La Stampa, 13 luglio 2021
Una repubblica fondata sulla mamma
Chi ha bisogno della monarchia quando si ha una repubblica fondata sulle mamme? La mamma di Alessandro Bastoni mesi fa ci aveva indicato la via e non lo sapevamo, che anime ingenue. Poi è arrivata la mamma di Berrettini con le sue goccine a imboccare i presenti sugli spalti di Wimbledon, zitti e buoni prendete tutti le gocce che non siamo al circolino di quartiere. Nell’immediato mi sono completamente immedesimata, già mi vedevo dire a mio figlio «Sei in punizione, stasera a letto senza gocce». In nottata è arrivata la mamma di Federico Chiesa, con lui che in mezzo al campo dice a Siri «Chiama mamma», con le lacrime, i coriandoli, l’epica, noi tutte a piangere, noi tutte a dire come vorrei essere la sua mamma (qui inseriamo il – perlomeno mio – tragico trapasso da donna a mamma). Che Chiesa abbia chiamato la mamma invece del papà – che quantomeno gli avrà passato la genetica del campione – è piuttosto confortante. È stato il meritato cono di luce sulle madri di figli maschi che per anni hanno assistito alla narrazione delle madri di bambine ribelli, e finalmente un angolino di gloria; non vogliatemene, la mia è tutta invidia, lo dico in quanto mamma di unico figlio maschio. C’è tutto lo stereotipo italiano dietro i figli che vincono e chiamano la mamma, che salutano la mamma in diretta nazionale, che ringraziano la mamma. È però questo un cliché che non uccide nessuno. Non capisco mai le battaglie contro verità innocue, non siamo noi a stirare ai loro figli le tute da allenamento, non rubano qualcosa a noi, mi piace pensare alle famiglie che aiutano i figli a trovare una strada, a volte con sacrificio, a volte no. Figli mammoni, dicono, ma non facciamone un dramma, perché un dramma non è. La mamma di Mancini, la signora Marianna, ha rilasciato un’intervista in cui dice che Roberto se lo sentiva che avrebbe vinto, e pure lei, perché le mamme le cose le sentono, le sanno, e prima o poi tutte, anche le più magnifiche e progressiste, dicono le paroline magiche: «una mamma lo sa». Non è vero che le mamme lo sanno, ma è importante che i figli ci credano, se no come pensiamo ci diano ascolto. È un incantesimo, un trucco, un effetto placebo. La signora Marianna dice anche un’altra cosa importante, che non avevo finora calcolato, è cioè che agli esordi della carriera di Roberto era un po’ titubante perché aveva paura a mandarlo fuori di casa, era arrabbiata perché non voleva che andasse a vivere altrove. «Però alla fine avevano ragione loro» (marito e figlio). Le madri lo sanno, ma i padri spesso hanno ragione. Con tutto questo entusiasmo mi sono messa pure io a fantasticare sogni di gloria, mi vedo già a Wimbledon o alla finale di Coppa del Mondo, con mio figlio che segna l’ultimo rigore o il punto decisivo e urla: «Mamma questo è per te», sento già l’inno che parte, poi di colpo mi ritrovo a non vergognarmi del fatto che in realtà vorrei che mio figlio non se ne andasse mai di casa, e penso alla signora Mancini che forse voleva vivere una vita ordinaria con un figlio straordinario. Mario Draghi ieri ha ringraziato le mogli e le famiglie dei calciatori azzurri, perché sì, va bene il talento, ma se non hai nessuno che ti dice che ce la puoi fare non vai da nessuna parte. Una volta c’era Anna Magnani in “Bellissima”, adesso ci siamo noi che di base ci accontentiamo di figli che ci dedicano la medaglietta di partecipazione alla corsa campestre, e ci commuoviamo lo stesso. —