il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2021
I contabili sconsigliano alle aziende i Bitcoin
I contabili si trovano di fronte a un bel dilemma con Bitcoin. Secondo quanto racconta Bloomberg, infatti, in queste settimane l’asset sta ricevendo dei colpi sotterranei che poco hanno a che fare con l’ideologia e molto con la burocrazia e l’applicazione pratiche delle regole di contabilità e di finanza.
In pratica, le società di contabilità starebbero sconsigliando alle loro aziende clienti di detenere criptovalute e asset simili a causa della loro eccessiva volatilità. In compenso, pare stiano esortando a investire su startup molto promettenti e unicorni. Secondo un sondaggio citato da Bloomberg solo il 5% dei dirigenti finanziari prevede di investire in Bitcoin quest’anno. Il motivo? L’eccessivo rischio nella svalutazione dell’asset e di fatto l’assenza di linee guida ufficiali ai sensi dei Principi contabili generalmente accettati (GAAP) su come le aziende dovrebbero contabilizzare le risorse digitali.
Se questo infatti da un lato genera una maggiore libertà nella gestione degli asset, dall’altro fa sì che prendano piede le pratiche maggiormente sponsorizzate o comunemente approvate. Così i contabili si starebbero adattando a ciò che i revisori dei conti ritengono più condivisibile, inserendo le criptovalute non tra la liquidità o gli strumenti finanziari, ma come “beni immateriali a vita indefinita” perché “privi di sostanza fisica”.
Il problema, spiegano gli esperti, è che di solito le risorse immateriali sono correlate alle attività e alle operazioni delle aziende, dal marketing alle espressioni artistiche. I contabili che cercano insomma di inserire le criptovalute in categorie esistenti, trovano nella “risorsa immateriale” l’unico sfogo. Così, però, il valore contabile dei Bitcoin detenuti può solo scendere.
“Se una società ha acquistato Bitcoin a 60.000 dollari e il trimestre fiscale si è concluso con la criptovaluta a 35.000 dollari- spiega Bloomberg – gli investimenti dell’azienda dovranno essere ridotti e svalutati a 35.000 dollari per moneta. Il contrario, invece, non è possibile. Un direttore finanziario non può registrare gli investimenti della sua azienda se il prezzo risale a 60.000 dollari. Può farlo solo quando l’azienda vende gli asset. Ciò rende difficile per un’azienda registrare guadagni sui suoi asset crittografici, ma fa registrare allo stesso tempo un sacco di perdite”
È un po’ il caso di Tesla, che a febbraio aveva annunciato un investimento di 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin. Secondo alcuni analisti, infatti, la performance negativa del prezzo di Bitcoin (che ha toccato i minimi da gennaio) nel secondo trimestre potrebbe causare a Tesla una perdita fino a 100 milioni di dollari per il secondo trimestre del 2021. Al punto da doverla segnalare alla Securities and Exchange Commission statunitense. “Tesla possiede crypto come asset intangibili- ha detto l’analista Kate Rooney di CNBC – a causa delle norme contabili, quando il valore di Bitcoin scende sotto un determinato livello le compagnie devono segnalarlo nei propri rendiconti finanziari”, ha spiegato l’analista, aggiungendo: “Se il prezzo di Bitcoin scende al di sotto del costo d’acquisto in qualsiasi momento successivo a quest’ultimo, viene riconosciuto un costo di ammortamento”. L’analista ha citato fonti anonime che stimano una perdita sulla carta compresa tra 25 e 100 milioni di dollari. Il gap può essere colmato solo se dovesse vendere i Bitcoin a un prezzo maggiore d’acquisto.