Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2021
Petrolio, sull’Italia una stangata da 5 miliardi
Chi deve fare rifornimento se n’è accorto non solamente dai titoli dei quotidiani economici ma anche con l’esperienza diretta: i costi dell’energia stanno rincarando. Gli aumenti scattati il 1° luglio per le bollette di luce e gas si sono accompagnati con quelli di benzina e gasolio. E purtroppo la crescita delle fonti rinnovabili di energia è assai più lenta del passo garibaldino della domanda internazionale, e quindi dei prezzi. La bolletta petrolifera degli italiani quest’anno costerà 5 miliardi di euro in più. Se noi italiani soffriamo (ieri hanno protestato le più autorevoli associazioni dei consumatori) il Fisco esulta perché incassa a piene mani le accise che con la crisi sanitaria stavano languendo.
Numeri a confronto
Ecco alcune delle cifre presentate ieri dal presidente Claudio Spinaci all’assemblea dell’Unem, l’unione delle energie per la mobilità che raccoglie le compagnie di raffinazione e distribuzione di prodotti petroliferi e altri carburanti (anche a zero fossili, come l’alcol, e a zero carbonio, come l’idrogeno). La crescita della fattura petrolifera è formata da 3,7 dovuti all’aumento del costo del greggio importato e 1,2 alla crescita dei consumi. Ricupera il gettito fiscale delle accise, che nel 2021 dovrebbe tornare sopra i 23 miliardi di euro, cioè 2,6 miliardi di euro in più.
Gli italiani pagano un sovrapprezzo di 7-10 centesimi al litro rispetto agli europei, una penalizzazione contro i fossili creata solamente dal Fisco perché tolto il disincentivo i carburanti italiani costano fra i 3 e i 3,5 centesimi meno della media europea. «Un segnale che deve far riflettere», dice Spinaci.
E sono in fortissima difficoltà le undici raffinerie italiane, perché il petrolio che comprano rincara con il turbo mentre i contrabbandieri di carburanti di bassa qualità e di alto inquinamento azzoppano il mercato a valle della distribuzione.
Il mondo fossile
Ecco lo scenario delineato dall’Unem. Nel 2021 la domanda totale di energia a livello globale dovrebbe crescere del 4,6%, scollinando la perdita epidemica del 4% nel 2020. Circa il 70% di questa crescita si avrà nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo.
La domanda di petrolio, nonostante un ricupero del 6,2%, nel 2021 sarà ancora inferiore del 3% rispetto al 2019 ma presto si supererà il consumo di 100 milioni di barili al giorno (104 milioni nel 2026). Il metano, +3,2%, è corre soprattutto in Asia, Vicino Oriente e Russia. La Cina aumenta a tutta manetta l’uso del carbone e nel 2021 nel mondo se ne brucerà il 4,5% in più, vicino al primato del 2014.
Chi vince e chi perde
Per fortuna non smettono di rafforzarsi le fonti rinnovabili, le uniche che l’anno passato hanno mostrato nel mondo un segno positivo di crescita e che chiuderanno quest’anno con un’altra crescita del 3,9%.
Vincono anche le compagnie petrolifere e gasiere nazionali dei Paesi con i giacimenti, in genere controllate dallo Stato e dai suoi interessi, quelle che investono per estrarre di più.
Perdono invece le multinazionali dell’energia, i colossi che diversificano e che investono in ambiente. Nel 2020 le multinazionali (definite international oil company) hanno tagliato del 30% (105 miliardi di dollari in meno) gli investimenti per cercare giacimenti ed estrarne le risorse. In tutto, la spesa mondiale in esplorazione e produzione è scesa sotto i 370 miliardi di euro rispetto al picco di oltre 750 del 2014. Alle multinazionali conviene spostare gli investimenti in settori più interessanti per il futuro e redditizi: quelli dell’ecologia.
I desiderata dei petrolieri
Durante l’assemblea dell’Unem il presidente Spinaci ha ricordato i contenuti che stanno a cuore alle compagnie. «La mobilità sostenibile è “missione” complessa che ha molte implicazioni, sociali, economiche e geopolitiche, che richiede perciò una riflessione seria, basata su elementi scientifici, mentre oggi scontiamo un dibattito per slogan, troppo superficiale rispetto alla posta in gioco», afferma. Gli idrocarburi non sono superati e le politiche ambientali devono considerare «il rischio che ciò deflagri in una pesante crisi energetica».