la Repubblica, 13 luglio 2021
Intervista a Marco Tronchetti Provera
Dalla vittoria degli europei arriverà una spinta importante a tutta l’economia nazionale, dice Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato e vicepresidente esecutivo di Pirelli, appassionato di vela e tifosissimo dell’Inter. La «vera leva» – spiega in questa intervista – è rappresentata dai fondi europei: «Per l’Italia un’occasione storica che non può fallire, altrimenti fallisce il piano europeo». Severo il giudizio sui recenti licenziamenti in blocco via e-mail e whatsapp: «Anche i fondi di investimento devono rispettare le regole della responsabilità sociale di impresa».
Lei pensa che dal successo della nazionale di calcio arriverà un effetto positivo sull’economia italiana?
«Sì, ci sarà. C’è stato in passato e, ricordo, non c’è stato solo per noi. La Francia quando vinse il Campionato del mondo era un Paese sotto diversi profili depresso, e, dal punto di vista calcistico, non aveva affatto la squadra favorita. L’entusiasmo con cui ripartì dopo il Campionato del mondo è, appunto, un esempio del valore e della forza anche dello sport. Nel caso italiano la vittoria si innesta su un processo di recupero di fiducia in atto sia a livello europeo sia a livello nazionale. Al successo del calcio va aggiunta la credibilità internazionale che il nostro governo dimostra di avere, e, sempre nello sport, il traguardo raggiunto a Wimbledon da Matteo Berrettini mostra di nuovo una bella Italia. Ci stiamo presentando al mondo con le nostre qualità, mentre siamo sempre pronti ad esaltare i nostri limiti. E farlo anche in terra di Albione, che da sempre guarda ai nostri difetti con un occhio particolarmente severo, dà ancora più soddisfazione».
Secondo lei quali saranno i settori economici più favoriti?
«Guardi, noi abbiamo delle filiere di tecnologia in tanti settori, dalla farmaceutica all’alimentare, dal tessile alla moda fino all’automotive che si stanno già muovendo in modo costruttivo. Grazie alle risorse del Recovery Fund possiamo recuperare il gap di produttività che abbiamo accumulato in questi ultimi due decenni. Spinti anche dalla vittoria nel calcio, ritengo che potranno agganciarsi alla ripresa settori come il turismo, l’arte, la cultura che hanno sofferto più di tutti. Dobbiamo abbandonare le tendenze distruttive, gli scontri interni. Questa volta l’imperativo è far prevalere le nostre qualità, come è avvenuto a Londra. Penso che tutta l’economia possa trarne vantaggio, augurandoci che la pandemia rimanga sotto controllo».
In molti pensano che l’Italia sia alla vigilia di un nuovo boom economico. Condivide questa previsione? Vede somiglianze con l’Italia del Dopoguerra?
«Diciamo che sono periodi storici diversi, con alle spalle esperienze diverse. Gli elementi comuni, seppur con le dovute differenze, sono la sofferenza e la compressione della libertà personale. I segni di ripresa di oggi possono rappresentare le basi di una crescita solida, tanto più con un governo che ha un progetto molto chiaro e le qualità per portarlo avanti. È un cambiamento importante, che non va sottovalutato, nonostante le resistenze che inevitabilmente ci saranno. Una svolta che tocca interessi di breve che si devono trasformare in una visione di lungo periodo. Questo è un passaggio che l’Italia non è mai riuscita a fare in modo consistente dal Dopoguerra in poi. Questa è l’occasione perché si guardi ad un orizzonte più lontano e più largo».
Tutto questo, tuttavia, non sarebbe possibile senza le risorse europee.
«Certo, la leva vera è quella. Se questa volta possiamo guardare con fiducia al futuro è grazie ai fondi europei.
L’Italia, come maggiore beneficiario di quelle risorse, sarà alla fine la cartina al tornasole del successo o dell’insuccesso dell’Europa.
Dovremo usare bene tutti quei soldi e fare le riforme. Se non ci saranno le riforme non ci saranno i fondi. E se non ci saranno i fondi fallirà l’Italia perché si troverà ad avere un debito non sostenibile, trascinando verso il fallimento anche l’Europa. Quindi noi abbiamo la responsabilità di farcela per costruire un Paese che dia opportunità alle giovani generazioni.
Questa è una pagina di storia, non un passaggio come tanti altri».
Il calcio, e lo sport in genere, aiuta a ricostruire uno spirito nazionale?
«Aiuta perché i Campionati del mondo, come quelli europei, non sono la singola vittoria di un campionato o di una coppa. Sono la vittoria di una nazione che compete con le altre. E ogni vittoria a questo livello è un passaggio che entra nella storia dello sport. Dunque c’è una convergenza di responsabilità, di emozioni, di opportunità e di rischi».
In questo contesto, comunque, nei giorni scorsi due aziende hanno licenziato in tronco i propri dipendenti inviando in un caso una e-mail e nell’altro un messaggio via whatsapp. Lei cosa ne pensa?
«La responsabilità dell’impresa, dell’imprenditore, è quella di fare le scelte meno dannose per chi lavora all’interno delle aziende. Ci sono gli ammortizzatori sociali, ci sono gli strumenti per poter passare un periodo di crisi dando alle persone, alle famiglie, una prospettiva per il loro futuro, dove il dialogo resta comunque imprescindibile anche quando licenziare diventa l’unica strada percorribile. Quindi il percorso esiste, è un percorso sempre più faticoso ovviamente, ma è l’unico che si può seguire».
Pesa la proprietà delle due aziende? La Gkn e la Giannetti sono controllate entrambe da fondi di investimento stranieri. Si riduce in questi casi l’idea della responsabilità sociale dell’impresa?
«È ovvio che c’è una distanza. Però io credo che la cultura della responsabilità debba far parte anche delle scelte dei fondi, perché anche nel loro caso a prendere le decisioni sono le persone. Dovrebbe sempre esserci questo senso di responsabilità che non vuol dire non fare gli interessi dei propri investitori, vuol dire l’opposto.
Insomma ritengo che anche chi non è direttamente coinvolto nel Paese debba comunque rispettarne la struttura sociale».