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 2021  luglio 14 Mercoledì calendario

Intervista a Leonardo Spinazzola


Il ragazzo con le stampelle è felice su una gamba sola. «Ma adesso è come avere un paio d’ali». Leonardo Spinazzola ancora non si rende conto, «serviranno mesi, e forse nemmeno», perché la gioia non è come il dolore che si abbatte e colpisce tutto insieme, no, la gioia non è un tendine che si spezza ma una storia che comincia: «E sapeste quanto è bello sapere di avere trasportato con noi l’Italia intera».
Leonardo, ma cosa avete combinato?
«Vi abbiamo preso per mano e portato con noi. Abbiamo davvero unito un po’ l’Italia. Pazzesco ma anche normale: io lo sapevo che saremmo arrivati in fondo, per questo ho pianto dopo l’infortunio. Non era dolore ma rabbia».
Ci racconti quell’istante.
«Sento un colpo forte al tallone, con la coda dell’occhio cerco il belga che mi ha colpito ma non vedo nessuno, dietro di me quell’avversario non c’è. Arriva Cristante, crollo a terra e capisco. “Perché adesso, perché a me?”. Questo ho pensato. E poi ho pianto per quello che stavo perdendo».
L’ha perso, alla fine?
«Sì e no. Quando il presidente della Repubblica ha chiesto “dov’è il ragazzo con le stampelle?” ho capito su quale incredibile giostra emotiva ero salito, mi sa che non scendo più».
Dicono che la rottura del tendine d’Achille sia come una lama che recide tutto.
«Nel mio caso no. Dolore vero, solo la notte dopo l’operazione in Finlandia, per il resto tristezza ma non male. Il crociato è molto, molto peggio».
Enrico Toti forse, fortunatissimo mica tanto, questo Spinazzola.
«Il crociato ti ferma la vita, il tendine devi solo aspettare che si calcifichi, è come uno strappo. Poi ci lavori sopra, non è un problema meccanico ma di fibre. Tra una settimana tolgo i punti e comincio con un obiettivo al giorno, e se tra 6 mesi non riprendo a giocare vado in campo per forza, da solo, e voglio vedere chi mi acchiappa».
Torniamo a quelle lacrime.
«Erano la ferita di chi si sentiva invincibile e lo era. Perché noi tutti sapevamo che in finale si arrivava.
Vincere, poi, è un altro conto e dipende da molte cose, ma questa specie di invincibilità era presente, reale. Eppure siamo anche una banda di cazzeggiatori».
Visti da fuori, e un po’ anche da dentro, sembra che ridere sia la cosa che vi piace di più.
«Sapete chi siamo, noi azzurri? Una classe delle medie in gita. Facciamo scherzi scemi, ci prendiamo in giro, ci diamo le botte e mai un battibecco vero in 45 giorni. La Nazionale è la prova di quello che può combinare un gruppo di persone solari, di amici veri che chiedono solo di divertirsi e volersi bene».
Cosa le ha detto Mancini il giorno della sua partenza?
«Mi ha ha sussurrato all’orecchio “complimenti Spina, sei stato tra i migliori e noi ti aspettiamo”. E io gli ho risposto: “Tranquillo, mister, tanto ci vediamo l’11 luglio”».
E così è stato.
«Mi sono fatto trovare sull’aereo.
Quando i ragazzi sono saliti a Firenze, ecco lì Leonardo. E non li ho mollati più».
Ci racconti le ore della vigilia.
«Mai visto una squadra più tranquilla. Il sabato sera abbiamo cenato al centro sportivo del Tottenham, poi siamo usciti in una specie di giardinetto, ci siamo distesi sulle sdraio e abbiamo cominciato a raccontarci cose. Il più forte di tutti è Sirigu che si è messo a dirci di mondiali ed europei, lui è un burlone vero, alle 6 di mattina noi si torna in albergo e lui si mette a ballare, taglia le maglie con le forbici, scrive i bigliettini per motivarci. Mitico».
Lei è stato il primo a prendere la medaglia.
«Giorgio, il nostro capitano, mi ha detto: “Vai tu, te lo meriti”. E io sono scattato come un pazzo ma avevo paura di cadere, pensate che figura avrei fatto, peggio di Fantozzi. Poi è stato meraviglioso. Mi hanno caricato sulle spalle in tanti, Jorginho, De Rossi, Toloi, ma io sono pesante, mica facile».
Ci dica di Mancini.
«Impagabile nel tenere sempre il tono giusto, quando parla e quando sta zitto. La tranquillità del gruppo dipende da lui e dal suo staff, Daniele, Faustino, Attilio, Lele, Luca, tutti ex giocatori che non hanno smesso di esserlo nel loro cuore, e da compagni di squadra si comportano. Compagni e compagnoni».
E poi c’è Vialli.
«Lui è l’anima saggia. Se vuoi il consiglio giusto, devi rivolgerti sempre a Luca. Un uomo grandissimo».
Non male nemmeno il vostro capitano.
«All’inizio ha preso da parte i più giovani e ha detto: “Il primo grande torneo pesa, gli altri invece ve li godrete”. E Giorgio si è goduto tutto.
Io l’ho osservato bene, ogni piccolo gesto dimostrava quanto fosse felice. Per lui sono state sette amichevoli anzi sei, combattute però come un drago. La dedica a Davide Astori ci ha fatto piangere».
Leonardo, lei è arrivato al successo non tanto presto. Perché?
«Non ero ancora maturo, e ho faticato parecchio a trovare il ruolo giusto in campo. A Empoli con Sarri ho cominciato da esterno d’attacco, però non si vinceva e lui cambiò modulo, così non c’era più spazio per me. Andai via, volevo giocare.
Ma neanche a Lanciano trovavo posto. A Siena mi dicevano “aspetta, porta pazienza e il tuo momento verrà”: giocai molto bene da gennaio a giugno, poi passai all’Atalanta dove Colantuono mi mise fuori dopo poche partite. Niente. Andai via anche da lì».
Scusi, ma Spinazzola dov’era?
«Dov’è adesso, solo che non era ancora il momento. Mica facile, tutti hanno fretta. Finisce che gioco poco anche a Vicenza, in B, sceso di categoria, e finalmente a Perugia con Bisoli comincio a fare il terzino sinistro. Ma servivano Gasperini e l’Atalanta per aprirmi la mente: ecco, lì giocavo già come all’Europeo, però si notava meno».
Come ha fatto a tirar fuori Spinazzola da Spinazzola?
«Con infinita pazienza. Anche la Juve e la Roma sono servite tanto, naturalmente».
Eppure questo è un tempo da tutto e subito. Se non sei subito un genio, sembri un cretino.
«Guardi, io dico che nel calcio è bene pensarla così. Nella Primavera della Juve ci mettevano in testa che bisogna solo vincere: è la mentalità giusta. Tanto ci pensa il tempo a farti capire che tutto e subito non esiste, a parte per pochi eletti tipo Gigio Donnarumma che secondo me era già Donnarumma a cinque anni, beato lui».
Non crede sia stato un bene giocare l’Europeo un anno dopo?
«Certamente, anche se eravamo già molto bravi nel 2020. Ma questi mesi tremendi ci hanno fatto crescere, ci hanno permesso di diventare adulti, anche se rimaniamo quindicenni in gita scolastica».
Senza le compagne da sbaciucchiare, però, ma su un pullman scoperto.
«Quel giro per Roma mi ha distrutto fisicamente, perché sono rimasto per due ore sulla gamba sana. Ogni tanto mi mettevo seduto, ma insomma era un bel problema, per fortuna sono stato bravo e non sono caduto, non ho fatto brutte figure».