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 2021  luglio 15 Giovedì calendario

Cuba, il regime al bivio e la tentazione di Raúl (quella di un golpe)

In qualunque Paese del mondo con una situazione meno critica di questa la società sarebbe esplosa da tempo. Ma a Cuba sta succedendo esattamente quello che questo governo si merita. E badate bene che parlo di governo e non di rivoluzione. È evidente che non si può passare dalla leadership di Fidel Castro al passo da lumaca di questi signori che Raúl Castro ha messo alla guida dello Stato. Raúl Modesto Castro Ruz, il gran colpevole di questo disastro. Era il suo sogno: tornare ai corridoi della vecchia Repubblica, far prevalere sopra ogni altra cosa le istituzioni che proprio la Rivoluzione spazzò via mezzo secolo fa. Per altro verso, pensare che un burocrate come Miguel Díaz-Canel abbia la capacità di leadership sufficiente per portare avanti un progetto di continuità sociale e politica post-rivoluzionaria e, come esigono le circostanze attuali, contenere le proteste, è un’illusione di corto respiro.
Le manifestazioni di oggi lo dimostrano in modo inconfutabile. Uno degli slogan più gettonati fra i manifestanti prende di mira la gestione negligente del governo, la sua incapacità di agire. Sono smarriti, per Dio. La potenza sanitaria di cui andava orgoglioso Fidel è riuscita a vaccinare contro il Covid-19 solo poco più del 5 per cento della popolazione. Una popolazione di 11 milioni di abitanti! E nel contesto di un’isola, per di più. Era così complicato tenerla chiusa? Invece hanno perso la testa e hanno detto che era il momento perfetto per affermarci come polo turistico e lasciar entrare tutti, a cominciare dai turisti russi, quelli provenienti da uno dei Paesi con il tasso di contagi più alto.
Molti si domandano che ruolo possa giocare Raúl Castro, se continui a comandare a Cuba. La verità è che non si sa se intenda giocare un qualunque ruolo. Vecchio, malandato, secondo alcune voci malato (c’è chi pronostica la sua morte entro l’anno), il suo motto già da un po’ è: «Vi ho lasciato tutto in mano, arrangiatevi come potete». (Ovviamente, se c’è qualcosa che potrebbe fargli cambiare opinione è vedere a rischio la sua pellaccia. E se dovesse vedere un pericolo, preparatevi, perché è uno spietato sul serio). Già che siamo arrivati al tema di Raúl, è opportuno fare una piccola pausa. Perché… chi può garantire che dietro tutto questo tumulto non ci siano le sue mani di magistrale cospiratore, cresciuto alla scuola del migliore di tutti, Fidel? Non è la prima volta che succedono cose del genere a Cuba (Cárdenas e Wajay nel 1961, la crisi dei balseros nel 1981, il maleconazo nel 1994), e alla fine si scopre sempre che erano episodi creati dagli stessi Fidel e Raúl. Casca a fagiolo il grande dubbio che possa trattarsi di una cospirazione di Raúl e che per la prima volta nella storia emerga il pericolo di un colpo di Stato all’Avana. Non perché l’esercito intervenga di fronte alla gravità della situazione, come successe in Polonia quando Jaruzelski assunse il potere. O perché gli eventi sfuggano al controllo fino a mettere in moto un processo come quello che avvenne nei Paesi dell’Est Europa prima della caduta del Muro di Berlino. Ma lasciamo perdere le analogie. La Rivoluzione Cubana, come qualsiasi rivoluzione autentica, fa storia a sé. Ha sempre saputo inventare se stessa. Né Jaruzelski né Muro di Berlino. Quelli erano Paesi schiacciati sotto lo stivale sovietico, martoriati dalle divisioni blindate dell’Armate Rossa. I cubani, al contrario, erano felicissimi di avere almeno una brigata sovietica nel cortile di casa, per usarla se fossero arrivati gli yankees.
Se le Forze armate rivoluzionarie dovessero fare un golpe, penso che sarebbe la cosa migliore che possa accadere al Paese. Questo governo in un modo o nell’altro bisogna cambiarlo. Ma non per cedere il potere a una controrivoluzione incolta e sboccata. È qualcosa che deve venire da dentro. Diciamo da quel che resta delle forze interne della Rivoluzione. In questo senso quello che sta succedendo a Cuba è salutare. È un segnale d’allarme molto serio. Questa pentola non può sopportare ulteriore pressione e ogni giorno che passa l’illusione cubana si deteriora più rapidamente sotto gli occhi del mondo. Sono obbligati a offrire da subito una gestione nuova. Naturalmente i cubani attribuiranno agli Stati Uniti la responsabilità di quello che sta accadendo (come hanno sempre fatto). E anche se hanno ragione (l’assedio degli americani è quasi totale), è ora che si rendano conto che il tempo si sta esaurendo. Non assumersi la responsabilità è uno dei tanti errori del governo cubano. Scaricare sugli americani qualunque vicissitudine è diventata una pratica usurata. E nessuno fra i governanti cubani dice che mentre nel Paese si soffre la fame e si devono fare i conti con la scarsità di medicinali e gli interminabili blackout, loro si dedicano a costruire alberghi di superlusso per stranieri. Nessuno ferma queste opere né dirotta un centesimo dei soldi investiti per alleviare le difficoltà della popolazione. Sono parecchi anni ormai che Cuba ha smesso di essere conosciuta e applaudita per i suoi successi militari e sportivi, per i suoi balli popolari, per la bellezza delle sue donne. Ora è famosa perché non fa in tempo a uscire da una crisi che ne comincia subito un’altra. E gli americani che dicono? Be’, finora Biden ha dimostrato una straordinaria capacità di ignorare le scempiaggini. Quanto ai cubani, ci sarà qualcuno che gli insegnerà a smetterla di lagnarsi? Intanto oggi le strade di Cuba si sono risvegliate nel silenzio. Senza un’anima in giro. Vuote.