3 giugno 2021
Tags : Aleksej Navalnyj (Aleksej Anatolevič Navalnyj)
Biografia di Aleksej Navalnyj (Aleksej Anatolevič Navalnyj)
Aleksej Navalnyj (Aleksej Anatolevič Navalnyj), nato a Butyn (Russia) il 4 giugno 1976 (45 anni). Avvocato. Attivista politico. Cofondatore (nel 2012) e leader (dal 2013) del partito «Russia del futuro» (già «Alleanza del popolo», dal 2012 al 2014, e «Partito del progresso», dal 2014 al 2018). Fondatore della «Fondazione anti-corruzione» (2011-2020). «L’oppositore più carismatico di Putin» (Leonardo Coen). «Sono nella sezione più nera della lista nera» • «Figlio di un ufficiale dell’Armata rossa, cresciuto nelle città militari intorno a Mosca chiuse agli stranieri, laureato alla prestigiosa Rudn, l’ateneo moscovita una volta intitolato a Patrice Lumumba e poi ribattezzato “Università dell’amicizia fra i popoli”, Navalnyj attraversa i tumultuosi anni Novanta mostrando subito una passione per la politica. Nel 1999 aderisce a Jabloko, il piccolo partito liberale di Grigorij Javlinskij, dal quale però verrà espulso nel 2007. Ragione principale della sua uscita: la progressiva deriva del giovane attivista, sempre più attratto dal nazionalismo grande russo, che culmina nella sua decisione di partecipare nel 2006 alla Russkij Marš, la marcia russa, tradizionale parata dell’estrema destra xenofoba, dove abbondano anche i saluti nazisti. Ci tornerà regolarmente negli anni seguenti. Pochi mesi dopo la cacciata da Jabloko, Navalnyj fonda il movimento patriottico Narod, che subito si allea con due altre formazioni dell’estremismo nazionalista, il Movimento contro l’emigrazione illegale e Grande Russia. Il nazionalismo di Navalnyj va naturalmente contestualizzato. Siamo all’inizio dell’èra Putin, il nuovo presidente è impegnato a restituire orgoglio e status internazionale alla Russia dopo il far west seguìto al crollo dell’Urss e le umiliazioni subite negli anni Novanta. […] Ma Vladimir Vladimirovič, che considera la fine dell’Unione Sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del Novecento”, vuole recuperarne l’eredità complessiva, compresi il carattere multietnico e l’ambizione imperiale. I nazionalisti, invece, da Ėduard Limonov in giù, chiedono la restaurazione della supremazia russa. Navalnyj è fra questi. Appoggia l’intervento militare del 2008 in Georgia. Pubblica video nei quali paragona i musulmani del Caucaso a scarafaggi da eliminare. Teorizza l’espulsione di tutti i georgiani da Mosca e dalla Federazione Russa. Aderisce alla campagna “Stop feeding the Caucasus”, “Basta nutrire il Caucaso”. Oggi Navalnyj concede che non userebbe più quei termini ed espressioni. Ma nessuno gli ha mai sentito prendere le distanze dal suo nazionalismo» (Paolo Valentino). «La corsa verso il vertice […] inizia nel 2007 con un blog, un samizdat digitale. Laureato in Legge con un master in Finanza, Navalnyj acquista azioni di compagnie statali e invoca il suo statuto di azionista di minoranza per esigere l’accesso ai conti, che pubblica su LiveJournal e poi su Navalny.ru. Reduce da una borsa di studio a Yale, nel 2010 lancia il sito RosPil, che scava nelle irregolarità degli appalti pubblici. Si circonda di giovani attivisti che lo venerano – anche se lui è un decisionista, a tratti autoritario – e si finanzia con micro-donazioni. Comincia così la sua lotta al malaffare» (Rosalba Castelletti). «Il suo successo come politico proveniente dalla società civile è cominciato con la sua campagna anti-corruzione contro Transneft, l’azienda statale che ha praticamente il monopolio del trasporto petrolifero in Russia. […] Quando era un famoso blogger, Navalnyj ha denunciato la corruzione dell’azienda nella costruzione di un oleodotto che collega la Siberia orientale all’oceano Pacifico. Ha scoperto che 120 miliardi di rubli erano scomparsi, e ha poi postato in rete le scansioni dei documenti che aveva ottenuto. Il lungo e articolato post contenente queste scansioni è sorprendentemente diventato virale. Da allora Navalnyj ha fatto della lotta alla corruzione il suo programma politico. Con la Fondazione anti-corruzione, una ong da lui creata, ha lanciato una serie d’inchieste per chiarire l’oscura origine della ricchezza di alcuni funzionari russi. Nell’èra di YouTube queste indagini, frutto del lavoro di decine di dipendenti della Fondazione e di compagni di Navalnyj, sono presentate al pubblico come uno spettacolo televisivo: Navalnyj mostra filmati avvincenti e di grande presa e video girati da droni che mostrano ville e palazzi di lusso, di solito nascosti dietro muri invalicabili. Questi filmati, accompagnati dalle spiegazioni di Navalnyj, raccolgono milioni di visualizzazioni su YouTube. Alcuni di essi hanno scatenato proteste a Mosca e in altre città russe» (Andrei Soldatov e Irina Borogan). «L’infaticabile censore del potere comprende che l’opposizione virtuale può diventare materiale, il dissenso in rete un movimento di piazza. All’indomani delle contestate parlamentari del 2011, sul suo blog e su Twitter invita “nazionalisti, liberali, sinistroidi, verdi, vegetariani, marziani” a scendere in strada. Lo slogan arriva per caso in un’intervista radio: etichetta Russia unita, la formazione al potere, “il partito dei ladri e dei truffatori”. La formula diventa virale. All’appuntamento si materializzano cinquemila persone: “criceti del computer”, li chiama il leader russo. È la prima grande rivolta dell’èra Putin, avvisaglia delle oceaniche proteste che riempiranno piazza Bolotnaja per tutto l’inverno. Talentuoso oratore, il giovanotto alto, biondo e dagli occhi blu galvanizza le folle con attacchi virulenti. Ma le strade presto si svuotano. Dei leader della rivolta non resta nessuno. Molti, come lo scacchista Kasparov, scelgono l’esilio, altri vengono neutralizzati da scandali e carcere. Nemcov viene ucciso. Resta Navalnyj, che diventa così l’unico volto dell’opposizione “anti-sistemica”, costretta a operare fuori delle strutture ufficiali» (Castelletti). «Decide di creare un proprio partito: il Partito del progresso. Respinto ogni tipo di collaborazione con altre forze politiche, sia quelle presenti in Parlamento sia quelle più affini, tutta l’attività è concentrata sulla partecipazione alle elezioni locali o nazionali, i cui successi però restano limitati alla conquista di qualche consigliere comunale, soprattutto in Siberia oltre che a Mosca. Usa in modo efficiente le nuove tecnologie creando vari blog e una propria tv online» (Yurii Colombo). «Il Cremlino si comporta come se temesse Navalnyj più di tutti i dissidenti. I siti web e le stazioni televisive vicini al regime hanno tentato di metterlo in cattiva luce dipingendolo come un agente della Cia o un nazionalista simile a Hitler. Le sue e-mail sono state intercettate e pubblicate. […] Quando Ksenija Sobčak, conduttrice televisiva e amica della famiglia Putin, lo ha invitato alla sua popolare trasmissione su Mtv Russia, il programma è stato sospeso, si presume per ordine del governo. “A volte mi sembra che ci sia un piccolo pazzo al Cremlino che lavora per me”, scherza Navalnyj. “Sono relativamente poche le persone che seguono questi programmi. Ma averlo annullato ha fatto sì che ora ci siano milioni di russi che si chiedono: “Perché lo temono così tanto?”» (Matthew Kaminski). «Per la prima volta Putin ha un avversario. E inizia la persecuzione giudiziaria. Processi costruiti ad arte, sostiene Navalnyj – e la Corte europea dei diritti umani gli dà ragione. Il fratello minore Oleg finisce in una colonia penale. Aleksej colleziona 474 giorni agli arresti tra detenzioni amministrative e domiciliari, anche se passa solo una notte in carcere e non sconta mai pene lunghe. È ancora la tattica del Cremlino: ostacolarne l’attività d’oppositore senza però farne un eroe. Nel 2013 le autorità lasciano addirittura che si candidi come sindaco di Mosca. Nella sorpresa generale Navalnyj ottiene il 27 per cento e sfiora il ballottaggio» (Castelletti). «I margini di ambiguità però rimangono. In Crimea, nel 2014, Putin gioca la carta patriottica della Reconquista. La penisola a maggioranza etnica russa, regalata da Chruščëv all’Ucraina, viene riannessa alla Federazione. I suoi indici di popolarità schizzano in alto. I nazionalisti, Limonov e il politologo Aleksandr Dugin in testa, si schierano con lo zar. È l’ora dei Naši, i nostri, l’organizzazione (governativa) di giovani a sostegno del nuovo corso presidenziale, che nel vocabolario di Putin si riassume nella parola Novorossija. Il riflesso nazionalista sembra di nuovo toccare anche Navalnyj, che pure non dà tregua al regime sul fronte della lotta alla corruzione. E quando Aleksej Venediktov, direttore di Radio Echo di Mosca, gli chiede se lui restituirebbe la Crimea all’Ucraina, Navalnyj dagli arresti domiciliari risponde: “La Crimea non è un sandwich al prosciutto, che prima si prende e poi si restituisce così”. Eppure, a sbagliare è ancora Putin, che usa le procure per impedire a Navalnyj di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018. Vince facile lo zar, con oltre il 76% dei voti. Ma corre di fatto da solo. E da quel momento il blogger può a pieno titolo entrare nel ruolo del primo oppositore. Lo aiuta la fine del miracolo economico putiniano, non più sostenuto dai corsi del petrolio e del gas: la classe media nata nel primo decennio del nuovo secolo si ritrova impoverita, le condizioni di vita peggiorano per tutti, il malcontento cresce, alimentato anche dalla rabbia per i facili arricchimenti. Il canale YouTube lanciato da Navalnyj non dà tregua al sistema, denunciando sempre nuovi scandali e puntando sempre più in alto, come le rivelazioni sugli affari e le proprietà dell’allora premier Dmitrij Medvedev» (Valentino). «Il suo Fbk […] per un po’ è stato vantaggioso anche per Putin, coi boiardi del Cremlino in scacco, per paura di essere sospettati e soccombere sotto i colpi dell’opposizione. È parso che Navalnyj aiutasse Putin a sbarazzarsi del rivale liberale Medvedev. Medvedev è sparito dopo le rivelazioni sulle sue proprietà» (Viktor Erofeev). «Nonostante tutti gli ostacoli, Navalnyj raggiunge traguardi inediti. Nel 2019 crea “Voto intelligente”, una piattaforma che suggerisce agli elettori il candidato che ha più probabilità di battere il partito al potere. La strategia paga: dimezza i deputati di Russia unita nella capitale e l’anno dopo segna due vittorie a Novosibirsk e Tomsk. È qui che avviene l’avvelenamento da Novičok che quasi gli costa la vita. In crisi di consensi, il Cremlino teme infatti che le tattiche di Aleksej possano pregiudicare le parlamentari di settembre, vigilia della delicata transizione da Putin a Putin o, ancor più delicata, da Putin a un altro» (Castelletti). Il 20 agosto 2020 «l’aereo in partenza da Tomsk, una città russa della Siberia, stava prendendo velocità nel suo tragitto verso Mosca, quando uno dei suoi passeggeri […] all’improvviso si è alzato per raggiungere il bagno ma non ce l’ha fatta, crollando a terra e urlando di dolore. Era Aleksej Navalnyj. […] Stava tornando a casa dopo una visita in Siberia, e si è ritrovato sdraiato per terra sull’aereo, privo di conoscenza, accanto a steward confusi. L’aereo ha effettuato un atterraggio d’emergenza a Omsk, a 890 chilometri dall’aeroporto di Tomsk, da cui era decollato. Navalnyj è stato condotto in un ospedale del posto, dove l’équipe del pronto soccorso, i primi medici a visitarlo, ha subito detto alla portavoce di Navalnyj, che accompagnava il politico nella sua visita, che la cosa aveva tutta l’aria di un avvelenamento» (Soldatov e Borogan). Importante fu in quel frangente il ruolo della moglie, Julija Navalnaja. «Quando […] Navalnyj è stato ricoverato d’urgenza a Omsk dopo l’avvelenamento da Novičok, lei è volata da Mosca al suo capezzale e con una lettera indirizzata al presidente della Federazione Russa, Vladimir Vladimirovič Putin, l’uomo che oggi Aleksej accusa di aver ordinato il suo tentato assassinio, ha “preteso” – parole testuali – che il marito fosse trasferito e curato in Germania. È stato quello, sostiene Aleksandr Baunov del Carnegie Moscow Center, il momento di passaggio di Navalnaja “da una figura di accompagnamento a un personaggio indipendente”. “È stato terrificante, naturalmente. Ma ho capito che non potevo lasciarmi andare. Se fossi caduta a pezzi io, allora saremmo caduti a pezzi tutti. Ho fatto del mio meglio per restare calma e tirarlo fuori da lì”, ha raccontato la stessa Julija al blogger Jurij Dud in una video-intervista congiunta, la prima rilasciata dai Navalnyj dopo le dimissioni dall’ospedale Charité di Berlino. “Non m’importa della scienza e della medicina, ora lo so per certo per esperienza personale: l’amore guarisce e ti riporta in vita. Julija, mi hai salvato”, ha scritto Navalnyj dopo il risveglio dal coma, […] dedicandole un appassionato omaggio su Instagram» (Castelletti). Non appena ebbe recuperata piena coscienza, Navalnyj su internet diede una prima ricostruzione di quanto avvenuto: «“Il piano degli assassini era semplice: mi sarei sentito male 20 minuti dopo il decollo, dopo altri 15 minuti sarei morto. L’assistenza medica non sarebbe stata garantita e dopo un’altra ora avrei continuato il mio viaggio in un sacchetto di plastica nera sull’ultima fila di sedili, spaventando i passeggeri che andavano in bagno”, ha scritto Navalnyj. Secondo il politico questo piano è stato sventato dalla “catena di incidenti felici” e dalle azioni di persone delle quali non conosce i nomi, e quindi chiama “buoni amici sconosciuti”. Cioè “i piloti e i primi medici”» (Colombo). Qualche mese dopo, tale ipotesi è stata involontariamente confermata per telefono allo stesso Navalnyj da «uno degli agenti dell’Fsb (il servizio segreto russo) che avrebbe partecipato all’intera operazione. L’uomo ha parlato al telefono pensando di riferire a un alto ufficiale del Consiglio di sicurezza statale, mentre all’apparecchio si trovava proprio il blogger che il team specializzato in operazioni chimiche aveva tentato di assassinare. “Se avesse volato un po’ più a lungo e non fosse atterrato così improvvisamente, magari tutto sarebbe andato diversamente”, ha ammesso l’agente al suo “superiore”. L’uomo, Konstantin Kudrjavcev, laureato all’Accademia militare chimico-batteriologica, […] è stato buttato giù dal letto […] da una telefonata di un certo Maksim Ustinov su una linea speciale degli apparati di sicurezza (Navalnyj aveva falsificato l’identità del chiamante, come fanno normalmente anche i call service che riescono a far apparire numeri di fantasia sullo schermo di chi riceve). Il falso Ustinov si spacciava per un assistente del capo del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev, personaggio vicinissimo a Putin. Così il malcapitato Kudrjavcev è rimasto al telefono per 49 minuti, […] raccontando tutto quello che sapeva sull’operazione. Il veleno era stato messo sugli abiti e in particolare nelle mutande di Navalnyj da altri operativi che avevano agito a Tomsk. A lui poi era toccato andare due volte a Omsk, dove il blogger è stato salvato dalla solerzia del pilota, degli infermieri e dei medici, per ripulire ogni cosa. Togliere qualsiasi traccia del Novičok dagli abiti di Navalnyj. […] Nella conferenza stampa di fine anno il presidente russo ha ammesso che Navalnyj era costantemente seguito da un gruppo dell’Fsb, ma ha spiegato che questo era naturale. L’oppositore, secondo Putin, che non ha però fornito prove, “è in contato con i servizi segreti americani”. Nel rispondere a una domanda, Putin aveva però aggiunto che i suoi non lo avevano certo avvelenato, perché, se così fosse stato, “l’operazione sarebbe andata a buon fine”. Adesso sappiamo invece che anche in questo caso gli specialisti in sostanze chimiche hanno fallito. E che la loro intenzione non era quella di pedinare o intimidire, ma di uccidere» (Fabrizio Dragosei). Ciononostante, il 17 gennaio successivo Navalnyj volle tornare in Russia. «Alla dura vendetta di Putin si è consegnato Aleksej Navalnyj rientrando in patria dopo l’avvelenamento di Tomsk e i quattro mesi trascorsi in Germania per le cure e la convalescenza. Era consapevole del fatto che a Mosca l’attendeva l’arresto immediato e sbrigativi “processi” con già scritte sentenze di condanna a lunghi anni di colonia penale» (Piero Sinatti). Appena due giorni dopo il rientro di Navalnyj, tuttavia, i suoi canali digitali diffusero un nuovo, clamoroso video. «Titolo: Il palazzo di Putin; sottotitolo: La grande tangente. Dopo il sintetico racconto della carriera di Putin – da Dresda a Pietroburgo a Mosca –, viene rappresentato il suo “Palazzo”, la sua Versailles sulle coste del Mar Nero, presso Gelendžik, nel territorio di Krasnodar. Le visualizzazioni superano i 113 milioni. Un record. Si tratta di un palazzo italianeggiante formato da quattro grandi edifici disposti a quadrilatero, con due porticati all’interno, attorno a una grande corte centrale con giardini e cipressi. Oltre 17,7 mila metri quadri di superficie abitabile. Su un territorio di 68 ettari recintatissimo, e con varie dépendance, parco con arboreti, vigneti, orangerie, pista di ghiaccio sotterranea, anfiteatro, pista per elicotteri, e persino una policroma chiesetta ortodossa, trasportata lì, mattone per mattone, dalla Grecia. Importanti gli interni, tra cui un’enorme camera con un “lettone” baldacchinato, poltrone e sofà; […] un teatro; una sala da “narghilè” (kaljan) con pedana e asta per lap-dance; una grande sala da gioco tipo casinò; una sala per videogiochi e slot-machine. Nessuna biblioteca. Il progetto è dell’architetto italiano Lanfranco Cirillo. […] È una bomba. Putin […] è costretto a difendersi e nega che il palazzo sia suo o dei suoi familiari. Per fortuna, l’amico di infanzia e di palestra Arkadij Rotenberg, cui sono andati appalti statali miliardari (come il “Ponte di Crimea”, che attraversa lo stretto di Kerč), ha rivendicato a sé la proprietà di quel palazzo. […] È strano, tuttavia, che il palazzo sia ben custodito da un bel numero di agenti dell’Fsb, e che non lo si possa avvicinare né via mare, né via aerea (come no-fly zone). La notizia di un “palazzo di Putin” era uscita fuori già nel 2010, ma non aveva avuto grande risonanza mediatica. La ha avuta ora, esplosiva. […] Navalnyj sconterà la pena in una colonia penale, la IK-2 di Pokrov nella regione di Vladimir, non lontana da Mosca, ma giudicata durissima per i suoi regolamenti e realmente segregante. “Una colonia fatta per spezzare il prigioniero”, si è detto. Ovviamente saranno del tutto interrotti i rapporti con i suoi collaboratori. È la vendetta di Putin: per l’avvelenamento fallito, la denuncia navalniana dei colpevoli e – quel che è peggio – per il racconto sul Palazzo di Gelendžik» (Sinatti). «Un successo indiscutibile. Un sacrificio da favola. Catturato dallo zar, lo sfida apertamente. Cosa deve fare Putin adesso? […] L’unica via d’uscita è privare il rivale della cittadinanza ed espellerlo in Occidente. Come Solženicyn, per esempio. Ma Solženicyn fu condannato per motivi politici. A Navalnyj dovranno prima attribuire un reato politico. E poi verrà espulso» (Erofeev). Il 29 aprile, «testa rasata, volto scavato, smagrito, ma col suo consueto piglio pugnace, l’oppositore russo in carcere Aleksej Navalnyj […] è apparso per la prima volta da quando ha interrotto lo sciopero della fame durato 24 giorni. È stato ascoltato in videoconferenza da un tribunale di Mosca durante l’udienza d’appello contro la sua condanna a una multa in un caso di diffamazione contro un veterano della Seconda guerra mondiale. […] L’attivista anti-corruzione aveva cessato di mangiare per protestare contro le condizioni di detenzione nella colonia penale di Pokrov e chiedere cure adeguate per i forti dolori alla schiena e alle gambe. Dopo essere stato condannato lo scorso febbraio a due anni e mezzo di carcere per una vecchia accusa di frode, in un secondo processo Navalnyj era stato condannato a una multa di 850 mila rubli per aver diffamato un veterano della Seconda guerra mondiale apparso come testimonial in un video promozionale della riforma costituzionale voluta da Vladimir Putin per consentirgli di restare al potere fino al 2036. Navalnyj aveva definito “traditori” le comparse nel video, ma si è sempre difeso dicendo che non si era mai riferito direttamente all’ex militare e denunciando il processo come un tentativo di screditarlo in un Paese dove la vittoria sovietica sui nazisti ha un posto centrale nella coscienza collettiva e oltraggiare un veterano è un’onta. Com’era prevedibile, Navalnyj ha perso l’appello, ma ha approfittato dell’udienza per accusare il governo in un’appassionata invettiva di trasformare i “russi in schiavi” e per definire il presidente russo Vladimir Putin “re nudo”, un riferimento alla favola I vestiti nuovi dell’imperatore di Hans Christian Andersen. “Voglio dire, mio caro giudice, che il tuo re è nudo, e non è solo un ragazzo a gridarlo, ma milioni di persone. Vent’anni del suo infruttuoso governo hanno portato a questo risultato: una corona che cade dalle sue orecchie, bugie in televisione, abbiamo sprecato milioni di miliardi di rubli e il nostro Paese continua a scivolare nella povertà”. Nello stesso giorno, si è tenuta un’altra udienza per esaminare la richiesta di dichiarare il Fondo anti-corruzione (Fbk) di Navalnyj e i suoi uffici regionali “organizzazione estremiste”. Un’etichetta già applicata in Russia a gruppi terroristici come Al Qaeda e lo Stato islamico, che comporterebbe la messa al bando di Fbk e lunghe pene detentive per i suoi membri e sostenitori. Di fronte a questa minaccia, […] Leonid Volkov, braccio destro di Navalnyj, ha perciò annunciato lo smantellamento della rete dei 37 uffici regionali, aggiungendo che alcuni continueranno a operare in modo indipendente» (Castelletti). Il 26 maggio, inoltre, «la Camera Bassa del Parlamento della Federazione Russa, anche nota come Duma di Stato, ha approvato in terza e ultima lettura […] la legge che vieta a soggetti etichettati come “estremisti” di votare alle elezioni del Paese. Il divieto si applica a partecipanti, membri, dipendenti e a tutte le persone che sono coinvolte nelle attività considerate “estremiste” o “terroristiche” da parte del governo russo. I leader delle organizzazioni estremiste non potranno presentarsi ai seggi per 5 anni, mentre l’attività elettorale dei “cittadini ordinari” sarà bloccata per 3 anni. […] Si tratta di una misura che si estende anche a coloro che “fanno donazioni” a tali organizzazioni, “prestano assistenza” o supportano il loro operato “partecipando a eventi” – ovvero proteste antigovernative – o esprimono il sostegno “sul web”. Il concetto di “estremismo”, pertanto, sarà utilizzato dal Cremlino come strumento per reprimere ulteriormente le forze di opposizione nel Paese. […] Nel mese di giugno, il Tribunale di Mosca aprirà un’udienza per valutare se classificare la rete di uffici regionali e la Fondazione anti-corruzione (Fbk), istituiti entrambi dal dissidente Aleksej Navalnyj, come organizzazioni “estremiste”. In tale quadro, è importante ricordare che, il 18 aprile, la Camera Bassa ha approvato, in prima lettura, una legge che vieta ai membri di organizzazioni “estremiste” di diventare legislatori. Tale normativa, a detta degli analisti internazionali, sarebbe stata avanzata al fine di reprimere le forze antigovernative che sostengono Navalnyj» (Anna Peverieri). «Rispetto al 2019, complice la crisi economica e sanitaria innescata dalla pandemia di Covid, i russi scesi sotto la soglia di povertà sono 700 mila in più, in tutto il Paese ormai 18,8 milioni di persone: il 12,8% della popolazione. Mentre i redditi sono diminuiti del 3,5%. Le preoccupazioni economiche, le difficoltà più marcate nelle regioni più povere, la rabbia per il divario che si percepisce con l’élite al potere: ci sono queste motivazioni, le difficoltà personali e la mancanza di prospettive, dietro la protesta che […] in Russia si è risvegliata nel nome di Navalnyj, ma va oltre la sua immagine. L’attivista anti-corruzione non ha mai goduto di livelli di popolarità altissimi: certo mai arrivati ai livelli di Vladimir Putin. […] Le cose stanno cambiando: […] l’arresto di Navalnyj al ritorno in patria dalla Germania, il 17 gennaio scorso, il coraggio dimostrato malgrado il tentativo di eliminarlo avvelenandolo hanno aumentato la simpatia e la popolarità dell’uomo, che ormai, pur in carcere, sta consolidando lo status di leader dell’opposizione. Anche per mancanza di alternative credibili» (Antonella Scott). «Putin ha deciso di bruciare i ponti. Il leader del Cremlino, alle prese con la propria successione, è convinto che l’emarginazione a lungo termine di Navalnyj valga qualsiasi prezzo politico, in termini di nuove sanzioni occidentali e isolamento internazionale. […] Forse è un calcolo giusto. Forse alcuni anni in galera basteranno a farlo dimenticare. Forse. Ma così facendo, lo zar ha dato a Navalnyj la dignità di capo di un’opposizione, che sicuramente non ha ancora massa critica, ma per la prima volta è diffusa sull’intero territorio degli undici fusi orari. Soprattutto, è giovane. E con i Rolling Stones può dire: il tempo è dalla mia parte. La partita rimane aperta» (Valentino). «Ora che Navalnyj sarà costretto a stare dietro le sbarre, secondo Baunov, Navalnaja è pronta “ad agire indipendentemente”. […] Navalnaja, si dice, potrebbe correre alle parlamentari di settembre 2021 e alle presidenziali del 2024. […] I media filo-Cremlino cavalcano il dibattito. Alcuni dipingono Julija come “un progetto dell’Occidente” per interferire nella politica interna russa, e per corroborare la tesi citano il suo recente viaggio in Germania (“Una visita privata”, ha fatto sapere lei). Altri invece stranamente ne tessono le lodi. Una “papera” ben calcolata: dimentica il “cattivo Navalnyj”, concentrati sulla “buona moglie”. La protesta deve essere sviata. Creano una situazione di falsa scelta tra i due membri della famiglia: “Accettando che Navalnaja andrà alle urne, sembri approvare che Navalnyj sia fuori gioco”, ha però osservato Julija Taratuta, direttrice di Wonderzine. E anche i collaboratori più stretti di Navalnyj mettono in guardia dal cadere in facili tranelli» (Castelletti) • «Non è la prima volta che qualcuno prova a eliminare l’antagonista più impavido del Cremlino. Per esempio, nel 2017, mentre stava uscendo dal suo ufficio moscovita, venne attaccato con uno spray tossico (un prodotto antisettico) spruzzato negli occhi. Nel luglio del 2019 era in prigione quando denunciò d’essere stato avvelenato da un “prodotto chimico sconosciuto”, e per questo era stato trasferito in un ospedale. In quell’occasione le autorità avevano replicato accennando a una “reazione allergica” e avevano spergiurato che nessuna sostanza tossica era stata rintracciata, dopo accurate analisi. Tesi respinta fermamente dalla sua segretaria-portavoce, Kira Yarmick» (Coen). «Il suo appartamento è stato oggetto d’irruzione innumerevoli volte. È stato pedinato da agenti dei servizi di sicurezza e da sostenitori del Cremlino, il suo account di posta elettronica è stato violato e il suo contenuto rivelato ai mezzi d’informazione filogovernativi, con le foto e filmati privati diffusi in rete. Anche la sua famiglia è stata attaccata: suo fratello Oleg ha trascorso tre anni e mezzo in prigione prima di trasferirsi in Germania. La Fondazione anti-corruzione è da anni oggetto costante d’irruzioni, multe, denunce giudiziarie. […] Poi è arrivato l’avvelenamento» (Soldatov e Borogan). «Il trattamento riservato a Navalnyj è l’esempio più spettacolare di un sistema che sta lentamente ma inesorabilmente riducendo lo spazio di libertà di cui la società civile russa poteva ancora godere: associazioni, ong e media indipendenti sono sottoposti a regole draconiane che li soffocano, attribuendo loro l’etichetta di “agenti stranieri” o “estremisti”. Persino in prigione “continuo a commettere crimini”, ha scherzato Navalnyj in un post pubblicato dalla radio russa Ėcho Moskvy, dopo aver ricevuto notizia di una nuova incriminazione a suo carico. “La mia potente organizzazione criminale prospera. Sono un genio”» (Sylvie Kauffmann) • Sposato, due figli. «Da oltre vent’anni Julija Navalnaja è sempre lì, al fianco di Aleksej. In prima fila nei cortei, durante le perquisizioni in casa, ai cancelli dei centri di detenzione e negli ospedali. “First lady dell’opposizione”, la chiamano. O anche “moglie del decabrista”, che in Russia è sinonimo di devozione smisurata al marito. E qualche anno fa Ėcho Moskvy l’ha inserita tra le 100 donne più influenti di Russia. Ma ora che Navalnyj è in cella sono in tanti a prevedere per lei un futuro politico in prima linea. Classe 1976, una laurea in Relazioni internazionali ed economiche presso un’università moscovita, Julija nata Borisovna conosce Aleksej Navalnyj, stessa età, nel maggio 1998 in spiaggia in Turchia. Amore a prima vista: si sposano due anni dopo. Julija abbandona ben presto la prospettiva di una carriera redditizia in una banca d’affari per dedicarsi alla famiglia e all’opposizione al regime. Come Aleksej si iscrive al partito liberale Jabloko e poi lo abbandona per affiancarlo nella crociata contro la corruzione. Molto più che compagna. Il suo doppio. Pronta a esserne la sostituta tutte le volte, tante, che Navalnyj finisce in un centro di detenzione amministrativa. Come quando nel 2018 ha risposto al generale russo Viktor Zolotov, capo della Guardia nazionale russa, che minacciava di “fare carne tritata” di Navalnyj, allora agli arresti: “È un bandito arrogante che si sollazza nella sua impunità. Non ho paura. Solo disprezzo. Lo disprezzo come ladro e codardo”. Navalnaja conosce bene i colpi del destino e le ingiustizie della Russia odierna. “Non ho sposato un promettente avvocato, né un leader dell’opposizione. Ho sposato un giovane di nome Aleksej, un uomo con cui era chiaro fin dall’inizio che ci sarebbero state possibili svolte ripide, quindi non è successo nulla che non mi aspettassi”, ha ammesso Julija. […] “È la mia migliore amica”, ha confessato una volta […] Aleksej. […] Un politico russo che non nasconde, anzi coltiva la moglie, e una moglie pronta a lasciare tutto per la famiglia: un’eccezione in Russia. Anzi, un miracolo raro, ha ricordato il giornale Novaja Gazeta incoronandola “Eroina dell’anno 2020”. Nella storia è avvenuto solo due volte: con i Gorbačëv e i Navalnyj. […] Dopo vent’anni di matrimonio e due figli, Daša, 19 anni, che studia a Stanford, e Zakhar, 13, la sfida più dura: il carcere. Tre anni e mezzo per un vecchio caso giudicato “politicamente motivato” dalla Corte europea dei diritti umani, che potrebbero diventare addirittura 13 a causa di altri processi aperti» (Castelletti). «Sua moglie e i suoi figli non le chiedono mai di abbandonare l’attività all’opposizione? “La mia famiglia mi appoggia. Mia moglie ha persino pareri politici più estremisti dei miei. I miei figli, data la giovane età, hanno un modo loro di vedere le cose. Si divertono, ad esempio, a individuare gli agenti che ci pedinano. Li seguono con i loro telefonini, gli agenti si nascondono: per loro è un gioco. Come si dice? Se la vita ti ha dato un limone, fanne una spremuta”» (Rosalba Castelletti, Pilar Bonet, Pavel Lokshin e Benjamin Quénelle) • «Abita in un appartamento modesto in una periferia-dormitorio di Mosca» (Mark Franchetti) • Cristiano russo-ortodosso • «Ha qualche fonte d’ispirazione? Un filosofo, uno scrittore, un politico? “I videogame mi ispirano. Sono una persone semplice. Una persona qualsiasi. Forse avrete notato un buco nella parete alle mie spalle [nel suo studio – ndr]. Qui c’era un quadro. Solo che è caduto di recente. Mi chiedevano spesso quale forza avessi alle mie spalle. E, ecco, vi faccio vedere. È la famosa foto del V Congresso Solvay, il più importante ritrovo dei fisici quantistici e dei migliori cervelli della storia dell’umanità. Ci sono Einstein, Niels Bohr… Gente che ha creato la fisica moderna. Quando stanno alle mie spalle, sento una forza molto solida e potente”» (Castelletti, Bonet, Lokshin e Quénelle) • «Alto, con gli occhi blu, sicuro di sé e abile oratore. […] Famoso per il suo umorismo sardonico» (Franchetti) • «Aleksej Anatolevič Navalnyj è un eroe. La parola è abusata. Ma non si potrebbe definire diversamente un uomo disposto a mettere in gioco i suoi beni, i suoi cari, la sua stessa vita per il suo Paese. Perché opporsi a Vladimir Putin significa essere disposti a mettere in gioco la vita. Navalnyj ha passato 14 mesi agli arresti domiciliari. È stato avvelenato, è finito in coma, ha rischiato di morire. La Germania l’ha accolto. Ma Navalnyj non voleva vivere in esilio; tanto meno diventare una pedina dello scontro tra Putin e Angela Merkel, che si combattono in pubblico ma quando si incontrano in privato confabulano per mezz’ora a tu per tu, senza interpreti. […] Navalnyj voleva combattere e, se necessario, morire in patria. Così è tornato a Mosca, dove sapeva che l’avrebbero atteso le manette e la cella per chissà quanto tempo, dimostrando un coraggio anche fisico d’altre epoche, che evoca quello di un Giuseppe Garibaldi o di un Giuseppe Mazzini. Non sembri un accostamento eccessivo. Gli eroi del Risorgimento italiano erano gli uomini più famosi del mondo. Ovunque ci fosse un popolo oppresso, si custodivano i loro ritratti nelle case, si scandivano i loro nomi nei cortei. Purtroppo non possiamo dire lo stesso di Navalnyj. Il suo arresto, la persecuzione dei suoi collaboratori – tutti in esilio o in galera –, la brutale repressione dei manifestanti scesi in piazza a sua difesa non hanno suscitato nell’opinione pubblica globale l’emozione che meriterebbero. […] Navalnyj è un eroe, non un santo. Molte sue idee sono discutibili. […] È un democratico, ma è anche un nazionalista. Nei suoi occhi Enzo Bettiza avrebbe forse intravisto quel “lampo di follia” che secondo lui balenava “nello sguardo dei russi bianchi”» (Aldo Cazzullo). «Oggi Aleksej Navalnyj è entrato a pieno titolo nel mito dell’eroe del bene. Avvelenato, partito […] dalla Russia in coma e miracolosamente guarito in Germania, ha smascherato i suoi attentatori ed è tornato in patria pur consapevole che lo avrebbero incarcerato. Sapeva che solo così avrebbe potuto rivendicare il ruolo che inseguiva da anni: nemico pubblico numero 1. A prima vista sembrerebbe esattamente l’uomo che l’Occidente vorrebbe al Cremlino. Anti-corruzione, anti-oligarchia e, soprattutto, anti-Putin. Ma, a differenza dei vecchi dissidenti sovietici, Navalnyj non combatte per il diritto di criticare il potere, ma per il potere stesso. E quindi non è affatto detto che il peggior nemico oggi di Vladimir Putin diventi il miglior amico domani della democrazia. […] Tutto ciò che il Cremlino ha fatto negli ultimi mesi per contrastarlo ha solo trasformato Navalnyj in martire ed eroe. Persino chi metteva in guardia dal suo passato nazionalista è pronto a dimenticarsene. Ma, se Putin cadesse, venuto meno il contraltare, il modello politico di Aleksej potrebbe non essere sostenibile a lungo termine. Non solo si fonda su un programma nebuloso, ma rispecchia le dinamiche del potere attuale: tendenza all’autoritarismo e patriottismo. Il governo di un uomo solo. Così, se mai, ipotesi remota, un domani dovesse salire al potere, l’anti-Putin potrebbe rivelarsi un altro Putin. Solo più padrone del linguaggio del 21° secolo. Un Putin 2.0» (Castelletti). «Navalnyj ha più volte osservato che il nazionalismo è uno dei “punti chiave e determinanti” della sua ideologia e si definisce un “nazionalista russo normale”, un attributo che lo spinge a rivalutare anche la Russia zarista e imperiale. […] I liberal ne diffidano, ne colgono la matrice populista di destra (non a caso per tutto un periodo Navalnyj celebra Marine Le Pen, fino a quando diverrà la referente dell’odiato Putin). Il politologo Stanislav Belkovskij sostiene che “Navalnyj è un giovane Putin, motivo per cui gode del sostegno di molte persone che amavano Vladimir Putin all’inizio della sua ascesa, che erano affascinate da lui in qualità di Pinochet russo e che ne sono rimaste deluse”. Un giudizio duro e senza appello: “Navalnyj vuole diventare sia re che leader. Ma Aleksej Anatolevič crede che non abbia senso lottare per il potere se non si diventa il prossimo Putin o Stalin, non in senso ideologico ma come modello di potere”, afferma ancora Belkovskij. Navalnyj non ama molto parlare di politica estera, ma spesso, da questo punto di vista, si è ritrovato d’accordo proprio con il presidente russo, a partire dalla guerra in Cecenia e in Georgia. […] È questo il personaggio che ora molti in Europa vorrebbero vedere premiato con il Nobel per la pace. […] È questo il rischio che vogliono correre le cancellerie europee che oggi lo sostengono? Sostituire un autocrate con un altro, solo un po’ più docile agli interessi occidentali?» (Colombo) • «Il programma di Navalnyj lo presenta come un politico con inclinazioni socialiste, che promette aumenti salariali e delle pensioni minime, oltre a pesanti tasse per gli oligarchi che hanno approfittato della privatizzazione a prezzi stracciati delle fabbriche sovietiche negli anni Novanta. Ma il cuore del suo programma rimane la lotta alla corruzione dei funzionari governativi, insieme all’allontanamento di quanti hanno rubato dalle casse pubbliche o violato diritti umani in Russia» (Soldatov e Borogan). «Si vedrà ora se e come, privati del loro leader, i “navalnisti” proseguiranno l’azione del Fbk e, magari, potranno avviarla su linee più ampie e ipotesi di coalizioni con altri settori liberal-democratici, o magari con settori del Partito comunista capaci di rompere, finalmente, con il loro immarcescibile leader, il conservatore nazional-stalinista Gennadij Zjuganov, finora, di fatto, stampella del regime» (Sinatti) • «“Spesso ci paragonano al Movimento 5 stelle. Per noi sono molto interessanti i loro meccanismi, a prescindere dalla loro ideologia. Organizzano incontri con gli elettori, usano in modo attivo YouTube. […] Dal punto di vista dei meccanismi di lavoro, guardo all’esperienza di tutti i partiti e i movimenti che si pronunciano contro l’establishment preesistente. Ad esempio, il ‘Tea Party’ americano: ideologicamente non ci è per niente vicino, ma i meccanismi di organizzazione autonoma delle piccole comunità sono molto interessanti. A volte non sono applicabili qui. I comizi che fa Grillo in Italia, ad esempio, non si possono svolgere in Russia. Non solo perché io non ho il suo talento da comico, ma semplicemente perché non ce li lasciano svolgere. […] Comunque sia, cerchiamo sempre di guardare alle esperienze d’avanguardia. Per esempio, il nostro sistema di finanziamento o le nostre newsletter sono ispirate alla campagna elettorale di Obama del 2004”. E, ideologicamente, in quale forza politica occidentale si riconosce? “Ogni tanto me lo chiedo anch’io. Ma il problema è che le etichette ideologiche europee tradizionali non sono assolutamente applicabili in Russia. Ad esempio: in Russia i comunisti si definiscono di sinistra, mentre per un europeo i comunisti russi sarebbero conservatori di destra, per di più conservatori di destra di stampo religioso perché spesso vanno in giro con le icone, cosa inimmaginabile per uno della sinistra europea. In Russia il partito liberal-democratico è quello del nazionalista Žirinovskij, il che sembra una presa in giro. Quelli che qui si definiscono liberali sono personaggi strani che farebbero impazzire i liberali europei. In Russia purtroppo, come forse in qualsiasi altro Paese autoritario, è tutto diverso”. Ma lei si considera un liberale? “Sono stato membro del partito Jabloko, che si ritiene un partito liberale. Poi molti mi hanno chiamato nazionalista. È una delle domande che mi fanno spesso i giornalisti stranieri: ‘Lei è nazionalista?’. Rispondo che sono tutte critiche che mi rivolge il Cremlino che evolvono nel tempo: nel 2007 ero un liberale che vende la patria, poi sono diventato un nazionalista di estrema destra, ora siamo tornati alla fase in cui sono un liberale che vende la patria. Ma il mio pensiero non è cambiato. Credo che bisogna riunire tutti, anche i nazionalisti, per combattere il regime”» (Castelletti, Bonet, Lokshin e Quénelle) • «Supponiamo che sia eletto presidente: quali sarebbero le sue priorità? “Prima di tutto bisogna adottare misure che fermino la riproduzione all’infinito di regimi autoritari in Russia. Per far ciò, innanzitutto dobbiamo promuovere una riforma giudiziaria: fare in modo che i tribunali non dipendano dal potere esecutivo. Secondo: diminuire il numero di competenze del presidente, trasferendole in parte al Parlamento. Terzo: fissare delle garanzie che tutelino la libertà di stampa”» (Castelletti, Bonet, Lokshin e Quénelle). «“Attualmente abbiamo un sistema iper-presidenziale, addirittura una quasi-monarchia: tutto il potere è nelle mani di un solo uomo e tutte le altre istituzioni sono superficiali. Dobbiamo andare verso una repubblica parlamentare in cui i partiti che sono arrivati al potere formano il governo e approvano le leggi che dettano le nostre vite”. […] “L’istruzione è una questione centrale. I Paesi ricchi investono nell’istruzione, nel capitale umano. Più i nostri cittadini sono istruiti, più saranno competitivi, più soldi guadagneranno, e quindi il futuro della Russia sarà più luminoso”. […] Immagini […] di fare campagna elettorale: […] sulla base di quale programma, con quali promesse? “Prima di tutto, il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici. In secondo luogo, misure efficaci per combattere la corruzione, come il rispetto dell’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione, che prende di mira l’arricchimento illecito. Infine, una riforma del sistema giudiziario: se non c’è un luogo dove è concesso ai cittadini contraddire il governo, non può funzionare. Un’altra misura è la deregolamentazione delle imprese. Nella “bella Russia del futuro” che immaginiamo sarà più facile creare una società che a Singapore o in Georgia. Il peso della burocrazia sarà il più leggero del mondo. Verrebbe introdotto un salario minimo. […] Infine, dovrebbe essere introdotta un’esenzione fiscale completa per le piccole imprese e gli imprenditori autonomi”» (Sergei Guriev) • «Lei riconosce l’annessione della Crimea? “L’ho già detto in passato. L’annessione della Crimea è stata illegale. È stato facile annettere la penisola commettendo un crimine. Però ora è difficile uscire da questa situazione. Oggi tre milioni di abitanti della Crimea hanno passaporti russi”. Ma è pronto a difendere i diritti dei Tatari di Crimea che subiscono repressioni perché non riconoscono l’annessione? “Noi siamo un partito dei diritti umani e sosteniamo tutti i detenuti politici. Consideriamo prigionieri politici tutti coloro che finiscono in carcere per le loro convinzioni e ne chiediamo la liberazione immediata”. […] Da presidente, tutelerebbe le minoranze etniche e le loro lingue? “Le lingue vanno conservate. Se una lingua muore, è impossibile rianimarla. La lingua baškira e quella tatara, ad esempio, fanno parte del nostro retaggio culturale nazionale. Finanziando scuole, film, giornali nelle rispettive lingue, possiamo aiutarle a sopravvivere. In più, queste minoranze chiedono un’autogestione locale. Il federalismo in Russia è falso e ipocrita. La Russia non è un Paese federato, ha una struttura di potere ultra-centralizzata. Con questa centralizzazione, i territori non decidono nulla. C’è bisogno non di sviluppare il federalismo, ma di favorire l’autogestione locale. I sindaci devono poter decidere, i governatori pure. Non è solo un problema di tatari, baškira o ceceni. Vale lo stesso per le città di Smolensk o Voronež”. Ha detto più volte che bisognerebbe introdurre un regime di visti per gli immigrati dall’Asia centrale. Quanto sarebbe sostenibile economicamente? Chi occuperebbe i loro posti di lavoro? “La crescita della produttività di lavoro porterà alla diminuzione dei posti di lavoro attualmente coperti dagli immigrati. Inoltre, introduzione del regime di visti per l’Asia centrale non significa espulsione automatica di tutti quelli che già lavorano qui. La Russia ha bisogno della forza lavoro degli immigrati. Ma i flussi vanno controllati. È una misura base per ripristinare l’ordine”» (Castelletti, Bonet, Lokshin e Quénelle) • «“Tra il 1999 e il 2003 Putin ha fatto molte cose positive”, afferma parlando dei primi anni di Putin, quando si è assistito a una ripresa economica e all’introduzione di alcune riforme. Ma è grazie all’elevato prezzo del petrolio che l’economia ha continuato a girare e che, notoriamente, si è arricchita una cricca di amici di Putin di San Pietroburgo. “La gente non crede più nei cambiamenti positivi. […] È ormai palese che il suo sistema di potere è basato sulla corruzione e che le persone che lo sostengono lo fanno solo per soldi e corruzione”» (Kaminski). «La corruzione di Putin è particolare. Non ha una valigia con i contanti. Ha un circolo di familiari, amici e persone di fiducia i cui beni sono di fatto suoi. È come la mafia italiana: una grande famiglia dove sono tutti miliardari. Putin è un monarca assoluto, uno zar. Che corruzione può esserci presso uno zar? Gli appartiene tutto» • «La Russia profonda, paziente, spaventata da ogni tipo di rivoluzione si sta rivolgendo a Navalnyj? Il duello mortale è iniziato. Non è un caso che Putin non chiami mai il rivale per nome. Nella logica delle fiabe, in cui la Russia si crogiola da tempo immemorabile, è il più alto complimento. Solo il nemico micidiale non viene nominato. […] La Russia vive in una favola magica. Invece della storia, c’è uno spettacolo fantastico. Nel tempo cambiano gli attori, non i ruoli. Il ruolo dello zar qui è interpretato da Putin. Nella fiaba russa il popolo adora lo zar: ai nostri tempi significa che vota per lui. Lo zar rivendica la terra, conquista la Crimea, sogna un Paese entro i confini dell’Urss. Il nostro zar è sbucato da Leningrado e come un bullo vuole essere il più forte. Ma, per quanto il popolo lo ami, a tutto c’è un limite. Navalnyj ha indicato questo limite» (Erofeev) • «Sono […] anni che porta avanti questa lotta, ma finora non ha ottenuto risultati concreti. Che cosa la spinge a continuare? “La gente ci appoggia. Non sono un dissidente sovietico. Loro erano isolati. Sapevano che sarebbero stati sbattuti dentro e che nessuno avrebbe mai saputo niente di loro. Noi abbiamo un sostegno enorme. So di certo che io rappresento, noi rappresentiamo milioni di cittadini che vogliono una vita migliore in Russia. Io so di stare dalla parte del bene. Perdonate, lo so, può sembrare una dichiarazione patetica. E con me, dalla parte del bene, c’è un gran numero di persone. […] Sono circondato da compagni d’idee, la gente migliore che ci possa essere”. […] Un domani chi potrebbe prendere le redini del suo movimento? “I giornalisti stranieri mi chiedono sempre cosa succederà quando mi ammazzeranno… Lo può fare chiunque voglia farlo. Per portare avanti la lotta alla corruzione, per prendere in mano questa bandiera, non ci vuole nient’altro che il desiderio di farlo. E […] nel nostro movimento ci sono già tante persone che tengono questa bandiera insieme a me. Il problema è che lo spazio mediatico è troppo ristretto. Perciò si parla poco delle persone con cui lavoro. Ma fra di loro ci sono politici formidabili”» (Castelletti, Bonet, Lokshin e Quénelle).