Avvenire, 14 luglio 2021
Tim Marshall: «Il futuro è scritto nelle mappe»
Il Mediterraneo orientale, dove due nemici storici come Grecia e Turchia sono tornati in rotta di collisione, il Sahel ostaggio del jihadismo e dei cambiamenti climatici e perfino lo spazio, nuova frontiera della competizione geopolitica: il futuro prossimo del nostro Pianeta si gioca in alcune, precise, aree del globo. Un aiuto a orientarci ci viene proprio dalla geografia, visto che «i progressi della tecnologia non hanno cancellato l’importanza di dove viviamo fisicamente ». È la tesi del britannico Tim Marshall, inviato di guerra nelle zone più calde del mondo, che in Il potere delle mappe (Garzanti, pagine 414, euro 20,00), due anni dopo il bestseller Le 10 mappe che spiegano il mondo mette a fuoco – recita il sottotitolo – “le dieci aree cruciali per il futuro del nostro Pianeta”.
Tra queste ha inserito uno Stato-continente di solito percepito come periferico: l’Australia. Perché?
«Oggi le priorità geopolitiche degli Stati Uniti si stanno spostando nella regione dell’Indo-Pacifico, dove è già in atto lo scontro con il gigante cinese. E proprio in mezzo si trova l’Australia. Pechino è il principale partner commerciale di Canberra, che tuttavia deve mantenere una vigilanza costante sulle attività della Cina nella regione e un occhio attento all’impegno degli Usa per la sicurezza comune. Nella prospettiva di una nuova Guerra Fredda, l’Australia si posizionerà con Washington, ma si tratta di un equilibrio delicato».
Ci riguarda già da vicino ciò che accade in Africa, a partire dal Sahel...
«Questo è uno dei luoghi del Pianeta più agitati, poveri e danneggiati dal punto di vista ambientale, dove circa 3,8 milioni di persone sono rimaste sfollate negli ultimi anni. Con l’aumento della violenza anche jihadista e degli effetti del cambiamento climatico, la situazione non farà che peggiorare e la mappa ci dice che, oltre il Sahara e il Mediterraneo, c’è il miraggio dell’Europa dove masse di disperati si dirigeranno. Costruire muri non è la soluzione: se non affronteremo le cause strutturali delle migrazioni – guerre, povertà, siccità – i muri non saranno mai alti abbastanza».
Poco più a sud, l’Etiopia rappresenta il caso emblematico del rischio di conflitti per l’oro blu.
«Fino a oggi le acque del Nilo Azzurro, in Etiopia, erano state utilizzate per l’approvvigionamento idrico e per la pesca. Ora la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam promette una rivoluzione, con la prospettiva di fornire elettricità gratis a tutti i cittadini e trasformare l’economia del Paese. Il problema è che l’Egitto teme conseguenze gravi per la sua agricoltura: le voci di un conflitto imminente legato alla suddivisione delle acque sono ricorrenti. E scontri simili si delineano tra India e Pakistan, così come tra Turchia e Siria».
Un’altra area instabile è il Mediterraneo Orientale, con il protagonismo della Turchia. È preoccupato?
«Il neo-ottomanesimo del presidente Erdogan non sta solo minando la laicità sancita con l’istituzione della Repubblica ma sta riproponendo un modello di influenza che si spinge dall’Iraq alla Siria fino appunto al Mediterraneo e alla Libia. Non credo che Erdogan vorrà arrivare allo scontro diretto con gli alleati della Nato, ma certo resta un fattore di instabilità alle porte dell’Europa».
Intanto, nel cuore del Vecchio continente abbiamo a che fare con forme diverse di nazionalismi e separatismi: quanto sono destinate a pesare le identità locali?
«Nell’incertezza del presente i cittadini tendono a ritirarsi in quella che percepiscono come la propria specificità: capita a livello degli Stati ma anche a quello regionale, come vediamo in Scozia e in Spagna. Qui, complice ancora una volta la geografia, la Catalogna e i Paesi Baschi hanno sviluppato una lingua e una cultura proprie, e con queste differenze sarà necessario fare i conti. E il Regno Unito cerca un ruolo dopo la Brexit».
Dagli oceani al cielo: perché sostiene che il futuro delle relazioni geopolitiche globali sarà lo spazio?
«Lo spazio è diventato un campo di competizione e la corsa sta accelerando. In gioco non saranno più solo i territori che i Paesi potrebbero tentare di rivendicare, sulla Luna o su Marte, e il loro sfruttamento economico, ma anche il controllo dei satelliti nell’orbita geostazionaria e dei colli di bottiglia strategici, come lo sono sulla Terra il canale di Suez o lo stretto di Malacca. La speranza è che saremo in grado di sviluppare forme di cooperazione per andare, insieme, sempre più in alto».