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 2021  luglio 14 Mercoledì calendario

Morte e saccheggi a Soweto

Anche Soweto brucia: morte e saccheggi nel luogo che diede cuore e braccia alla lotta contro l’apartheid, nelle strade dove Nelson Mandela cominciò il suo cammino di libertà. Le violenze peggiori dalla nascita del Sudafrica democratico: almeno 45 vittime negli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. Dieci persone calpestate a morte durante le razzie in uno shopping center nell’ex ghetto più famoso di Johannesburg. Ottocento persone arrestate, strade bloccate, l’esercito chiamato a presidiare le città mentre il Covid corre e si fermano le vaccinazioni. Fiamme e vittime nel centro di Durban e in altri centri del KwaZulu-Natal, la terra dove ha le sue roccaforti l’ex presidente Jacob Zuma, costretto a lasciare il potere tra gli scandali nel 2018. Il re decaduto ha varcato i cancelli di un carcere la settimana scorsa, a 79 anni, per scontare una condanna a 15 mesi per essersi rifiutato di rispondere alle commissioni di inchiesta sulle accuse di corruzione che lo hanno visto protagonista.
Zuma è stato il fulcro di un ramificato sistema di potere che per anni ha depredato le casse della Nazione Arcobaleno. Cyril Ramaphosa, l’ex delfino di Mandela diventato miliardario e infine presidente, sta cercando timidamente di fare pulizia ai piani alti dell’Anc, il partito che guida il Paese sin dalle prime elezioni libere del 1994. L’arresto di JZ è la scintilla dei disordini che spazzano in queste ore la più strutturata economia del continente, un Paese di grandi disuguaglianze dove la disoccupazione staziona al 32,6% (quasi al 50% tra i giovani) e ampie zone non hanno più acqua né elettricità.
La miscela di malcontento e rabbia ha colto di sorpresa l’ex sindacalista Ramaphosa. Molti lo accusano di aver messo in campo solo 2.500 soldati per fermare le violenze cominciate domenica, a fronte dei 70 mila impiegati l’anno scorso per far rispettare il lockdown in piena pandemia. Altri, come il partito populista di opposizione Economic Freedom Party, lo criticano per aver usato la repressione al posto di misure concrete contro la povertà dilagante.
Il Sudafrica è sull’onda di una crisi cresciuta nel tempo, in cui vari attori cercano di avvantaggiarsi a discapito dell’esitante Ramaphosa. Il presidente ha parlato in diretta tv, lunedì sera, chiedendo la fine di «inaccettabili violenze». Che ieri non si sono placate. Ambulanze attaccate nel KwaZulu-Natal, dove una banca del sangue è stata distrutta nei saccheggi. Il ministro della Difesa ieri sera escludeva la proclamazione dello stato di emergenza, mentre quello della Polizia mette in guardia sulla possibilità che il cibo venga a mancare nelle aree degli scontri più gravi.
Una faccia nascosta della crisi è la lotta all’interno dell’African National Congress, il partito che fu di Mandela. Il simbolo della corruzione, Jacob Zuma, è in galera, ma l’ala del partito che ha mangiato alla sua greppia non è sconfitto e ha tutto l’interesse ad alimentare il caos.
JZ rimane sotto processo per un caso che risale agli anni Novanta: mazzette per una commessa di armi francesi da 5 miliardi. Pochi giorni fa l’Alta Corte del Paese ha confermato la sospensione dagli incarichi del numero due dell’Anc, Ace Magashule, il primo rivale di Ramaphosa, accusato di corruzione per mazzette ricevute durante l’era Zuma dal 2014 al 2016. Un altro beneficiario, se non un regista, delle violenze di questi giorni.