La Stampa, 15 luglio 2021
I 70 anni di Jerry Calà
Verona
Jerry Calà compie 70 anni. Ben 50 da quando ha iniziato a fare banda con i Gatti di Vicolo Miracoli: lui, Franco Oppini, Nini Salerno e Umberto Smaila, liceali a Verona nel 1971. Amici da sempre, malgrado tutto: le amicizie di quell’età sono le più resistenti.
Gli anni Calà li ha compiuti il 28 giugno. La festa vera, però, sarà il 20 luglio: quando all’Arena di Verona sarà protagonista di un concerto-spettacolo kolossal. A condividere questo momento – inevitabilmente, irrinunciabili – anche loro: anche quei 50 sono una ricorrenza da celebrare alla grande. «Mi toglierò tante libidini...», ride l’attore. Ed elenca, Gatti a parte: «La mia solita band, i 70 musicisti della Verona Young Orchestra e tanti amici: Boldi, Greggio, Cinquetti, J-Ax, Ricciarelli, Shapiro, Vandelli, Testi, Venier, Spagna, Leali, Salerno (Sabrina)». Più che una festa di compleanno, un inno all’amicizia.
Con i Gatti: come è nato tutto?
«Il nostro liceo, il Mazzei, aveva un teatrino. E noi facevamo parte della filodrammatica: prima commedie o spettacoli di satira, poi siamo passati alla musica e al cabaret. Eravamo inseparabili. Ci divertivamo e divertivamo gli altri. Finite le superiori, abbiamo tentato l’università: tutti con scarso successo. Così abbiamo deciso di partire alla ventura con quello che amavamo fare. La prima meta è stata Roma: ma non era per noi. Respinti. La nostra fortuna è stato Cino Tortorella, il Mago Zurlì, che ha fatto la magia di portarci al Derby di Milano: ci ha fatto debuttare sotto la sua responsabilità. Andammo bene e quella fu la nostra università: allora su quel palco salivano Villaggio, Jannacci, Cochi & Renato. C’era un Abatantuono agli esordi, con il Terrunciello. Venne la Caselli una sera: e ci scritturò per la sua etichetta».
Poi arrivò il cinema: come accadde?
«Tornammo a Roma prendendoci la rivincita: al Teatro Tenda per un mese con 2000 persone a sera. Passò tutta la città, produttori compresi. Carlo Vanzina fu il più veloce: ci propose subito due film. (pausa). Carlo... Mi manca tanto».
Ma il cinema vi divise, anche.
«Fu sempre Carlo Vanzina a spingermi a staccarmi dai Gatti. “È te che vuole il pubblico. Tu che buchi lo schermo”. Mi mise davvero in crisi. Ma sono treni che passano una volta sola. Feci una quarantina di film, anche 3 o 4 all’anno».
Con lei regolarmente massacrato dalla critica. Non se la prendeva?
«Ho fatto film che hanno segnato un momento e forse fatto la storia del nostro cinema: “Sapore di mare”, il primo “Vacanze di Natale” non ancora cinepanettone, il ritratto generazionale “Yuppies”, “Il ragazzo del pony express”, sulla disoccupazione giovanile e su un rider ante litteram. A un certo punto ho anche avuto un premio: proprio dalla critica italiana, per “Diario di un vizio” di Ferreri. Mi chiesero anche scusa per come mi avevano sempre trattato. Durò poco: al film dopo, di nuovo pesci in faccia. “È quando parlano bene di te che ti devi preoccupare” mi disse il saggio Pozzetto».
Come mai smise a un certo punto?
«Capita che la vita ti spinga a fare altro, che si aprano delle “sliding doors": la mia era sul teatro. Ma era un cinema che già scricchiolava. Però era (è) il mio grande amore: dopo anni, mi sono rimesso a farlo, passando anche alla regia».
E con i Gatti, nel frattempo?
«Abbiamo continuato a divertirci insieme. Li coinvolgo nei miei film, Smaila compone le musiche, facciamo ancora qualche spettacolo. Quando ci ritroviamo il cazzeggio parte in automatico. Ma non ci si vede tantissimo: sono l’unico che è restato a vivere a Verona. Amo questa città».
Che non era la sua (né di nessuno di voi quattro).
«Smaila profugo giuliano, Salerno calabrese, Oppini mantovano. E io siciliano. Ma cresciuto a Milano. Avevo 12 anni quando mio padre fu trasferito a Verona: io e mia sorella pensavamo di morire, passare dalla metropoli in quella cittadina alla “Happy Days” tutta pettinata. Pesci fuor d’acqua. E invece le dobbiamo un’adolescenza divertentissima. Era una piccola Liverpool italiana: ogni cantina una band. E all’Arena passavano tutti i nostri miti di allora».
Come si sente pensando a così tante candeline?
«Continuo a sentirmi il solito ragazzo di sempre. Un trentenne pieno di idee e progetti. Il prossimo: regista e interprete di un nuovo film. Inizierò a novembre. Però, se mi guardo indietro...Gli anni ci sono tutti: le tante cose fatte, gli eventi belli e brutti... Se i gatti hanno 7 vite, io ne ho vissute almeno 4 o 5. Certo 70 anni... Ma i 70 non sono i nuovi 50?».
È sempre così positivo?
«Con il lockdown ho rischiato di andare in depressione. Ma ho una bella famiglia: l’abbiamo sfangata, facendo tante cose insieme, costruendo un muro di leggerezza contro questa terribile pandemia e tutto il dolore che portava con sé. Se tante famiglie si sono sfasciate, noi ci siamo stretti ancora di più. Con mio figlio ci siamo fatti un’indigestione di tutti i classici del cinema. Risultato: ora si iscriverà al Dams (qui a Verona). Con i suoi compagni di liceo ha già girato alcuni corti e nel mio film avrà un ruolo».
I 60 anni li aveva festeggiati al Teatro Romano; i 70 li fa all’Arena. E gli 80?
«Ma al Bentegodi, no?» —