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 2021  luglio 15 Giovedì calendario

La Cina la più avanzata sulla moneta digitale

Anonima. Come una banconota, i cui movimenti non sono facilmente tracciabili. Elettronica, come una buona parte dei pagamenti che facciamo oggi.
L’opportunità di una moneta digitale è questa: l’amplificazione, per via digitale, dei vecchi pagamenti con cartamoneta. Al cinema è realtà da tempo: i riscatti e i pagamenti in nero versati con impossibili bonifici in tempo reale – e con il contatore che magari corre al totale – rappresentano bene a cosa serva una valuta digitale; e forse non è proprio un caso che, a venire in mente, sono immediatamente i pagamenti nell’economia sommersa. La banca centrale che ha già lanciato una valuta digitale che non è privata – e quindi offre garanzie che nessun sito semisegreto può offrire – ma allo stesso tempo garantisce è la Eastern Caribbean Central Bank, l’autorità monetaria comune di Anguilla, Antigua e Barbuda, Grenada, Montserrat, St. Kitts and Nevis, St. Vincent e Grenadine e altri microstati o territori oltremare britannici. Alcuni di questi comparivano negli elenchi dei paradisi fiscali: Anguilla, per esempio, è considerata ancora dalla Ue un paese «poco cooperativo». L’equilibrio tra privacy e controlli per evitare l’evasione fiscale, il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, è un aspetto fondamentale delle valute digitali “ufficiali”.
Il vero nodo, però, è evitare che la moneta elettronica diventi un fattore di instabilità. Ogni banca centrale, indirettamente, “governa” la quantità di moneta in circolazione che deve essere compatibile con il livello di attività economica. Eccessi in un senso o nell’altro possono essere assorbiti dal sistema economico – cambia la velocità della moneta – ma fino a un certo punto. Per le autorità monetarie è importante evitare che siano possibili “corse agli sportelli” digitali, ma anche l’equivalente di una dollarizzazione, per esempio nel caso di instabilità del cambio. Come è avvenuto con la corsa ai conti in valuta in Turchia nei mesi scorsi.
Ecco perché è molto avanti nello studio di una moneta digitale ufficiale la Banca centrale della Cina, il paese in cui la stretta del Partito comunista diventa sempre più forte sia sull’economia sua sui flussi telematici di dati. La Pboc ha già lanciato in diverse città – a Suzhou in particolare – un esperimento. Su scala cinese, ovviamente: il test, al quale si può accedere solo per invito, già coinvolge 10 milioni di persone. Allo stesso tempo sta chiudendo tutte le imprese che forniscono assistenza ai provider di criptovalute (che richiedono grandi capacità di calcolo e memoria). Le autorità monetarie cinesi sono in realtà molto ambivalenti verso le valute digitali. La Ant del gruppo Alibaba, che collaborava alla sperimentazione, ha visto bloccare la sua Ipo, mentre la banca centrale le ha imposto una trasformazione: un caso che – ha affermato la Pboc qualche giorno fa – è solo un’apripista, altre compagnia attive nei servizi di pagamento subiranno lo stesso trattamento.
Interessante è anche il caso dell’Ecuador dove il Dinero Electronico è stato usato dal 2014 al 2018, in un’economia totalmente dollarizzata in cui l’uso degli smartphone è molto ampio. Alla fine ha fallito, soprattutto per l’opposizione delle banche, che vi vedevano un concorrente dei propri sistemi di pagamento e che allo stesso tempo avevano iniziato a usarlo per trasformarlo in una valuta sovrana, a cui il paese ha rinunciato per evitare l’instabilità monetaria. Come le banconote, la moneta digitale delle banche centrali pone effettivamente in diretto rapporto l’autorità monetaria e il cittadino, eliminando il “filtro” del sistema bancario (e questo può cambiare anche le modalità in cui agisce la politica monetaria). Creare una divisione dei compiti tra banca centrali e sistema creditizio è allora fondamentale – nota per esempio la Banca dei regolamenti internazionali nel suo ultimo rapporto – per il buon funzionamento di una moneta elettronica delle banche centrali.