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 2021  luglio 17 Sabato calendario

In morte di Danish Siddiqui

Raimondo Bultrini per Repubblica


BANGKOK — Una scia di morti accompagna da settimane il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan: ora all’elenco delle vittime si aggiunge anche il nome di un giornalista. Il fotoreporter indiano Danish Siddiqui, 41 anni, responsabile dell’ufficio indiano dell’agenzia di informazione Reuters , vincitore di numerosi premi internazionali fra cui il Pulitzer, è stato ucciso mentre copriva l’avanzata talebana nel Sud del Paese insieme alle truppe di Kabul. Il fuoco incrociato che ha spezzato la sua vita è la conseguenza e il simbolo inquietante della feroce guerra che dilania il Paese, tra talebani e le forze del governo addestrate dagli americani.
Siddiqui aveva seguito su mezzi blindati uno commando delle Forze speciali afgane, dirette lungo il confine meridionale con il Pakistan per ricacciare i talebani che si erano impossessati di valichi e centri frontalieri della provincia di Kandahar. Il fotografo stava parlando con un commerciante in una tregua degli scontri tra guerriglieri e militari per il controllo di un mercato sul confine, quando i talebani sono tornati sparando all’impazzata. Con lui è morto anche un ufficiale afgano.
Siddiqui non aveva certo sottovalutato il pericolo vista la progressiva debacle delle forze afgane che, secondo alcune fonti, hanno perso almeno 170 dei 400 distretti del territorio: secondo i talebani in realtà nelle loro mani ci sarebbe l’85 per cento del Paese, in uno scontro in cui i guerriglieri islamisti puntano a scalzare l’esecutivo "secolare" per installarne uno basato sulla legge islamica. Il reporter era stato ferito al braccio da una scheggia poco prima dell’incidente mortale, e sapeva che i ribelli avrebbero difeso con le unghie e con i denti Spin Boldak, un distretto strategico lungo la strada che da Kandahar porta a Quetta nel Baluchistan pachistano. «Lo abbiamo catturato dopo due decenni di brutalità degli americani e dei loro burattini», ha detto pochi giorni fa un militante in un video che il giornalista aveva sicuramente visto.
Il giorno prima una granata aveva anche colpito uno degli Humvee corazzati sul quale viaggiava Siddiqui - noto per i suoi impressionanti reportage da luoghi rischiosi - alla periferia della città di Kandahar, contesa militarmente ma in gran parte ormai sotto il controllo talebano. Voleva andare al seguito dei soldati incaricati di recuperare in zona nemica un compagno ferito e preso prigioniero. Anche in quel caso ci fu un agguato, uno scambio di artiglieria e lanciagranate e il premio per tanto rischio fu il ritratto che fece dell’uomo, seduto su un camion militare con lo sguardo ancora pieno di orrore e smarrimento.
«Scatto per la gente comune che vuole vedere e sentire una storia da un luogo in cui non può essere presente» disse del suo lavoro che tre anni fa gli valse in team con un altro reporter Reuters il premio Pulitzer per aver documentato il dramma dei musulmani Rohingya in Myanmar.
La sua passione e l’ìmpegno spesso ne avevano fatto una figura quasi leggendaria tra i suoi colleghi. «Quando tornava da un incarico – ricorda uno di loro, Rahul Bhatia – gli altri giornalisti lo salutavano come una rock star, come in realtà era. Le notizie non erano solo notizie per lui. Vedeva le persone dietro e voleva farle sentire».
Dal 2010 al suo ingresso nella Reuters dove è diventato capo dell’ufficio fotografico di Delhi, ha coperto soprattutto tragedie: il terremoto in Nepal del 2015, la battaglia di Mosul nel 2016, la crisi dei rifugiati Rohingya appunto, ma anche le proteste di Hong Kong del 2019 e le rivolte di Delhi del 2020 quando immortalò un giovane fondamentalista hindu mentre sparava sulla folla che protesta contro una legge anti-islamica. Ma le sue immagini più impressionanti restano quelle scattate poche settimane fa, durante la pandemia di COVID-19 in India, a indelebile memoria della tragedia di migliaia di vittime bruciate nelle cataste di legna lungo il fiume Gange.
Le foto fecero il giro del mondo e quando la Bbc lo intervistò sul suo lavoro disse che in quelle settimane si era sentito per la prima volta impotente nonostante le misure di sicurezza, perché non solo con tutti quei cadaveri poteva contagiarsi e ammalarsi, ma ogni volta che tornava a casa metteva a rischio la sua stessa famiglia, una moglie e due figli, di certo cresciuti nel timore di non vederlo tornare un giorno, come purtroppo è accaduto.



Il Messaggero

Raccontare, attraverso le immagini, le storie e i volti delle crisi e dei conflitti nel mondo, portando luce dove c’è solamente oscurità. Danish Siddiqui lo ha fatto fino a sacrificare la propria vita a soli 38 anni, tra le terre dell’Afghanistan. Fotoreporter della Reuters e premio Pulitzer del 2018, Siddiqui è deceduto mentre copriva i combattimenti tra le forze di sicurezza afgane e i talebani vicino al valico di frontiera con il Pakistan di Spin Boldak, caduto nei giorni scorsi nelle mani degli insorti. Siddiqui e un alto ufficiale sono stati uccisi nel fuoco incrociato con i talebani, ha riferito la Reuters che ha ricevuto le informazioni dall’esercito del Paese.
IL RICORDO
«Danish era un giornalista eccezionale, un marito e un padre devoto e un collega molto amato. I nostri pensieri vanno alla sua famiglia in questo momento terribile», hanno dichiarato in una nota il presidente di Reuters Michael Friedenberg e la direttrice Alessandra Galloni, sottolineando che l’agenzia sta raccogliendo «urgentemente maggiori informazioni, in collaborazione con le autorità della regione». Il giornalista, di nazionalità indiana, era embedded nelle forze afghane dall’inizio di questa settimana, e ieri mattina aveva riferito alla sua agenzia di essere stato ferito al braccio da una scheggia mentre stava seguendo gli scontri. È stato curato, e si stava riprendendo mentre i talebani si ritiravano dagli scontri a Spin Boldak. La Reuters ha riferito che un comandante afghano sotto anonimato ha raccontato che Siddiqui stava parlando con alcuni negozianti quando i talebani hanno attaccato di nuovo. L’agenzia ha precisato di non poter verificare in modo indipendente la ricostruzione della vicenda. Siddiqui lavorava per Reuters dal 2010, e aveva coperto le guerre in Afghanistan e Iraq, le proteste di Hong Kong, i terremoti in Nepal e la crisi dei rifugiati Rohingya, per la quale nel 2018 il suo team ha vinto il Pulitzer per il miglior servizio fotografico.