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 2021  luglio 16 Venerdì calendario

La Woodstock di Gerry Scotti

Per Gerry Scotti, scegliere quale sia stato il concerto più importante della sua vita non è impresa facile. La musica ne è da sempre una parte fondamentale. «In particolare, è incredibile quello che riesce a fare quella dal vivo: ha un potere evocativo che forse solo alcuni grandi eventi sportivi hanno. Lascia un ricordo indelebile. Ho in mente non solo quello che provavo il giorno in cui dovevo assistere a certi concerti, ma anche con chi ero, come ero vestito...».
E mentre parla, sembra di vederli assieme a lui questi ricordi di «un figlio della radio e del juke box», come il conduttore definisce sé stesso e la sua generazione. «Eravamo ammalati di musica: ognuno aveva il suo cantante preferito, il gruppo, il poster appeso in camera. I boomer erano accomunati da questa passione». Non che fosse semplicissimo perseguirla, «perché prima di avere qualche soldino per acquistare i biglietti dei concerti ne passava...».
Non solo. Avere il permesso dei genitori per andarci «era anche più complicato. Eravamo grandi e grossi, avevamo 16, 17 anni, io ero già alto un metro e 85 e pesavo 90 chili, ma per andare a un concerto dovevo avere il permesso della mamma e del papà... anche perché se non glielo avessi detto come minimo mi inquadravano al telegiornale».
Negli anni Settanta le occasioni dei concerti «erano molto strumentalizzate, politicizzate, a rischio sommossa». Per questo, prenderne parte involontariamente ti spingeva anche a capire che tipo di persona essere: «Ogni volta che c’era un concerto importante i sobillatori coglievano l’occasione per caricare la polizia». Alla fine, dunque, non si trattava solo di ascoltare musica ma di scegliere da che parte stare: «Chi come me era stato trascinato solo dalla passione per la musica, si trovava davanti a situazioni a cui non voleva nemmeno credere. In parecchi casi, forse anche perché ero più giovane e spaventato, è stata una cosa che ho patito. È successo quando ero andato a vedere i Led Zeppelin al Vigorelli, e poi Santana: decisi di andare via, mentre le persone iniziavano a picchiarsi...».
Anni 70
Ogni volta c’era il rischio
di sommosse, ho patito molto. Dai Led Zeppelin
fui costretto a scappare
I ricordi legati alla musica, però, sono soprattutto dolci. «Mi viene in mente un locale, fuori Milano, verso Bresso. Era una balera ma d’estate ospitava anche concerti. Lì mi sono goduto il concerto dei Camaleonti nel momento in cui avevano in classifica Applausi... si era tenuto nel tardo pomeriggio della domenica, non ho dovuto inventare scuse con i miei genitori. Avevo 12 anni e per me era come aver visto suonare i Beatles».
C’è un altro evento «fondamentale per noi ragazzi cresciuti con il mito di Woodstock, la nostra tre giorni di amore: è stato il grande concerto della Festa del proletariato giovanile al parco Lambro, a fine giugno del ‘76: avevo 20 anni e il bello non erano solo i due giorni e mezzo di concerto, ma lo stare fuori a dormire con il sacco a pelo come a Woodstock, un’esperienza indimenticabile». Lì il permesso della mamma era servito? «In realtà in quel caso era stata una sfida. “Figuriamoci se resisti a dormire al parco Lambro una notte”, mi aveva detto. Quando alle 4 di notte stavo quasi per tornare a casa, ho resistito per non farle vincere la scommessa».
In quegli anni, la musica da passione cominciava a diventare un lavoro per il quasi dj Scotti: «Quando poi ho iniziato a lavorare in radio, non ho perso un concerto. Li ho visti proprio tutti, dagli Spandau Ballet ai Simply Red. Ma il più bello, il più ricco e spettacolare è stato quello di Michael Jackson». Tanti bei ricordi e due dispiaceri: «Non sono mai andato a vedere i Rolling Stones che mi piacciono da matti: li avrò visti in centomila modi in tv, ma mai dal vivo. E poi il più grande: avevo il biglietto per David Bowie, il mio artista preferito, e per un motivo di lavoro non sono riuscito ad andare».
Ma c’è materiale per consolarsi. Perché se alla fine di questa galoppata il conduttore deve decidere quale è stato il concerto più significativo di tutti per lui, la scelta – comprensibilmente – cade su quello in cui si è ritrovato a cantare a San Siro, davanti a 30 mila persone. «Era il concerto di Zucchero. Mi aveva chiamato per fare una sua sorta di controfigura all’inizio. Poi, verso la fine della serata, quando credevo si fosse dimenticato, mi ha detto di uscire da dietro le quinte per cantare con lui Funcky Gallo. Per me, che sognavo di fare il cantante rock, se non avessi fatto la strada che ho fatto, è stata l’emozione più bella e forte mai provata. In quei tre minuti sul palco c’è stato il riassunto dell’altra vita che avrei voluto vivere».