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 2021  luglio 18 Domenica calendario

Il problema dell’Africa con il Covid

«Passate le prime ondate c’è stato un senso di rilassamento. Sembrava tutto finito. Non è stato così». Giacomo Menaldo, 39 anni, lavora per Emergency nell’ospedale pediatrico di Entebbe, in Uganda, a pochi chilometri dalla capitale Kampala. Le prime ondate di Covid sono scivolate senza lasciare il segno, arginate da lockdown e blocco delle frontiere. La terza ha scatenato l’allarme, con casi quasi raddoppiati da circa 42mila a 80mila fra maggio e giugno. «Questa è la prima  veraondata» dice Menaldo. 
Il caso dell’Uganda riproduce, in forma aggravata, uno scenario comune. Dopo un primo anno e mezzo più blando, il Covid sta riversando tutta la sua irruenza in quella che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito subito una «ondata senza precedenti» per l’Africa. Fra gennaio e giugno 2021 i casi registrati in tutti i Paesi africani sono balzati dai 2,8 milioni a circa 5,8 milioni, superando il 13 luglio il tetto dei 6 milioni. L’Oms ha registrato un aumento del 43% delle vittime nella settimana conclusa l’11 luglio, con un incremento di 6.273 decessi concentrati per oltre l’80% fra Namibia, Sudafrica, Tunisia, Uganda e Zambia. Un’accelerazione che ha rimesso in moto il virus in 18 Paesi, mentre la variante Delta è comparsa in almeno venti e la quota di cittadini completamente vaccinata non supera l’1,5% di una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone.
È vero che l’intero continente ha registrato pochi più casi della sola Francia da inizio pandemia e le sue vittime, circa 155mila, equivalgono a meno di un quarto dei decessi conteggiati negli Usa. Ma a spaventare è il ritmo di crescita, con un milione di casi in più nell’arco di un mese. «Ora la gente percepisce veramente cosa significa il virus» dice al Sole-24Ore Juliet Atellah, una data journalist kenyota che si occupa del progetto Elephant, una mappatura dei contagi nei Paesi africani.
Sul banco degli imputati ci sono soprattutto tre fattori. Il primo è l’allentamento delle strette che avevano tenuto sotto controllo i contagi. Paesi come lo stesso Uganda sono corsi ai ripari imponendo nuove restrizioni, con tanto di pene detentive per i trasgressori. Ma non tutti possono o vogliono permettersi il pugno di ferro, dopo mesi di lockdown che hanno affossato le economie e seminato un malumore pronto a riesplodere in proteste di piazza (e infoltire, in regioni come il Sahel occidentale, le file dei miliziani). Lo stesso caos che ha travolto il Sudafrica nasce con l’incarcerazione dell’ex presidente Jacob Zuma, ma è indubbio che il Covid abbia carburato ancora di più malesseri pregressi alla pandemia.
Il secondo fattore di timore è la proliferazione di varianti. La cosiddetta Delta è stata rilevata in 21 Paesi ed è già diventata dominante in Sudafrica, dove si registrano un terzo dei casi di tutto il Continente, mentre Alpha e Beta sono comparse in almeno 35 e 30 Paesi.
L’età della popolazione, in diversi casi pari a un valore mediano sotto ai 18 anni, aveva rappresentato un argine contro le prime ondate. Ora offre terreno fertile a mutazioni che bersagliano giovani e non vaccinati, accentuando tutte le carenze di sistemi sanitari andati in crisi già in fasi più tenui della pandemia. Secondo una stima del 2020 dell’agenzia Reuters, nei Paesi del continente si registrano meno di un posto letto in terapia intensiva e un ventilatore ogni 100mila abitanti, con un totale di 1.920 posti letto totali in tre giganti come Nigeria, Etiopia ed Egitto. Oggi, rileva l’Oms, già sei Paesi stanno riscontrando carenze di spazi e il fabbisogno di ossigeno è superiore del 50% rispetto allo stesso periodo del 2020.
Il fattore più critico, in prospettiva, resta comunque il terzo: il ritardo nelle vaccinazioni. «I dati sulle varianti devono ancora essere studiati. La questione di fondo è un’altra: se avessimo una buona copertura vaccinale, saremmo certi che questa ondata non condurrebbe a un disastro», spiega da Ouagadougou (Burkina Faso) Edinam Agbenu, Vaccine Safety and Quality Officer dell’Oms. Nel continente si registrano casi incoraggianti, dagli hub di massa allestiti in Angola alla comunicazione pro-vax in Ghana, ma il grado di copertura resta schiacciato ai minimi. Il 15 luglio risultavano pienamente vaccinate 18 milioni di persone, l’1,5% della popolazione del Continente. I 52 milioni di dosi somministrate nei Paesi africani equivalgono all’1,6% dei 3,5 miliardi di dosi inoculate su scala globale. E il dato va comunque soppesato con l’exploit vaccinale di Paesi come il Marocco, dove sono si sono superati i 19 milioni di dosi già a fine giugno.
Il problema è che, per ora, né i programmi internazionali né le “donazioni” attese dei Paesi più ricchi stanno fornendo un quantitativo di dosi adatto all’emergenza in arrivo. Nel complesso i Paesi africani producono internamente l’1% dei vaccini utilizzati. Senza un import vigoroso, i tempi di copertura potrebbero dilatarsi all’infinito. L’Oms sostiene che si stiano intravedendo dei «segnali positivi» nelle forniture, ma le dosi consegnate ai Paesi del continente non superavano a inizio luglio i 66 milioni. Il totale include 40 milioni di dosi negoziati bilateralmente dai singoli Paesi e 25 milioni di dosi circa dal programma solidale Covax. Ora gli Usa hanno annunciato che invieranno «entro pochi giorni» altri 25 milioni di dosi, iniziando la distribuzione da Burkina Faso, Gibuti ed Etiopia. 
In alcuni casi, poi, è la macchina stessa delle vaccinazioni che si inceppa. Il Sudafrica, in teoria fra i Paesi più forniti, ha ordinato un milione di dosi AstraZeneca, 11 milioni di dosi Johnson&Johnson e 20 milioni di dosi Pfizer, con l’aggiunta di 12 milioni in arrivo dal programma Covax. La campagna ha iniziato a ingranare dopo mesi di tira e molla, ma a metà luglio solo il 6,5% della popolazione aveva ricevuto una dose e una quota decisamente più ridotta (2%) risultava del tutto vaccinata.
E ora? L’Oms si è prefissata un traguardo del 10% di popolazione vaccinata in Africa entro settembre 2021, contro il 70% sfiorato dagli Usa a luglio dello stesso anno. Per farlo servirebbero 190 milioni di dosi, circa il doppio rispetto a oggi. «Ci sono state – sottolinea Agbenu – delle disuguaglianze nelle forniture di vaccini nel mondo. L’obiettivo, ora, dovrebbe essere quello di aumentare la copertura nei Paesi basso e medio reddito».
Finora l’import di vaccini è stato più un obbligo, che un’opzione, ma l’obiettivo è di ribaltare la tendenza. L’Unione africana, l’organizzazione che riunisce i 55 Paesi del continente, sta investendo sull’autosufficienza nella produzione vaccinale, mirando a sfornare in casa il 60% dei vaccini utilizzati in Africa entro il 2040. La crescita produttiva dovrebbe passare per lo sviluppo e il potenziamento della manifattura di settore, cavalcando magari la crescita degli scambi interni prevista con l’entrata in vigore dell’African continental free trade area, la maxi-area di libero scambio africana. «Sì, è vero, è ambizioso. Ma – dice Agbenu – serve fissare degli obiettivi per poi iniziare seriamente a lavorarci».