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 2021  luglio 17 Sabato calendario

Orsi & Tori

Commercio online, piattaforma di marketing, rete di consegna e logistica, sistema di pagamenti, prestatore di credito, casa d’aste, grande editore di libri, produttore di serie televisive e di film, designer di moda, leader in pubblicità, produttore di hardware, host di spazio nei server e cloud… E fornitore di informazioni, musica, dati e molto altro con Alexa, che allo stesso tempo è un microfono aperto in casa tua. Amazon è tutto questo e forse di più. Per combatterne il potere, l’attempato presidente Joe Biden che cosa ha deciso? Ha messo a capo della Federal trade commission, Lina Khan, autrice del libro strepitoso Il paradosso antitrust di Amazon. Il paradosso è che per moltissimi anni Amazon ha registrato una crescita sbalorditiva, generando profitti solo dopo molto tempo e molto magri, con prezzi sottocosto pur di espandersi enormemente. Pur essendo nella sostanza violatore delle regole antitrust, Amazon è sfuggito
all’esame delle autorità antitrust. Perché, sostiene la giovane Khan, la filosofia che l’antitrust americano persegue (o ha perseguito) è il benessere del consumatore, in termini di prezzi a breve termine; senza essere in grado quindi di comprendere l’architettura del potere di mercato nell’economia moderna. “Per questo”, conclude Khan, “non possiamo conoscere i danni alla legittima concorrenza creati dal dominio di Amazon. La concorrenza, infatti viene misurata principalmente attraverso i prezzi e la produzione. E quindi per il caso Amazon l’attuale dottrina antitrust sottovaluta il rischio dei prezzi predatori e trascura anche come l’integrazione tra linee di business distinte possa rivelarsi anticoncorrenziale”. Il focus è su Amazon, ma Nina Khan arriva presto agli Ott della tecnologia e spiega: “Le preoccupazioni si accrescono nel contesto delle piattaforme ad alta tecnologia per due ragioni:1) anche per le piattaforme c’è l’incentivo a perseguire la crescita, perché gli investitori stanno premiando questa politica e i prezzi bassi diventano altamente premianti per la attuale politica antitrust; 2) perché l’integrazione fra le linee di business (si pensi a Instagram, WhatsApp per Facebook e a YouTube e il sistema Android per Google, ndr) consente alle piattaforme di controllare l’infrastruttura essenziale da cui dipendono i loro concorrenti”. E bravo presidente Biden! In un sol colpo si è avvicinato a quanto seppero fare Franklin Delano Roosevelt ma anche a Theodore Roosevelt, presidente per quattro mandati. I 72 decreti firmati venerdì 9 luglio da Biden vanno dalla politica dei biglietti aerei, all’importazione di farmaci da prescrizione più economici, il che rappresenta una delle sfide più dure e cruente appunto dai tempi di Roosevelt. Così non si dimentica l’interesse dei consumatori, ma come ha spiegato Heather Boushey, uno dei consiglieri economici del presidente americano, “… è altrettanto importante assicurarsi che un giovane abbia l’opportunità di diventare imprenditore, che ci sia un campo da gioco aperto e paritario. Sono valori che il presidente ha sostenuto in tutte le nostre riunioni”. Finalmente l’amministrazione americana ha capito che occorreva ritornare ad applicare le leggi antitrust, che sono nate alla fine del diciottesimo secolo per limitare lo strapotere di Standard Oil, che con il monopolio del petrolio poteva imporre i prezzi che voleva e quindi ostacolare lo sviluppo economico. Ma l’ultima operazione importante per ristabilire la concorrenza e quindi prezzi adeguati, era stata la scissione in 10 società di di At&t, il dominatore delle telecomunicazioni. Poi un lungo letargo con, anzi, una scelta opposta, lasciando che Google arrivasse al 94% del mercato del search, nonostante nel settore sia attivo un gigante come Microsoft, che ha il suo software in quasi tutti i computer del mondo e che nel search ha una micro quota del 4%. Per molti anni, gli ultimi tre presidenti che hanno governato per due mandati (Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama) si sono illusi che dando campo libero a Google, Facebook, Amazon…l’America sarebbe diventata ancora più forte, ancora più dominatrice del mondo. E quindi hanno adottato una sorte di laissez faire, se non addirittura di incentivazioni per la Silicon valley. Invece, è successo, come si è visto, che gli Ott sono diventati i padroni del mondo, più potenti degli stessi capi di stato. Non era facile per un presidente attempato, ma forse proprio perché attempato e quindi conoscitore del passato, ha potuto affrontare così di petto il potere di Google, Amazon Facebook, visto che quest’ultimo si era permesso di non consentire al presidente Donald Trump, per quanto folle ma democraticamente eletto, di postare sul suo account il suo pensiero. Ma come ha spiegato bene la giovane Khan, la rivoluzione tecnologica impone di non guardare più ai prezzi bassi per i consumatori come soddisfazione degli effetti dell’antitrust, quanto piuttosto di rendere accessibile il mercato alla concorrenza, perché l’integrazione fra le varie linee di business, di cui Amazon è campione ma seguita da vicino dagli altri Ott, impedisce assolutamente la concorrenza e la possibilità di stare sul mercato da parte di più concorrenti. Quindi, dopo anni in cui le grandi corporation potevano cercare di conservare il potere sul mercato sostenendo che così il consumatore poteva godere di prezzi bassi e avere prodotti di qualità, da venerdì 9 luglio la filosofia è cambiata. Opportunamente cambiata, per gli intrecci settoriali che la tecnologia permette. E la reazione degli Ott non si è fatta attendere: è partito Facebook, che ha chiesto la ricusazione di Nina Khan da presidente della FTC, poiché avrebbe costruito la sua carriera essenzialmente indicando Facebook come un trasgressore delle regole dell’antitrust. Non poteva esserci più eloquente conferma di come sarà dura la guerra di Khan ma anche di Biden. A dare coraggio e a spingere il presidente Biden per una rivoluzione che mira a democratizzare il mercato e tagliare le unghie agli Ott, è stata l’Unione europea. Le multe inflitte dalla vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Verstager in questi anni; l’apertura dell’inchiesta su Facebook; l’annuncio fatto dalla ex-vicepremier danese su MF-MilanoFinanza dei due nuovi regolamenti (Digital service act e Digital market act) sono stati sicuramente tutti un viatico per Biden, attivo sul tema nei recenti G7 e G20. E se non bastasse, come una bomba, è arrivata la multa di 500 milioni di euro decisa dall’antitrust francese contro Google per non aver negoziato correttamente e in maniera generale con gli editori per l’obbligo di legge di pagare un prezzo equo per l’uso del copyright, cioè l’uso dei contenuti dei vari media. Rubando dai siti degli editori i contenuti, Google ogni giorno fa evitare, visto che offre tutto gratis, ai lettori e agli spettatori del mondo di comprare giornali, abbonamenti e tutti gli altri sistemi di informazione. Dopo la direttiva europea varata alla fine del 2019, che imponeva agli Ott di non violare il copyright e pagare per l’utilizzo di contenuti non suoi, cioè per mettere fine al saccheggio che ha fatto diventare Google il maggior raccoglitore di pubblicità del mondo (1,8 miliardi di euro solo in Italia, dove per altro paga le tasse solo su 70 milioni di fatturato), il parlamento francese era stato il più veloce a convertire la direttiva europea in legge. E quindi a imporre la trattativa con gli editori e i media francesi. Dopo un po’ di melina facendo finta di negoziare con le associazioni di categoria, ecco la mossa: in pieno Covid, Google ha annunciato di aver chiuso l’accordo con i maggiori giornali francesi fra i quali Le Figaro, Le Monde, e Les Echos, lasciando in sospeso l’accordo con Alliance de la presse che riunisce tutti gli altri. In quella occasione Google aveva annunciato di mettere a disposizione 300 milioni di dollari per i giornali di tutto il mondo. Con rapidità e determinazione l’Antitrust francese gli ha spiccato una multa appunto di 500 milioni. “Così impara a produrre utili enormi sulla pelle dei media che garantiscano l’informazione di qualità”, ha commentato uno dei componenti dell’Antitrust transalpino. “Non solo, con 300 milioni per tutto il mondo Google ha pensato di fare l’elemosina e ha manipolato il settore andando ad accordarsi per primo con i maggiori giornali francesi. Con una multa di 500 milioni dovrà capire che non può fare l’elemosina e che la trattativa deve essere fatta in modo da non lasciare da parte i media più piccoli”. Per la lentezza del parlamento italiano e, prima del governo Draghi, per la scarsa coscienza dell’importanza di un’informazione di qualità in una democrazia avanzata, la traduzione della direttiva europea nella legislazione italiana deve ancora avvenire.Il nuovo sottosegretario per l’editoria, Giuseppe Moles, sta cercando di accelerare i tempi. Sicuramente è consapevole di alcuni dati inequivocabili:1) in rete, nonostante il furto da parte di Google dei contenuti dei media, le fake news hanno da tempo superato le notizie vere, arrivando secondo le ricerche più attendibili al 60-65%, per non parlare del caso specifico di Covid e vaccini nella cui informazione le fake news sono superiori nettamente al 65%; 2) come ha detto in un intervista alla Rai, il presidente della Armenia, Armen Sarkissian, professore di fisica a Cambridge, oggi un politico viene giudicato nei suoi atti non alla fine del mandato, ma entro pochi secondi; di conseguenza reagisce e nascono strutture di replica e di guerra politica sui social: non a caso Matteo Salvini ha chiamato la sua struttura La Bestia. Non vi è dubbio che la mossa del presidente Biden riapre una prospettiva positiva nella democrazia del mercato e sicuramente è stata pensata anche per un rafforzamento dei rapporti con l’Europa, che pur avendo meno tradizione nelle attività antitrust, da tempo, soprattutto grazie alla vicepresidente Verstagen, ha superato gli Usa quanto a volontà e attività per garantire concorrenza e per colpire chi abusa di posizione dominante. Probabilmente questa unità di vedute fra Europa e Usa nella volontà di tagliare le unghie e le quote di mercato a chi, grazie alla tecnologia senza regole, ha assunto troppo potere e sta accumulando ricchezza smisurata in borsa, bilancerà una inevitabile differenza, anche profonda, sebbene non apertamente dimostrata fra i due continenti rispetto alla Cina. Un’analisi critica e condivisibile l’ha compiuta recentemente The Economist, il quale sotto il titolo neutro “Biden’s China doctrine” non ha esitato a scrivere che “…più il signor Biden usa una retorica stridente contro la Cina per galvanizzare gli americani, più difficile diventa il suo compito di galvanizzare gli alleati e le grandi potenze emergenti come l’India e l’Indonesia. Inquadrando la relazione come una gara a somma zero, attiva una sorta di lotta manichea tra democrazia e autocrazia, piuttosto che la ricerca di coesistenza. Ahimè, in questo egli sopravvaluta l’influenza della America e sottovaluta quanto potenziali o attuali alleati hanno da perdere voltando le spalle alla Cina”. Il ragionamento del più intelligente e più antico media occidentale non fa una grinza perché a suo giudizio e non solo a suo, la Cina sta diventando la più grande forza economica del mondo, essendo già il più grande partner commerciale di quasi il doppio dei paesi partner degli Usa. E la Germania, il maggiore esportatore d’Europa, mira a mantenere e incrementare i rapporti commerciali con la Cina, per cui anche i legami politici, per l’atlantismo, si possono raffreddare. “Piuttosto che imporre decisioni agli altri, il signor Biden ha bisogno di conquistarli”, aggiunge The Economist, che certo non può essere tacciato di filo comunismo, mettendo invece sempre avanti il realismo e la democrazia. “…Piuttosto che costruire sui suoi punti di forza, come campione di regole globali, l’amministrazione americana sta usando le minacce verso la Cina per promuovere la sua agenda interna”. Insomma, anche The Economist è allineato sui contenuti importanti emersi nel programma Options of Next 35, in occasione dei 35 anni di Class editori andato in onda su Class Cnbc, dalle 9,30 alle 17 di martedì 12. In particolare sono stati rilevantissimi gli interventi del professor Mario Rasetti e del professor Alessandro Arduino, che analizzando la situazione del mondo dal lato della tecnologia, sono giunti a conclusioni analoghe a quelle del settimanale inglese. Ma con una dovizia di dati e di informazioni straordinarie. Per esempio sulla massa stratosferica di dati che il mondo sta producendo e che nel giro di non molti anni, con 6 miliardi di persone connesse a internet in tutto il mondo, ogni giorno raddoppieranno quelli prodotti dalla nascita del mondo al giorno prima. Stimolati da Andrea Cabrini, i relatori hanno dato informazioni e prospettive di grandissimo valore. Per chi non avesse potuto assistere al programma, entro pochi giorni potrà rivederlo on demand su ClassAgora.it, la piattaforma che riunisce il saperi dei media di Class editori.