham, i penny dreadfuls e gli shilling shockers «hanno aperto la strada all’avvento dei libri economici in brossura, contribuendo così ad aumentare il tasso di alfabetizzazione e le ore dedicate alla lettura tra le classi meno abbienti». Per tutta l’infanzia Charles Dickens lesse romanzi penny dreadfuls, e lo stesso fece Stevenson. Spesso contenevano versioni ridotte di libri d’avventura come L’isola del tesoro, Robinson Crusoe e I viaggi di Gulliver. Altre volte, invece, come i livres bleus in Francia, erano libelli filosofici e politici clandestini, fatti apposta per diffondere idee radicali e sfuggire alla censura ecclesiastica o di stato. 
Anche se non mancano pagine brillanti sui bouquinistes della Senna – a partire dalla scoperta fatta da François Truffaut del romanzo Jules et Jim di Henri-Pierre Roché – o sulle librerie di New York o sul contrabbando dei libri nella Francia dell’Ancien Régime, I racconti del libraio è molto “british” e farà sicuramente contenti gli amanti della letteratura inglese. E delle biblioteche inglesi. Veri e propri luoghi di democrazia, a cominciare dalla più celebre. «Una nave in mezzo all’oceano», è la metafora usata da Latham. «Lo percepisci quando sei dentro l’immenso spazio della British Library, e l’atmosfera calda che pervade le sue file compatte di scrivanie in cui le persone lavorano tutto il giorno ti dà la sensazione di stare sottocoperta». Un transatlantico meraviglioso, con la sua grande sala di lettura a cupola accessibile a tutti, e non solo a un’élite di studiosi. Fu costruita tra il 1854 e il 1857, grazie all’intuizione del suo direttore, un italiano, l’esule e radicale Antonio Panizzi, costretto a fuggire dall’Italia per sottrarsi alla condanna a morte in contumacia comminatagli dal duca di Modena. «Il forestiero», come con disprezzo veniva apostrofato da uno dei suoi acerrimi nemici, il bibliotecario reverendo Henry Clark, che lottò strenuamente contro la decisione di affidare «la gestione della nostra Biblioteca nazionale a uno straniero». Senza però riuscirvi.