Robinson, 17 luglio 2021
Intervista a Simon Reynolds
La critica musicale è una cosa seria: lo ha dimostrato una nuova generazione di giornalisti-saggisti capace di raccontare le pulsioni della società di ieri e di oggi utilizzando strumenti come l’analisi filosofico-sociale influenzata dalle teorie di Deleuze e Guattari, Foucault, Derrida. Insieme a Mark Fisher, purtroppo venuto a mancare nel 2017, Simon Reynolds è oggi uno dei maggiori esponenti di questa scuola. Famosa la sua analisi del “Post-punk”, la creazione dei concetti di “Post-rock” e di “hauntology” che hanno portato alla ri-scoperta di molti gruppi di ieri ma anche di interessantissimi lavori di autori contemporanei. Il suo saggio più famoso è però sicuramento “Retromania” che ha indagato in profondità i motivi per cui l’innovazione musicale a un certo punto pareva avesse smesso di esistere: eravamo già rassegnati alla “fine della musica” quando invece arriva “Futuromania” e ribalta tutto.
Perché questo nuovo libro?
«Ho pensato che fosse un simpatico scherzetto. Perché Futuromania spiega anche la prospettiva di qualcuno che si trova a scrivere un libro intitolato Retromania. In Futuromania infatti si racconta l’investimento, a partire dal passato, nell’idea di un futuro o di possibili futuri e si immagina quale potrà essere il suono di domani. E poi invece cosa succede? Tutte le previsioni sul futuro sono sbagliate perché si entra in un periodo in cui tutti sono interessati al suono di ieri.
Quindi è un po’ come se spiegassi perché è nato quel tipo di libro irritabile un po’ depresso e scontroso chiamato Retromania».
Di che cosa si parla questa volta?
«Vado a colmare la lacuna del capitolo che avrei voluto aver scritto alla fine di Retromania su artisti che non guardavano al passato ma cercavano di fare musica futuristica».
Per esempio?
«I “trapper” che sperimentano con un software vocale nato per correggere l’intonazione vocale come l’Auto-tune. Oppure l’idea di “conceptronica” che parla di persone che stanno ibridando musica, politica e videoarte concettuale come Holly Herndon o Arca. Se avessi aspettato un po’ più a lungo quando stavo facendo Retromania, penso che avrei fatto un capitolo finale in cui si raccontavano persone che in realtà stavano facendo cose diverse.
Futuromania parte dall’idea di futuro che si aveva in passato ma dopo averlo finito mi sono reso conto che c’è stato davvero un nuovo sviluppo nella musica. Però questa volta non era un genere, era una cosa che attraversava i generi come appunto l’Auto-tune, o varie tecniche di nuova manipolazione della voce».
Qualche nome?
«La trap di Future, i Migos, Young Thug. Oppure le contaminazioni che stanno avvenendo nell’afrobeat o, ancora, artisti che fanno cose estreme con la voce o in cui i concetti di “performance artistica” e musica si incontrano. Quindi penso che questo libro sia una specie di complemento che va letto con Retromania».
Quanta importanza ha
l’elettronica nell’idea di “futuro” della musica?
«Ci sono alcune analisi su cosa voglia dire parlare del futuro sonoro, ma è una sorta di fantasia perché il futuro di solito si rivela molto diverso da come pensavamo che sarebbe stato.
E poi questa idea che il futuro è l’elettronica ora ha una storia molto lunga ed è quasi un cliché. Penso che non si possa avere davvero un’idea di come sarà il mondo nel 2050 o nel 22° secolo, o come apparirà o suonerà».
Nella lunga parte del libro intitolata “L’hardcore continuum” si parla dell’importanza della scena rave. Dicendo che techno e dintorni non sono solamente la musica più importante, più eccitante dei nostri tempi ma anche tra le più stimolanti intellettualmente: un’affermazione che sorprenderà molti...
«Beh di certo oggi non vado più in discoteca. Però ero solito andare molto nei club e ai rave e sì, ballare era importante. La cultura dei rave mi piaceva anche se non non ho mai indossato i vestiti (ride). Però ho partecipato a tutti gli altri aspetti».
Questo è interessante perché potrebbe essere un argomento contro la famosa frase “scrivere sulla musica è come ballare di architettura” attribuita di solito a Frank Zappa ma che parrebbe appartenere in origine a Martin Muli, un attore americano. Questa frase viene di solito usata dai musicisti irritati per qualche motivo contro i critici musicali, ma qui in un certo senso è come se si stesse dicendo che ballare invece è proprio il modo migliore per parlare di musica...
«Esatto, infatti nel libro critico anche alcune riviste di musica dance perché non fanno mai menzione del linguaggio che esprime il corpo durante la danza: ci sono solo profili di dj e cose simili. Nessuno scrive mai niente su come la gente risponde fisicamente alla musica. Io ho cercato un po’ di farlo nel mio libro Energy Flash: per esempio, il modo in cui la gente si muove quando balla la jungle è molto diverso da quando balla la trance, la house, la dance-hall e così via. Lo trovo affascinante: è ciò che noti immediatamente quando vai in un club, quello che crea l’atmosfera.
La musica elettronica d’avanguardia a sua volta ha relazioni molto forti con la danza moderna: John Cage ha lavorato con Merce Cunningham.
Pierre Henry ha scritto composizioni per danza e balletto. Alwin Nikolais, creatore del teatro astratto multimediale componeva musica elettronica e disegnava incredibili costumi in puro stile sci-fi costruendo degli strani, futuristici set space-age!».
In “Futuromania” si dice che tutto è iniziato da Giorgio Moroder con “I Feel Love”, “un singolo che cambiò il pop per sempre e all’epoca venne percepito come uno shock del futuro”. Perché è così importante?
«Perché il suo impatto va molto oltre la scena disco e ha influenzato molti gruppi new wave e post-punk aprendo la strada a house, techno e trance. Amo la techno di Detroit ma quando mi dicono che sono stati loro i precursori, sono costretto a dirgli che veramente è iniziato tutto grazie a un ragazzo del Nord-Italia e, quasi contemporaneamente, a Dusseldorf con i Kraftwerk o forse addirittura in Giappone con la Yellow Magic Orchestra di Ryuichi Sakamoto. E il bello è che i dischi di Moroder oggi suonano ancora grandiosi: IFeel Love, l’album di Donna Summer, Once UponA Time, i dischi degli Sparks prodotti da lui come Nwnber One in Heaveiv. nel mezzo di quel brano c’è un bit che suona come elettronica astratta nel 1979!
Un tempo chi ascoltava rock era discofobico ma è arrivato il momento di dire che IFeel Love è stato molto più importante di altri singoli epocali come GodSave thè Queen dei Sex Pistols o Sheena LsA Punk Rocker dei Ramones».
Questo è il passato che sembrava futuro insieme a molto altro, dal kraut-rock dei Tangerine Dream aH’Afrofuturismodi Sun Ra. Ma qual è quello che sembra il futuro oggi?
«Come accennavo, artisti come Future, che il futuro ce l’ha già nello pseudonimo che si è scelto. Il suo uso dell’Auto-tune è stato rivoluzionario perché ha usato una cosa che nasce per perfezionare il suono della voce per dare l’impressione del contrario: imperfezione, sporcizia, lontananza.
0 i Migos che hanno intitolato i loro ultimi tre dischi “Culture” creando uno stile nuovo sia dal punto di vista estetico che del linguaggio con un flow intervallato da suoni senza senso come il famoso “skrt-skrt-skrt”.
Però negli ultimi tempi la trap ha forse raggiunto un plateau».
Forse la musica del futuro potrebbe essere quella di TikTok.
«Mio figlio Kieran-Press Reynolds (Joy Press, la moglie di Reynolds è a sua volta giornalista culturale e si è occupata di musica, ndr) che ha 21 anni, sta scrivendo proprio di questo e di cose come il SoundCloud rap o Phyperpop: se ci sarà un libro su questi temi non sarà il mio (ride)».
E la pandemia? Come influenzerà il futuro della musica? Per esempio c’è stato un boom di ambient suonata dal vivo non stop ma da ascoltare via computer: cose come “Low-Fi Hip Hop Radio”.
«Vero: la musica è stata una sorta di farmaco di guarigione negli ultimi tempi. Ma adesso le persone vogliono uscire e infatti, nel Regno Unito quest’anno, ci sono stati molti rave, rave pericolosi perché le persone che ci vanno possono prendere il Covid e trasmetterlo. Ma i più giovani si sentono davvero repressi e vogliono tornare alla vita notturna. Tutto però sembra essersi fermato. Il pulsante è in pausa e siamo come congelati.
Stiamo solo aspettando. E le cose potrebbero andare in una direzione o in quella totalmente opposta».