La Stampa, 14 luglio 2021
Intervista a Ursula von der Leyen
Stretta tra le pressioni opposte di industria e ambientalisti, frenata dalle resistenze di alcuni governi, Ursula von der Leyen rilancia il dossier del Green Deal, rimasto in secondo piano durante l’emergenza sanitaria. «Voglio dimostrare che è possibile decarbonizzare, preservando il pianeta e al tempo stesso il benessere. Metterò tutto il mio peso e le mie forze affinché ciò accada».
Il maxi-piano che sarà svelato oggi dalla Commissione – battezzato «FitFor55» – è storico perché indica gli strumenti con i quali saranno raggiunti gli obiettivi fissati dalla legge sul Clima: azzerare le emissioni di CO2 nette entro il 2050 e ridurle del 55% entro il 2030. Cioè tra meno di nove anni. Per arrivarci, von der Leyen ha deciso di intervenire su diversi fronti, come spiega in questa intervista.
Il pacchetto sarà composto da 12 proposte legislative. Le principali: l’Ue includerà il settore del trasporto su gomma e quello del riscaldamento degli edifici nel sistema Ets per lo scambio di quote di emissioni secondo il principio «chi più inquina, più paga», imporrà dazi sull’import di prodotti realizzati in Paesi con standard ambientali più bassi, e fisserà una data definitiva entro la quale le auto con motori diesel o benzina non potranno più essere immesse sul mercato. Idealmente il 2035, anche se alcuni governi premono per consentire qualche anno di vita in più almeno ai veicoli ibridi.
Le trattative sono proseguite fino alla tarda serata di ieri e per definire gli ultimi dettagli probabilmente servirà un’altra mattinata di negoziati, prima della presentazione ufficiale all’ora di pranzo. La rivoluzione verde avrà certamente un prezzo da pagare: per evitare che ricada sulle spalle delle famiglie a basso reddito, la Commissione ha deciso di istituire un Fondo sociale per il clima, che sarà finanziato con i proventi del nuovo Ets. «L’Europa sta facendo da apripista – dice von der Leyen, ricordando i 500 miliardi messi sul piatto dal bilancio Ue e dal Next Generation Eu –. Incoraggiamo gli altri Paesi a fare lo stesso».
Secondo l’industria europea le vostre richieste sono troppo esigenti, mentre per gli ambientalisti si tratta di misure insufficienti: chi ha ragione?
«L’economia dei combustibili fossili ha raggiunto i suoi limiti. Gli europei vogliono una vita più sana, posti di lavoro e una crescita che non danneggi la nostra natura. Quindi il principio alla base del Green Deal europeo è di sviluppare una nuova strategia di crescita che si muova verso un’economia decarbonizzata. Abbiamo già dimostrato di poter separare le emissioni dalla crescita economica: dal 1990 abbiamo ridotto le emissioni del 25% mentre l’economia è cresciuta di oltre il 60%. Ho parlato con l’industria e con le Ong e sono convinta che saremo in grado di fare questo salto in avanti, attraverso l’innovazione e gli investimenti».
Oltre all’industria, anche il settore del trasporto stradale e quello del riscaldamento degli edifici dovranno pagare per le loro emissioni di CO2, ma questo comporterà un aumento dei prezzi per i cittadini: non vi spaventano le possibili ripercussioni sociali?
«Uno dei nostri principi guida è che la transizione verso un’economia decarbonizzata debba essere equa e giusta. I trasporti e l’energia devono essere accessibili a tutti. Ma il settore del trasporto stradale è stato l’unico in cui le emissioni sono aumentate negli ultimi anni. Dobbiamo invertire questa tendenza e uno strumento che si è dimostrato efficace è il sistema di scambio di quote di emissione (Ets): chi emette CO2 deve pagare. Questo incentiverà l’innovazione per lo sviluppo di nuove tecnologie e prodotti puliti. Oggi utilizziamo l’Ets con grande successo per l’industria e la produzione di energia, ma ora costruiremo un secondo sistema di scambio di quote di emissioni per il trasporto su strada e il riscaldamento. Sarà accompagnato da un Fondo sociale per il clima. In questo modo assicuriamo che le famiglie a basso reddito ricevano un sostegno per la mobilità e il riscaldamento».
Molti Stati membri dell’Ue sono molto critici nei confronti del nuovo Ets: non teme uno stop?
«Tutti abbiamo accettato la legge sul clima che sancisce l’obiettivo del 55% nel 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. Ora il Green Deal europeo è un obbligo legale, non solo un’aspirazione politica. E dobbiamo raggiungere questi obiettivi perché altrimenti saremo travolti dal pesante impatto negativo del riscaldamento globale. Se non stabiliamo un nuovo Ets, dovremo raggiungere gli stessi obiettivi in un altro modo. E questo comporterebbe più norme, più standard, più target e più tasse. Sono profondamente convinta che sia meglio utilizzare uno strumento basato sul mercato come l’Ets, perché questo darà spazio alla creatività, all’imprenditorialità, alla forza innovativa delle nostre imprese e della nostra industria».
Quanti soldi ci saranno nel Fondo sociale per il clima e quando inizierà a funzionare?
«La transizione deve essere giusta. Già oggi almeno 30 milioni di persone nell’Ue soffrono di povertà energetica. Per questo vogliamo prima costruire il Fondo sociale per il clima, nei prossimi anni. E solo quando sarà in vigore avvieremo il nuovo sistema di scambio di quote di emissioni. Non dimentichiamo che in ogni transizione in cui abbiamo avuto successo, abbiamo sempre combinato misure di mercato con il giusto equilibrio sociale. Questa è la nostra economia sociale di mercato e i suoi principi ci guidano anche nella lotta ai cambiamenti climatici».
Da dove arriveranno i soldi per il Fondo?
«Lo prefinanzieremo con il bilancio dell’Ue. Successivamente i ricavi proverranno dall’Ets e saranno ridistribuiti tra gli Stati membri per assicurare che ci sia equità tra di loro e che ci sia equità all’interno delle loro società».
Alcuni Stati, però, temono proteste sulla scia dei gilet gialli francesi.
«Se non fermiamo il riscaldamento globale, saranno i più poveri ad essere maggiormente colpiti. Se invece avremo successo in questa battaglia, allora staremo tutti meglio. Più investiamo nell’innovazione, per esempio nelle auto più pulite, e più quei prodotti costeranno meno. Per le auto elettriche, per esempio, la domanda sta aumentando. Dobbiamo assicurare che il peso della transizione ricada su chi ha redditi più alti, mentre chi ha redditi bassi deve ricevere un adeguato compenso».
Nelle ultime settimane molte case automobilistiche hanno annunciato i rispettivi obiettivi per lo stop alla produzione di auto inquinanti: perché è importante imporlo per legge?
«I produttori stanno già dando risposte impressionanti e questa è una mossa nella giusta direzione. Ma se non fissiamo una data entro la quale azzerare la produzione di auto a emissioni, non potremo raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Sta all’industria scegliere quale tipo di tecnologia utilizzare per raggiungere questo obiettivo, l’Europa fornisce la stabilità e la prevedibilità necessarie per fare gli investimenti».
Molte persone, però, non possono permettersi auto elettriche. E uno studio recente afferma che il 70% delle stazioni di ricarica si trova nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania, nel resto del Continente non si vedono.
«Per questo sono necessari investimenti sostanziosi per allestire colonnine di ricarica e rifornimento, pubbliche e private. Il Next Generation Eu aiuterà in questo senso. Lungo le strade principali vogliamo avere punti di ricarica ogni 60 chilometri».
Nella vostra proposta il nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera si applicherà ad alcuni settori specifici come l’acciaio, il cemento o i concimi: come funzionerà?
«La lotta ai cambiamenti climatici è uno sforzo globale. Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 non solo in Europa, ma ovunque. Quindi il carbonio deve avere un prezzo ovunque. La nostra industria investirà molto nella decarbonizzazione e penso che non sia giusto che chi esporta da Paesi terzi vanifichi questi sforzi vendendo nel nostro mercato prodotti più economici, ma realizzati producendo più emissioni. Ecco perché vogliamo che queste aziende paghino un prezzo. Ciò permetterà alle nostre aziende che cercano di modernizzare e decarbonizzare le proprie attività di competere ad armi pari».
Paesi come l’India e gli Stati Uniti hanno già criticato questa misura perché la considerano protezionistica. E se scattassero ritorsioni?
«Faremo in modo che il meccanismo sia compatibile con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ma c’è un’altra componente che è importante: a nostro avviso, il meccanismo è un invito ai Paesi terzi a stabilire un prezzo per il carbonio».
Quando sarà operativo il meccanismo? E dove finiranno i ricavi?
«Ci saranno tre anni di preparazione e poi un’introduzione graduale. Le entrate andranno nel nostro bilancio e in un Fondo per l’innovazione che servirà ad accelerare la transizione verde».
Il tempo a disposizione, però, non è molto perché il 2030 è vicino: siete sicuri di farcela?
«Gli europei hanno già fatto la loro scelta, si stanno muovendo. Vogliono lasciare alla prossima generazione un pianeta sano e non un pesante debito fatto di carbonio. Sono fiduciosa. —