Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2021
Giustizia penale, mappa dei processi ad alto rischio
Sono quasi 190mila i procedimenti penali pendenti nei distretti di Corte d’appello che non rispettano i due anni di tempo che la riforma della giustizia penale assegna come limite tollerato per la definizione, pena l’improcedibilità. E pesano per quasi il 75% di tutte le pendenze. Si tratta di 10 distretti in tutto, anche se in realtà Firenze, Bari e Bologna, oltrepassano il limite di poco. In 19 distretti su 29 la durata è comunque inferiore ai 2 anni: a Milano, è inferiore ad un anno, 335 giorni la media dell’appello; Genova, 680 giorni; Palermo, 445; Perugia, 430; Potenza, 699; Salerno, 340; Torino, 545.
Di certo, a più elevati tempi di definzione corrisponde anche più forte arretrato, con forte pericolo di improcedibilità. Dove certo le ragioni della collocazione nella black list dei tempi di decisione possono essere le più varie, ma è evidente la necessità di un intervento.
Intervento che peraltro sarà agevolato proprio dalla significativa disponibilità di risorse del Pnrr. In primo luogo con la destinazione dei 16.500 addetti all’ufficio del processo che, si preannuncia al ministero della Giustizia, saranno destinati in via privilegiata proprio a quegli uffici con un carico di processi pendenti particolarmente elevato. Ma interventi di rafforzamento del personale, andando a coprire storici vuoti in organico, sono in corso di definizione anche sul versante dei cancellieri, in continuità con le precedenti amministrazioni Orlando-Bonafede. A Roma, per esempio, sono previsti 242 nuovi ingressi, nel civile e nel penale, a Napoli 308, tanto per fare riferimento ai due uffici che da soli mettono insieme oltre 100mila procedimenti arretrati.
Da poco più di un anno sono poi state formalizzate le nuove piante organiche dei tribunali con, per esempio, 50 magistrati in più a Roma e 31 a Napoli, una quota di questi da destinare in Corte d’appello.
Va poi tenuto conto che la nuova disciplina dell’improcedibilità si applicherà solo alle impugnazioni che hanno per oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020, data di entrata in vigore della riforma Bonafede della prescrizione.
Ma, per evitare che quella dell’improcedibilità possa diventare un’emergenza paragonabile a quella della prescrizione (gli ultimi dati vedono 113.524 prescrizioni nel 2019, di cui poco meno di 30mila in appello), determinante sarà anche l’effetto delle misure processuali che la ministra Marta Cartabia intende introdurre. Che hanno come dichiarato obiettivo quello di ridurre il perimetro dei procedimenti destinati ad approdare al dibattimento. Con una serie di interventi. A partire dalle nuove condizioni per il rinvio a giudizio, dove il pubblico ministero deve chiedere l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna. Disposizione che prende atto dei dati che testimoniano come a dibattimento circa la metà dei processi che si celebrano con il rito ordinario (50,5%) e oltre i due terzi dei giudizi di opposizione al decreto penale (69,7%) si concludono con una pronuncia di assoluzione.
Si propone di limitare il ricorso all’udienza preliminare, tenuto conto della scarsa capacità di filtro (10%) e dell’effetto di allungamento dei tempi dei giudizi (circa 400 giorni). Sarà così esteso il catalogo dei reati con citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, individuandoli tra quelli puniti con pena della reclusione non superiore nel massimo di sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, quando non presentano rilevanti difficoltà di accertamento. Si modifica inoltre la regola di giudizio prevedendo che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna.
Potenziati poi i riti alternativi, rendendo più appetibile il patteggiamento con la sua estensione alle pene accessorie e alla confisca facoltativa, quando la pena detentiva supera i due anni. Si estende ancora la querela a specifici reati contro la persona e contro il patrimonio con pena non superiore nel minimo a due anni e si allarga la causa di non punibilità per tenuità del fatto.