il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2021
I magistrati infuriati per la riforma Cartabia
Da Milano a Napoli, passando per Roma, la riforma della Giustizia targata Cartabia sta sollevando diverse critiche tra gli addetti ai lavori. Nelle chat e nelle mailing list, i magistrati di tutta Italia da giorni si scambiano pareri sul testo approvato in Consiglio dei ministri, sottolineando parecchi punti controversi. E se ne discute anche a livello di Anm, l’associazione nazionale dei magistrati, che sta lavorando a un parere articolato da far arrivare in via Arenula. Il Fatto ha raccolto le voci di chi ogni giorno è in aula a rappresentare l’accusa e conosce bene la macchina dei processi italiani. Ciò che viene fuori è un mix di critiche che attraversa mezza Italia. Certo, c’è anche chi dà un parere positivo, condividendo la linea di Armando Spataro, ex magistrato di Milano, secondo il quale la riforma riuscirebbe a trovare un “equilibrio tra rapidità dei processi e garanzie”. Per lo più però nelle chat tra toghe sono tante le critiche sollevate. Su diversi aspetti della riforma, a cominciare dall’improcedibilità dell’azione penale quando il processo d’appello non viene definito in due anni, oppure in un anno per quanto riguarda la Cassazione. Una linea che piace poco a chi conosce bene i tempi della giustizia.
Per dare qualche numero: secondo i dati del ministero della Giustizia del 2019, a Napoli i processi d’appello durano 1.495 giorni, a Roma 1.128, a Reggio Calabria 1.013. Più di 2 anni. “L’improcedibilità stabilita dalla riforma blocca il processo: che si chiami prescrizione o meno il risultato è lo stesso. – spiega Eugenio Albamonte, sostituto procuratore a Roma ed ex presidente dell’Anm –. Lo scorrere dei due anni inizierà nel momento in cui viene presentato l’atto di appello, che si depositata al giudice di primo grado. A Roma solo per far passare il fascicolo dal giudice alla corte d’Appello ci vuole un anno”. Anche a Milano è questo uno dei temi più dibattuti. L’improcedibilità, ricorda un sostituto del capoluogo lombardo, scatterebbe dopo due anni dalla presentazione dell’impugnazione d’appello: “Prima ancora che il fascicolo arrivi fisicamente presso la Corte d’appello e che sia fissata l’udienza. Inaccettabile, visto che almeno 10 Corti d’appello su 29 in Italia non sono in grado di rispettare questo termine: e non per pigrizia dei magistrati, ma per il carico di lavoro dei giudici, che la riforma non accenna minimamente a risolvere”. E proprio a Milano, i magistrati ricordano la lettera che l’Ocse mandò all’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, chiedendo che l’Italia risolvesse l’anomalia della prescrizione che azzera centinaia di processi. “Siamo tornati indietro nel tempo – dice uno dei procuratori aggiunti –. La riforma Cartabia resuscita la prescrizione, che era stata congelata dalla legge Bonafede”. Critiche arrivano anche da Napoli, dove la riforma Cartabia sta producendo un mix di “agitazione e rassegnazione”, come sostiene un pm della Dda molto attento al dibattito associativo e nelle chat interne c’è chi ipotizza una iniziativa per produrre un documento di critica.
Altro tema di discussione è quello della rinnovazione degli atti del giudizio, che si presenta quando un giudice deve lasciare, per i più disparati motivi, il processo. Spiega Albamonte: “La riforma prevede che qualora vi sia il mutamento di uno o più giudici, il processo possa proseguire con la rinnovazione del dibattimento quando vi sono testimonianze video-registrate. Finora le testimonianze sono solo registrate, manca la parte video, di cui in futuro i tribunali dovranno dotarsi. È facile immaginare quanto ciò possa essere complicato”. Perplessità condivisa anche da altri magistrati, molti dei quali puntano il dito su un aspetto molto più preoccupante: quello dei criteri di priorità dell’azione penale che saranno indicati con legge del Parlamento. Se ne sta parecchio discutendo in ambito associativo. “È in forte contraddizione sia rispetto al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, sia rispetto alla separazione dei poteri”, ha affermato Albamonte. E anche da Napoli la critica è la stessa: “C’è silenzio sul tema dell’atto di indirizzo del parlamento sulle priorità dell’azione giudiziaria – spiega un pm – Si va dritti verso la figura del pm non più autonomo e indipendente”.