la Repubblica, 17 luglio 2021
La rivolta delle mamma olimpiche
TOKYO – E le mamme? Anzi le SuperMom. Quelle che partoriscono, allattano, e non smettono di giocare. Le atlete, insomma. Come fanno a Tokyo, dove a tutti è stato proibito di portare famiglia? I Giochi si vantano di celebrare la donna e della propria gender equality, però le restrizioni per la pandemia li ingabbiano: o privilegi la maternità o lo sport. Bimbi a casa, aveva ordinato il comitato organizzatore, allarmato dal trovarsi circondato da ciucci e biberon.
Allora la maratoneta Aliphine Tuliamuk, nata in Kenya, ma naturalizzata americana dal 2016, ha scritto una mail al presidente Bach e agli organizzatori di Tokyo 2020: «Ho 32 anni e ho appena realizzato il desiderio di diventare mamma e allatto, ma ho anche vinto i trials, e sono qualificata per Tokyo. Voi mi dite che non posso portare con me mia figlia Zoe di 6 mesi e mi costringete ad una scelta che non posso fare». Aliphine è la prima del suo villaggio in Kenya, Posoy, a laurearsi, nella sua famiglia erano 31 figli. «Forse anche 32».
Anche la canadese Kimberly Gaucher, nazionale di basket, mamma di Sophia, tre mesi, ha protestato e ha lanciato un appello sui social: «Siamo mamme che lavorano, ho 37 anni e allatto, devo venire a Tokyo, è la mia terza Olimpiade, ma non posso lasciare sola per 28 giorni mia figlia. Sia chiaro che così mi costringete ad una scelta crudele. Siamo nel 2021, lo sport femminile si sta evolvendo, rendiamo normale l’idea che una mamma possa anche avere una professione». Ad alzare la voce ci si è messa anche la calciatrice americana, Alex Morgan, 32 anni, campionessa del mondo, che già con la sua nazionale si è molto battuta per avere parità di salario. Alex è madre di una bimba di un anno, Charlie, e anche lei è in attesa di chiarimenti. Tokyo 2020, viste le polemiche, ha dovuto cambiare il suo protocollo ma lo ha fatto con parole che non sono piaciute ad Alex e alle altre: «Il comunicato dice che siamo autorizzate a portare i nostri neonati qualora ce ne sia la necessità. Dicono proprio così: when necessary. Ma chi lo decide se è necessario che io stia con la mia bimba: il Cio, gli organizzatori?». Ci fossero dubbi, le ha subito risposto la sua capitana, Megan Rapinoe, la pantera rosa-viola, dal colore dei capelli: «Lo decidi tu e chi ti sta vicino, la tua famiglia».
Sembra tra l’altro che se le mamme giocatrici sono alloggiate al villaggio, i neonati invece debbano restare in albergo. Zoe, la bimba di Aliphine Tuliamuk, verrà accudita dal papà, Tim Gannon, che è a Tokyo in qualità di allenatore della sua compagna. Ad aiutare a pagare le spese della trasferta sarà un sito web, Babylist e una borsa di studio di Athleta, azienda per cui ha firmato e con cui collabora la sprinter americana Allyson Felix, 35 anni, alla sua quinta Olimpiade (6 ori e 3 argenti), ma alla sua prima da mamma. Allyson ha una figlia, Camryn, avuta nel 2018 con un parto d’urgenza, molto complicato, dove ha rischiato di morire. È tornata ad allenarsi dopo tre mesi e ha lasciato il suo sponsor Nike perché le aveva rifiutato garanzie contrattuali durante la maternità. In più è andata a testimoniare alla Camera sulle disparità razziali. Ora oltre a correre prova ad aiutare le altre.
Sono Giochi molto più che sull’orlo di una crisi di nervi. Liz Cambage, 30 anni, una delle leader della nazionale australiana di basket (bronzo a Londra 2012 e argento mondiale nel 2018) ha rinunciato a Tokyo perché non vuole impazzire nella bolla. Ha detto proprio così, è uno stress che la fa ammalare. «Non è un segreto che nel passato abbia lottato con la mia salute mentale e di questi tempi mi preoccupa molto il fatto di trasferirmi in una bolla olimpica Niente famiglia, né amici, né tifosi, nessun sistema di supporto al di fuori della mia squadra. Onestamente per me è terrificante. Nel mese scorso ho avuto attacchi di panico, non ho dormito e mangiato e ora non voglio tornare a prendere ogni giorno medicinali per controllare la mia ansia. Conosco me stessa e so che non posso essere la Liz che tutti meritano di vedere giocare con l’Australia. Non adesso almeno. Ho bisogno di prendermi cura di me stessa mentalmente e fisicamente». Sì Liz, anche noi. Ma per fortuna nel ’48 l’olandese Fanny Blankers Koen a 30 anni andò ai Giochi di Londra, nonostante avessero cercato di dissuaderla: «Vecchia, resta a casa, vergognati e pensa ai figli». Ne aveva due. Ci pensò a modo suo: correndo e vincendo quattro ori, 11 gare in 8 giorni, sempre prima sul traguardo. Ah, le mamme.