il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2021
Tre indizi su Due vite
Due vite” di Emanuele Trevi (Neri Pozza), libro vincitore del Premio Strega, non sa, né vuol sapere, se sia più romanzo, saggio o memoir, in questa ambiguità trova la ragione del suo stile; ma la numerologia ci dà due buoni indizi, o forse tre, per decifrare la sua identità.
Due vite è un libro dedicato all’amicizia; o meglio, al sodalizio che ha legato l’autore a due altri scrittori coetanei, eppure scomparsi troppo presto: Emanuele, Rocco e Pia hanno avuto “una storia di amicizia” come si ha “una storia d’amore”, una vera rarità nel Paese più cattolico al mondo, perché l’amicizia ha contro la competizione, la cupidigia, il potere, esattamente come l’amore; ma ha contro anche l’amore, o quantomeno il desiderio di innamorarsi: “A innumerevoli esseri umani è dato questo destino, di ottenere molta più felicità dall’amicizia che dall’amore. Ma purtroppo queste persone non si arrendono facilmente…”.
Una perfetta triangolazione di amicizia, quella ricostruita da Trevi. Se l’amore è pari (ma lo sarà davvero?), l’amicizia è dispari, chiusa in un triangolo come l’Occhio della Provvidenza. Ma in questa narrazione dove la trama è scritta dal vissuto pulsa una seconda alleanza, quella tra i vivi e i morti. I morti sono amici dei vivi? E fino a che punto? Tocca ai vivi decidere, l’onere della prova di essere esistiti insieme a chi abbiamo amato. “La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti”, ma anche l’io narrante vacilla sulla fune tesa sul vuoto, guai se non ci fossero gli amici a sorreggerlo. Per ripercorrere le tappe della triangolazione, Emanuele fa il contrario di Orfeo: resta nel Regno dei vivi, da dove chiama a raggiungerlo Rocco e Pia, sperando che non cedano alla tentazione di voltarsi indietro.
(Non ho conosciuto Rocco Carbone, ma sono stato amico della mia concittadina Pia Pera. Vorrei dire a Emanuele che, oltre a Macchia, l’altro cane di Pia si chiamava Nino. Su mio consiglio, si era presa lo pseudonimo di Nino Macchia).